Alcuni elementi teorici di base per la comprensione del sindacato di classe e dei compiti dei comunisti nel movimento sindacale.
Le
lezioni teoriche, pratiche, l'esperienza viva nelle grandi fabbriche,
in particolare nelle fabbriche Fiat di Torino diretta personalmente da
Gramsci - una esperienza nuova per il movimento operaio italiano, e non
solo - sono valide ieri come oggi.
Il consiglio operaio della Fiat nel 1921 |
1)
Caratteri oggettivi del sindacato
“Il
sindacato è la forma che la merce-lavoro assume e sola può assumere
in regime capitalista quando si organizza per dominare il mercato...
concentrare e di guida le
forze operaie in modo da stabilire con la potenza del capitale un
equilibrio vantaggioso alla classe operaia...
Il
sindacato diventa capace a contrarre patti, ad assumersi impegni:
così esso costringe l'imprenditore ad accettare una legalità nei
suoi rapporti con l'operaio...”
Gramsci
continua: “Il sindacato non è questa o quella definizione del
sindacato, il sindacato assume una determinata figura storica in
quanto la forza e la volontà operaia che lo costituiscono, gli
imprimono quell'indirizzo e pongono alla sua azione quel fine che è
affermato nella definizione...”.
Gramsci
quindi spiega anche come, dal genere di partecipazione più o meno
cosciente dei lavoratori, dipende l'indirizzo che il sindacato tende
ad assumere.
Il
sindacato può avere un diverso orientamento in diversi momenti
storici, ma quello che non può fare è mutare la base sociale che lo
sostiene, perchè se il sindacato non è sostenuto dai lavoratori non
ha neanche più ragione dì essere come sindacato.
Ciò
significa che l'orientamento del sindacato non puo essere determinato
dalla volontà di un gruppo dirigente, bensì è prima di tutto
determinato dal grado di partecipazione cosciente espresso
dai
lavoratori.
Un
sindacato, in cui esiste un particolare servilismo del gruppo
dirigente verso la borghesia, tenderà a
perdere l'appoggio dei
lavoratori e con ciò stesso diventerà inutile per la stessa
borghesia.
In
determinati momenti storici, un particolare sviluppo della
repressione reazionaria, o una particolare affermazione della
ingannatrice politica riformista, possono accentuare la debolezza
della
ribellione operaia agli orientamenti borghesi della dirigenza
sindacale, ma sempre ciò che prevarrà alla fin fine è la realtà
della contraddizione tra lavoro salariato e capitale, e quindi la
spinta
operaia
verso Ía rigenerazione del sindacato per vendere a prezzi più
vantaggiosi la propria forza lavoro.
Il
sindacato è sorto per la vendita a condizioni vantaggiose della
forza lavoro. I-lavoratori hanno imposto alla borghesia
l'accettazione del sindacato e del diritto di sciopero, spezzando la
repressione reazionaria e rifiutando di lavorare alle condizioni di
totale schiavitù.
La
borghesia ha accettato il sindacato e il diritto di sciopero quando
ha compreso che non bastavano i fucili e la polizia per costringere
gli operai al lavoro. Ha fatto cioè i conti con la volontà dei
lavoratori ed è dovuto entrare in mediazione con essi per poter
perpetuare il suo sfruttamento.
Da
quando il sindacato è stato ufficializzato, in esso si muovono da
sempre due tendenze: 1) la tendenza di classe sostenuta dai
lavoratori, che cerca sempre maggiore coerenza nella lotta contro gli
imprenditori e tutti coloro che li rappresentano; 2) la tendenza
interclassista sostenuta dalla borghesia, che cerca di limitare la
lotta della forza-lavoro entro i limiti di concessioni salariali
ritenuti accettabili dai capitalisti, senza che si danneggi il loro
continuo aumento dei profitti.
2)
La disciplina e la lotta tra le due linee nel sindacato.
Le
due tendenze sopracitate si esprimono sempre alla luce della
condizione materiale dei salariati e alla luce della loro coscienza.
