Padroni, governo e sindacati confederali marciano a tappe forzate verso la ristrutturazione-disastro. Padroni di Stato, commissari, padroni italiani, padroni indiani, vogliono solo profitti, e la carne da macello sono sempre gli operai, i quartieri inquinati, i salari, i diritti.
I governi sono degli autentici agenti e piazzisti dei padroni, i “sindacalisti delle cordate” che in questi anni, state sicuri, non hanno perso una lira né di salari né di potere e hanno pensato solo ai fatti propri, come casta e puntello della fabbrica della morte capitalista, sono impegnati ad ottenere solo qualche promessa ai Tavoli ufficiali e ai Tavoli segreti (gli operai stanno ancora aspettando di sapere che si sono detti quando, fuori da ogni procedura e da ogni calendario, hanno incontrato i padroni Mittal e Jindal), sindacati che hanno svenduto la fabbrica ai padroni ancor prima del governo e che ora trattano 'corsi di riqualificazione' grotteschi per gestire gli esuberi, corsi che con la complicità della Regione vogliono assegnare a Enti di formazione legati agli stessi sindacati
Ma la denuncia sembra non far breccia nelle fila di operai resi sudditi, in attesa inebetita del “male minore”. Ma il “male minore” è quello di adesso, con condizioni di lavoro e di sicurezza costantemente precari e a rischio, con pezzi di fabbrica che cadono a pezzi, con un salario sempre ridotto, con tutti impegnati nella guerra di bassa intensità tra lavoratori, che le soluzioni dei Tavoli romani fomentano.
In ogni caso, focolai di lotta ci sono e sono sempre latenti, punti di ripresa e di ripartenza covano in ogni reparto e in ogni area, operai che vogliono sottrarsi al gioco al massacro e impugnare l'arma della lotta di classe, dell'unità di classe, dell'organizzazione di classe ci sono eccome.
Noi pensiamo che in questi due mesi si possano chiamare a venire allo scoperto, unirli in rete – non virtuale ma reale – una rete che non può in nessuna maniera coincidere con gli attuali sindacati presenti, compresa l'Usb - e che riparta dall'unica richiesta necessaria: nessun licenziamento, riduzione d'orario di lavoro a parità di paga, prepensionamento massiccio per chi ha già lavorato per 25 anni e che ha subito sulla sua pelle tutti i danni; unità tra operai e masse popolari, a partire dai quartieri inquinati in assemblee popolari, realmente libere e pensanti, nel senso di organizzare la nuova fase della lotta che serve per rispondere alla nuova fase dell'azione di padroni, governo, Stato.
Ora più che mai: una scintilla può incendiare la prateria!
Documento
sulla situazione Ilva
a cura slai
cobas per il sindacato di classe – taranto
A livello mondiale, la
crisi economica continua a provocare un'acuta guerra commerciale
che, sul piano industriale, ha uno dei suoi cuori pulsanti nella
siderurgia mondiale.
La crisi è una crisi di
sovrapproduzione, sempre secondo il significato capitalista del
concetto - sovrapproduzione rispetto alla realizzazione dei profitti,
perchè nessuno può negare che se i fini della
produzione mondiale non fossero indirizzati alla produzione privata e ai profitti, l'acciaio sarebbe prodotto nettamente al di sotto dei bisogni di sviluppo industriale nel mondo.
produzione mondiale non fossero indirizzati alla produzione privata e ai profitti, l'acciaio sarebbe prodotto nettamente al di sotto dei bisogni di sviluppo industriale nel mondo.
Alla crisi di
sovrapproduzione i padroni in ogni paese del mondo reagiscono con il
taglio della produzione, con la riduzione del costo del lavoro per
produrre acciaio in modo da venderlo a prezzi più bassi nei mercati
mondiale ma sempre per ricavarci il massimo profitto possibile.
La siderurgia mondiale
quindi va ristrutturandosi e anche innovandosi in maniera consistente
sul piano tecnologico, e non certo per ridurre l'impatto ambientale,
come spesso si dice, ma sempre e solo per avere acciaio migliore,
prodotto a costi più bassi, in cui per “costo” si intende
principalmente il salario dei lavoratori e le condizioni di sicurezza
dei lavoratori.
I produttori di acciaio
hanno portato, col sostegno dell'aristocrazia operaia, Trump alla
presidenza, perchè si faccia protagonista di una politica
protezionista. E di fatto questo sta avvenendo.
L'Italia è uno dei paesi
che risente di questa politica. Come pure risente della gigantesca
spinta che viene da alcuni paesi come la Cina che ha una produzione
globale di +5,8% e l'India che nel 2017 sta crescendo tantissimo, con
un aumento della produzione di 12%, che porta questo paese ad
insidiare il secondo posto assoluto, tenuto attualmente dal Giappone,
come maggior produttore mondiale dell'acciaio.
Ma i pericoli maggiori, in
particolare per l'industria italiana, vengono dal boom della Turchia,
le cui vendite sono cresciute del 74%.
