L'analisi dell'impero Riva è contenuta nel libro "Ilva la tempesta perfetta" |
Secondo le indagini della polizia provinciale, nel 2012 l’Ilva avrebbe effettuato “plurime spedizioni transfrontaliere di rifiuti costituiti dalla loppa d’altoforno verso il Brasile, in assenza delle garanzie e delle formalità previste dalla normativa dello Stato ricevente”. L’inchiesta riguarda in particolare quattro spedizioni, la prima da quasi 50mila tonnellate del 21 giugno 2012, solo un mese prima del ciclone giudiziario di “Ambiente svenduto”.
Dall’indagine emerge che nonostante gli arresti e le pesanti contestazioni di disastro ambientale e avvelenamento di sostanze alimentari, l’Ilva non si fermò. A settembre, con gli impianti sotto sequestro e l’intera dirigenza inquisita, partirono alla volta del Brasile altre due spedizioni, una da 50mila tonnellate e una da ben 72mila. La quarta a novembre dello stesso anno, altre 50mila tonnellate.
Buffo, direttore Ilva fino a maggio 2013, ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. Nel processo “Ambiente svenduto” è accusato di disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, rimozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, violazioni del testo unico per l’Ambiente e dell’omicidio colposo di due lavoratori: Claudio Marsella, il manovratore schiacciato da un treno all’interno dell’Ilva il 30 ottobre 2012 e Francesco Zaccaria, il gruista volato in mare il 28 novembre dello stesso anno, quando il siderurgico fu colpito da una tromba d’aria.
Capogrosso è accusato di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale e avvelenamento di sostanze alimentari insieme con Emilio (scomparso ad aprile 2014), Nicola e Fabio Riva, il factotum Girolamo Archinà, l’avvocato Perli e alcuni dirigenti “ombra” (manager non assunti in Ilva che per conto dei Riva controllavano lo stabilimento). L’ex direttore risponde anche di concorso in corruzione per una presunta bustarella consegnata da Archinà al professor Liberti per annacquare una perizia sull’inquinamento dell’Ilva.
In passato Capogrosso ha già pagato numerosi conti pesanti con la giustizia per la sua attività nel siderurgico, dalla condanna nel lontano 2001 (poi prescritta) per il clamoroso caso di mobbing della palazzina Laf, una struttura fatiscente all’interno
dello stabilimento in cui vennero tenuti inattivi i lavoratori che contestavano le direttive industriali dei nuovi proprietari, i Riva, fino a quella a sei anni di reclusione nel maggio 2014 (pendente in corte d’Appello) nel processo sull’amianto killer in Ilva, con l’accusa, insieme a Fabio Riva e altri direttori dell’era di gestione pubblica e privata dello stabilimento, di aver causato la morte di diversi operai venuti a contatto con la fibra cancerogena.
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