Quando la tendenza interclassista diventa influente ciò è dovuto ad
una particolare confusione politica fra i lavoratori e ad una
particolare disponibilità degli imprenditori di creare privilegi fra
strati minoritari di lavoratori ed usarli come veicolo per diffondere
fra le larghe masse la falsa idea che gli interessi dei lavoratori
coincidono con il buon andamento degli affari dei capitalisti.
Ma
questi sono sempre interventi di superficie, che non modificano
l'aspetto materiale della condizione dei salariati, e da cui essi
quindi ricavano continuamente la coscienza dell'inconciliabilità di
classe fra lavoratori e capitalisti.
Per
questo la tendenza di classe può indebolirsi in certi momenti, ma,
osservandone l'andamento sul medio e lungo periodo, non scompare mai
e tende sempre a determinare il suo predominio nell'orientamento del
sindacato di massa.
Condizioni
favorevoli per un intervento conciliatorio della borghesia sul piano
economico e politico, si sono manifestate in due periodi storici: 1)
nel periodo dello sviluppo industriale, in cui il formarsi di
gigantesche forze produttive creava enormi profitti per i capitalisti
e particolari privilegi per ristretti strati di lavoratori; 2) nel
periodo dell'affermazione dell'imperialismo, in cui la rapina operata
ai danni della maggioranza dei popoli permetteva enormi profitti per
gli imperialisti e particolari privilegi per ristretti strati di
lavoratori nei paesi imperialisti.
Ma
questo non significa affatto che quando i profitti dei capitalisti
sono elevati, ci guadagnano anche i lavoratori. Una siffatta idea è
completamente falsa. Se i capitalisti realizzano alti profitti,
ciò
non può essere che a scapito delle masse dei produttori (gli
operai): i creatori del valore.
Nei
due periodi prima detti, lo sviluppo delle forze produttive entrava
in antagonismo con l'appropriazione privata del prodotto; nel senso
che le nuove possibilità produttive creavano nuovi bisogni delle
masse lavoratrici, e questi nuovi bisogni portavano ad una riduzione
del valore del salario e quindi al riproporsi della lotta salariale
per impedire il processo di impoverimento relativo. Quando poi, come
è inevitabile, la sete di profitto capitalista provoca il freno
dello sviluppo e la crisi del sistema stesso di sfruttamento, ecco
che si ripropone sempre la sola via in ultima analisi
praticabile
dai capitalisti per salvare i loro profitti: la via della riduzione
dei salari e dell'impoverimento dei lavoratori. Questo comporta una
intensificazione della lotta salariale dei lavoratori per la difesa
dei loro diritti contro la logica stessa del sistema sociale dei
capitalisti.
Nel
primo caso, la borghesia interviene nel sindacato per incentivare
l'illusione interclassista e per far credere che con la mediazione
sindacale, si possono migliorare le condizioni di vita dei
lavoratori.
Nel
secondo caso, la borghesia interviene per spaccare il movimento
sindacale e per reprimere le lotte dei lavoratori. Nella coscienza
dei lavoratori, sia nel primo che nel secondo caso, deve essere
evidente che la lotta sindacale è necessaria per difendere il
salario dal permanente attacco portato ad esso dai capitalisti.
Nel
primo caso, i lavoratori si ribellano all'idea che la rivendicazione
salariale deve rimanere nei limiti previsti dal piano capitalista,
proprio perchè tale rivendicazione si basa sulle nuove esigenze
insorte nel livello di vita dei lavoratori.
Nel
secondo caso, i lavoratori si ribellano all'idea che devono rendersi
partecipi delle difficoltà dei capitalisti e si rifiutano di pagare
con la riduzione del proprio salario l'esigenza di aumento dei
profitti da parte dei capitalisti.
Considerando
come fatto permanente la lotta fra lavoratori salariati e
capitalisti, si comprende che il sindacato è la forma necessaria
della lotta dei lavoratori e l'interlocutore che i capitalisti devono
legalizzare, sia che nel sindacato sia influente la tendenza del
sindacalismo di classe più coerentemente anticapitalistico, sia che
sia influente la tendenza interclassista.