Quindi, ci troviamo di
fronte al fatto che anche il mercato italiano, che è tornato a
crescere leggermente nei primi 3 mesi del '17 - “con 6.122 milioni
di tonnellate prodotte, + 5,5%, è il miglior trimestre degli ultimi
tre anni. Un risultato trainato dalla leggera ripresa dei consumi in
settori chiave, come la meccanica” - e che, quindi, dovrebbe godere
anche dei vantaggi della riduzione delle importazioni cinesi frenate
dai dazi antidumping decisi dalla UE, viene però occupato
dall'India, dall'Egitto e soprattutto dalla Turchia - la Turchia ha
raggiunto ormai l'8° posto nel mondo. Quindi, i produttori italiani
dell'acciaio non traggono tutti i vantaggi di questa leggera ripresa.
I produttori minori di
acciaio comunque non se ne stanno fermi e sono anch'essi impegnati in
innovazioni tecnologiche e ristrutturazioni, e svariati processi di
verticalizzazione e fusioni.
Giustamente il Sole 24 ore
chiama tutto questo “risiko dell'acciaio” e ne offre un quadro
dettagliato nel suo articolo del 26 aprile, a cui rimandiamo.
E' inutile dire che
parlare di acciaio italiano significa parlare del centro e
dell'attuale “buco nero” dell'industria siderurgica italiana, che
è l'Ilva.
*****
In queste ore, però, le
pagine dei giornali sono occupate dal nuovo stadio della crisi
dell'ex Lucchini di Piombino.
Qui, ormai, la situazione
è ai limiti del precipizio. La Aferpi, così si chiamano le ex
acciaierie, era stata ceduta con un piano di svendita realizzato da
governo e sindacati al gruppo algerino Cevital di Reprab, che anche
qui aveva promesso, come sono soliti fare i padroni in queste
occasioni, miracoli: ripresa dello stabilimento, suo sviluppo,
insieme a tante altre cose per la città, per l'ambiente, che in
questi due anni hanno riempito le pagine dei giornali. La verità è
che nulla di tutto questo è stato realizzato e la fabbrica è
ridotta ad un solo treno di laminazione. Governo e operai, con la
regia sindacale a fare da tramite, sono tornati a protestare e a
chiedere il rispetto degli impegni. Alla Cevital sono stati dati 15
giorni per confermare i suoi impegni; conferma necessaria per
prorogare la legge Marzano che consente di mantenere in piedi
fabbrica e ammortizzatori sociali ancora per due anni.
Cevital ha risposto con
una lettera con cui dà conferma, dicendo che ha già investito 100
milioni e sta cercando i soldi – ma lo aveva detto già due anni fa
– per fare gli investimenti promessi. Ha scaricato sulle banche
italiane le difficoltà, perchè, secondo Cevital, sono in completa
latitanza per qualsiasi forma di sostegno. Ma, evidentemente, una
lettera di questo genere non è garanzia di nessun futuro. E gli
operai di Piombino hanno ragione di preoccuparsi, anche se c'è chi
nelle fila operaie ha sostenuto questo fin dall'inizio ma è stato
isolato dall'alleanza infame Cevital-governi-sindacati confederali.
Ma la novità di queste
ore finisce per legare le sorti di Piombino con quelle dell'Ilva.
In questi giorni sarebbe
arrivata una lettera del gruppo indiano Jindal che esprime
interessamento a prendere il posto della latitante Cevital.
La manovra della Jindal
sembra abbastanza scoperta. Da un lato è un'altra carta che viene
giocata nella battaglia dell'Ilva: Jindal alle infinite promesse
sull'Ilva, aggiungerebbe la carta Piombino, anche se avrebbe fatto
sapere che Piombino interessa anche in caso di perdita dell'Ilva.
*****
Ma, chiaramente, è la
questione Ilva il centro della contesa. Qui, i
giorni passano e le decisioni vengono rinviate di 15 giorni in 15
giorni. Quali le ragioni oscure di questi rinvii. Si
possono fare diverse ipotesi. Una è legata alla non accettazione dei
piani ambientali, che nessuno conosce ma che vengono continuamente
descritti come risolutivi del rapporto produzione/ambiente; se fosse
così risulterebbero sicuramente troppo onerosi per i due gruppi
industriali e si sta trovando, sia pure nel cuore di una contesa, la
maniera per eluderli.
La seconda ipotesi è il
peso dei famosi soldi dei “paradisi fiscali” che nell'accordo
governo-Procure-Riva-commissari, dovrebbero essere una sorta di
'bonus di entrata' messo a disposizione dell'acquirente. La terza va
legata all'ignota cifra di acquisizione dell'Ilva su cui si gioca
l'asta della svendita al miglior offerente. Qui, secondo voci,
l'offerta sarebbe troppo bassa e il governo starebbe resistendo,
chiedendo, diciamo, un rilancio.
