I migranti fuggono da un carcere all'aperto, per finire in gabbie dove vengono marchiati, contati,
selezionati. Spesso poi rispediti nel proprio paese, o peggio, in posti che sono dei veri e propri lager.
Tra questi migranti sempre più tante sono le donne. Queste donne spesso sono le principali vittime
sacrificali dei percorsi in terra o in mare. Per quelle invece che raggiungono le coste, l'attende una
società ipocrita e capitalistica, che
apparentemente dà un immagine umanitaria, ma immediatamente attiva
dei canali in cui c'è uno sfruttamento generale dei migranti, ma in particolare della donna negli ambiti su cui si è già
abbondamentemente vi è un supersfruttamento delle donne: agricoltura, ambiti sociali molto umili e sopratutto prostituzione.
Dove invece si è
attuata una seria politica di accoglienza, si è dimostrato quanto l'apporto di
queste donne sia utile, stimolante ad uno scambio interculturale di grande utilità per la società osptitante e
per le stesse emigrate. Ma è ovvio che una o qualche situazione positiva non è la soluzione dei problemi delle emigrate o delle
donne in generale.
Resto fortemente dell'idea che, come dice Marx "la violenza rivoluzionaria è la levatrice della storia", ed essa non è
prerogativa degli uomini, ma è prerogativa delle donne.
Su questo mi è rimasta in
mente sin dalla mia giovane età l'immagine della rivoluzione francese dove innanzi a tutti c'era una donna con il
forcone in mano.
Concetta
Nessun commento:
Posta un commento