La
disciplina sindacale è necessaria ai lavoratori, ed essi la
rafforzano quando essa tende a far pesare tutta la forza dei
lavoratori per difendere i loro diritti. La disciplina sindacale è
necessaria ai capitalisti ed essi la legalizzano quando hanno bisogno
di contrarre accordi con i lavoratori per ottenere che ritornino a
produrre stabilmente.
I
lavoratori si ribellano alla disciplina sindacale quando essa non fa
pesare tutta la forza dei lavoratori e quindi non crea condizioni
vantaggiose nella vendita della forza-lavoro.
I
capitalisti cercano di spaccare la disciplina sindacale quando
ritengono più conveniente la repressione violenta delle lotte. Ma
con la repressione politicizzano le masse lavoratrici, creano nuovi
fermenti rivoluzionari
Nel
complesso di questo riproporsi ciclico delle diverse caratteristiche
dello scontro sindacale fra lavoratori e imprenditori, la tendenza di
fondo ineliminabile è che i Iavoratori uniti, organizzati,
disciplinati nella lotta sindacale, si addestrano, elevano la loro
coscienza di classe e si preparano alla lotta decisiva, politica e
rivoluzionaria, per sconfiggere definitivamente il capitalismo,
instaurando il nuovo ordine sociale della dittatura del proletariato.
3) Lotta sindacale, ribellione spontanea e prospettiva rivoluzionaria
Dice
Gramsci: “Se i funzionari dell'organizzazione sindacale considerano
la legalità industriale come un compromesso necessario ma non
perpetuamente, se essi rivolgono tutti i mezzi di cui il sindacato
può disporre per migliorare i rapporti di forza in senso favorevole
alla classe operaia,
se
essi svolgono tutto il lavoro di preparazione spirituale e materiale
necessario perchè la classe operaia possa in un momento determinato
iniziare un'offensiva vittoriosa contro il capitale e sottometterlo
alla sua legge, allora ìl sindacato è uno strumento
rivoluzionario...”
MA
«Nella realtà italiana il funzionario sindacale concepisce la
legalità industriale come una perpetuità. Egli troppo spesso la
difende da un punto dì vista che è lo stesso punto di vista del
proprietario. Egli vede solo caos e arbitrio in tutto quanto succede
fra la classe operaia; egli non universalizza l'atto di ribellione
dell'operaio alla disciplina capitalistica come ribellione... In
queste
condizioni,
la disciplina sindacale non può che essere un servizio reso al
capitale”.
Ora,
si tratta però di comprendere il valore e il limite della
spontaneità e della ribellione operaia, perchè occorre spezzare una
disciplina che serve il capitale, ma nel contempo ricomporre la
disciplina che necessita alla lotta operaia per muovere tutte le sue
energie.
Quando
gli interessi sindacali degli operai non sono rappresentati con
coerenza dalla direzione sindacale, si genera la rottura della
disciplina sindacale.
Gli
operai organizzano scioperi spontanei, il fronte di lotta, tenuto
fermo dalle scelte opportunistiche della direzione sindaca1e, si
rimette in moto con forme diversificate ed articolate, con incisività
locale ma senza un piano centrale complessivo. In questo caso la
spontaneità è positiva, essa rompe la situazione di stasi, ed è
positiva anche se in alcuni punti si esprime in ribellione che
rifiuta la mediazione sindacale e che non ha più fiducia nel valore
unitario del movimento sindacale.
Ma
quando questa rottura e ribellione spontanea diventa metodo fisso di
concepire la lotta, quando cioè si esaltano la libertà di azione
per singoli gruppi, la spinta spontanea dal basso come la sola legge
del movimento, la democrazia di base come la sola forma di
organizzazione, ecco allora che cominciano a formarsi gli aspetti
neativi della spontaneità. La lotta mancante di organizzazione
centralizzata, di quadri dirigenti, di unità d'azione di tutto il
movimento è una lotta che non può realizzare la difesa dei diritti
dei lavoratori, ed è una lotta che non prepara le condizioni
necessarie alla prospettiva rivoluzionaria. E in pratica questa
disgregazione del movimento indebolisce la tendenza di classe nel
sindacato e lascia campo libero allo strapotere della tendenza
interclassista e borghese.
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