Altra ipotesi, ancora, è
che si possa essere di fronte a competitor prestigiosi, cioè a
promesse mirabolanti ma soldi ancora tutti da trovare (uno scenario
Cevital). Si è già parlato. D'altra parte, di come il gruppo
Arcelor Mittal, pur essendo il primo produttore di acciaio nel mondo,
sia pieno di debiti e recentemente si è visto il padrone Mittal
chiedere anch'esso l'ingresso della Cassa Depositi e Prestiti, che ha
risposto subito di essersi impegnata con l'altra cordata, o esprime
disponibilità all'ingresso di altri soci, cosa che, vista la
descrizione di floridezza che aveva fatto nei giorni caldi della
propaganda, sembra quantomeno un pò contraddittoria.
Lo stesso Jindal potrebbe
avere problemi e il suo interessamento a Piombino potrebbe già
essere l'ipotesi di una carta di riserva di minore dimensione e
costi.
D'altra parte come non
pensare che la guerra sull'Ilva sia anche una contesa tra iene su uno
stabilimento comunque destinato alla morte? Come non pensare che le
due cordate operino in una operazione di sciacallaggio industriale?
Come non pensare che il tempo non giochi a favore dell'Ilva e che,
quindi, si possa prenderla a condizioni ancor più vantaggiose,
aspettando, traccheggiando? Come non pensare che la stalla è vuota e
i buoi sono già scappati e le grandi committenze si vadano
posizionando su altri fornitori? Quale altra spiegazione ha il boom
della Turchia, il cui maggior produttore, inizialmente doveva far
parte della “guerra dei bottoni” per l'Ilva e che ora già sembra
aver acquisito fette del mercato Ilva, senza dover entrare
nell'armata brancaleone della cordata Arvedi-Del Vecchio-CdP,
somigliante in maniera impressionante alla cordata Alitalia, di cui
si accendono i ceri in questo stesso periodo?
E' il capitalismo
bellezza! E' l'imperialismo in action della guerre commerciali,
anticamera spesso delle guerre militari.
*****
Guardando il tutto dal
lato della classe operaia, delle masse popolari, non c'è da fare
tante ipotesi. Padroni, governo e sindacati confederali marciano a
tappe forzate verso la ristrutturazione-disastro. Padroni di Stato,
commissari, padroni italiani, padroni indiani, vogliono solo
profitti, e la carne da macello sono sempre gli operai, i quartieri
inquinati, i salari, i diritti.
I governi sono degli
autentici agenti e piazzisti dei padroni, i “sindacalisti delle
cordate” che in questi anni, state sicuri, non hanno perso una lira
né di salari né di potere e hanno pensato solo ai fatti propri,
come casta e puntello della fabbrica della morte capitalista, sono
impegnati ad ottenere solo qualche promessa ai Tavoli ufficiali e ai
Tavoli segreti (gli operai stanno ancora aspettando di sapere che si
sono detti quando, fuori da ogni procedura e da ogni calendario,
hanno incontrato i padroni Mittal e Jindal), sindacati che hanno
svenduto la fabbrica ai padroni ancor prima del governo e che ora
trattano 'corsi di riqualificazione' grotteschi per gestire gli
esuberi, corsi che con la complicità della Regione vogliono
assegnare a Enti di formazione legati agli stessi sindacati – tra
quanti anni poi dovremo parlare di “scandalo corsi” come dello
“scandalo Vaccarella”?
Ma la denuncia sembra non
far breccia nelle fila di operai resi sudditi, in attesa inebetita
del “male minore”. Ma il “male minore” è quello di adesso,
con condizioni di lavoro e di sicurezza costantemente precari e a
rischio, con pezzi di fabbrica che cadono a pezzi, con un salario
sempre ridotto, con tutti impegnati nella guerra di bassa intensità
tra lavoratori, che le soluzioni dei Tavoli romani fomentano.
In ogni caso, focolai di
lotta ci sono e sono sempre latenti, punti di ripresa e di ripartenza
covano in ogni reparto e in ogni area, operai che vogliono sottrarsi
al gioco al massacro e impugnare l'arma della lotta di classe,
dell'unità di classe, dell'organizzazione di classe ci sono eccome.
Noi pensiamo che in questi
due mesi si possano chiamare a venire allo scoperto, unirli in rete –
non virtuale ma reale – una rete che non può in nessuna maniera
coincidere con gli attuali sindacati presenti, compresa l'Usb - e che
riparta dall'unica richiesta necessaria: nessun licenziamento,
riduzione d'orario di lavoro a parità di paga, prepensionamento
massiccio per chi ha già lavorato per 25 anni e che ha subito sulla
sua pelle tutti i danni; unità tra operai e masse popolari, a
partire dai quartieri inquinati in assemblee popolari, realmente
libere e pensanti, nel senso di organizzare la nuova fase della lotta
che serve per rispondere alla nuova fase dell'azione di padroni,
governo, Stato.
Ora più che mai: una
scintilla può incendiare la prateria!
Nessun commento:
Posta un commento