La prima parte è uscita giovedì 4 maggio su questo blog.
Gramsci ha lottato fino alla fine, prima e dentro il carcere. Mussolini volle "assassinare" la sua mente e il suo corpo, perchè in Gramsci vedeva il reale oppositore, il capo del partito comunista che avrebbe portato al rovesciamento del fascismo/nazismo.
Ma la vita rivoluzionaria, la combattente azione di Gramsci fin quando ha potuto, il suo pensiero, mai soffocato, costituiscono oggi una miniera di lezioni, che spetta ai comunisti, agli operai coscienti di oggi, trarne tutti gli insegnamenti vivi.
Nell'80° della morte di Antonio Gramsci prendiamo questo impegno.
Sulle lezioni di Gramsci sui temi fondamentali, parleremo nei prossimi appuntamenti della Formazione operaia.
In Italia, dai rapporti del partito, Gramsci capiva che si stava sviluppando la controffensiva reazionaria che già nel '20 aveva previsto.
Nel 1922 vi fu la marcia su Roma, la canaglia fascista imperversava compiendo assassinii e provocazioni di ogni genere.
D'altra parte un vasto movimento di opposizione al fascismo si andava affermando, non solo fra la
classe operaia, ma fra ampi settori popolari. Il PSI aveva espulso l'ala destra dei riformisti proprio sotto la pressione del movimento di massa.
C'erano condizioni perchè il Partito Comunista fosse l'avanguardia di un fronte rivoluzionario senza
precedenti, ma la politica settaria imposta da Bordiga lo paralizzava. Bordiga lavorava per amministrare e conservare il partito; fascismo e socialdemocrazia, in quanto borghesi entrambi erano sullo stesso piano e, anzi, bisognava colpire la socialdemocrazia per abbattere il fascismo. Bordiga era un piccolo borghese incallito, idealista non capiva che proprio sviluppando la lotta contro il mostro fascista, la socialdemocrazia sarebbe andata in pezzi e avrebbe trionfato la rivoluzione.
Il fascismo arrestava i dirigenti comunisti e la politica settaria di Bordiga rischiava di far andare in
rovina il partito. Gramsci scrisse dalla Russia invitando a sottomettersi alle decisioni dell'Internazionale e consigliò che il nuovo quotidiano del partito che stava per uscire fosse chiamato 'L'Unità'.
Potè entrare in Italia solo nel 1924 quando, eletto deputato in una circoscrizione del Veneto, potè godere dell'immunità parlamentare contro le persecuzioni poliziesche.
Prese la direzione del partito, lavorò con spirito indomabile per conquistare tutti i quadri alla
giusta concezione marxista-leninista e per battere le concezioni dogmatiche e settarie di Bordiga.
Vi fu il 10 giugno, l'assassinio di Matteotti da parte dei fascisti. Odio e volontà di rivolta accesero le fiamme del movimento di massa in tutto il paese, il fascismo era isolato anche dagli stessi partiti borghesi che prima lo guardavano con simpatia.
Mentre qualche mese prima, dal carcere dov'era rinchiuso, Bordiga ordinava di fare un manifesto
contro la politica del fronte unico – appoggiata dall'Internazionale - e per la lotta contro la socialdemocrazia.
Gramsci da Roma telefonava a Milano alla redazione de Unità ordinando di non fare alcun conto delle intimidazioni poliziesche e di uscire a tutta pagina col titolo «Abbasso il governo degli assassini». Propose ai partiti dell'Aventino di proclamare lo sciopero politico generale contro il governo. Ma il partito comunista era stato profondamente indebolito dalla direzione di Bordiga, esso non aveva i legami con la classe operaia necessari a determinare un movimento politico unitario contro il governo.
Gramsci comprese ciò e da allora si dedicò col massimo impegno a fissare il programma politico del partito comunista e a costruire una solida organizzazione di fabbrica, ciò che serviva al partito per adempiere al suo ruolo di avanguardia.
In questa opera di approfondimento e di costruzione del partito egli non tralasciò l'agitazione e la direzione della lotta contro il governo fascista.
Nel 1925 pronunciò un celebre discorso alla Camera contro le leggi speciali e affermò in faccia al boia Mussolini: “Voi potete conquistare lo stato, potete modificare i codici, voi potete cercare di impedire alle organizzazioni di esistere nel modo con cui esse sono esistite fino adesso; non potete prevalere sulle condizioni obiettive... Voi non farete che costringere il proletariato a ricercare un indirizzo diverso da quello fìn'oggi più diffuso nel campo dell'organizzazione di massa.
Ciò noi vogliamo dire al proletariato e alle masse contadine italiane, da questa tribuna: che le forze
rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, che il vostro torbido sogno non riuscirà a realizzarsi”
Gramsci preparava il 3° congresso del partito che si sarebbe svolto a Lione nel gennaio del 1926. Seguiva intanto le vicende interne dell'Unione Sovietica e la lotta del compagno Stalin contro il blocco dei rinnegati Trotzky, Zinoviev e Kamenev. Gramsci fece appello all'unità del partito bolscevico ma non tralasciò di condannare la canaglia trotzkista dicendo: “Nell'ideologia e nella pratica del blocco delle opposizioni rinasce in pieno tutta la tradizione della socialdemocrazia e del sindacalismo che ha impedito finora al proletariato occidentale di organizzarsi come classe dirigente”.
Nelle tesi del Congresso di Lione egli fissava la linea e il programma del partito nella lotta contro
il fascismo e liquidava definitivamente i bordighisti.
Le tesi di Lione contengono la definizione della linea del fronte unico in Italia nella lotta contro
il governo fascista per il governo operaia e contadino fondato sulla dittatura del proletariato.
La linea delle tesi di Lione dava finalmente al partito una politica rivoluzionaria proletaria nelle condizioni storiche di allora.
Gramsci, e questo fu il culmine della sua attività, applicava in maniera creativa e rigorosa la strategia e la tattica dell'Internazionale Comunista alle condizioni concrete della rivoluzione in Italia.
Segui al congresso di Lione, un periodo nel quale il partito, unito, fu alla testa di grandi lotte di
massa. I comunisti di Gramsci penetravano anche nei sindacati fascisti e legandosi alle masse riuscivano a guidare potenti scioperi. Nell'attività svolta dal partito nei primi mesi del '26 si ebbe la conferma della giustezza della linea fissata.
Il fascismo traballava da ogni parte, esso faceva ricorso agli attentati, ma i comunisti erano conosciuti e stimati dal popolo e tutte 1e provocazioni si infrangevano l'una dopo l'altra.
Una repressione violenta venne allora scatenata dal regime; col pretesto di un attentato a Mussolini venne pure restaurata la pena di morte. Tutti i capi dell'opposizione borghese fuggivano all'estero. Gramsci decise che era suo dovere presentarsi alla Camera per denunciare al popolo le atrocità del regime. Il giorno prima fu arrestato.
Al processo, rivolto ai giudici fascisti, Gramsci gridò forte: “Voi porterete l'Italia alla rovina ed a noi comunisti spetterà di salvarla”.
Condannato, rimase in carcere fino alla morte nel 1937. Lottò nel carcere contro le torture cui veniva sottoposto e si ammalò gravemente. Ma non smise mai neppure per un momento di pensare al suo popolo e al partito comunista.
Con lui il Partito Comunista d'Ítalia perdeva il capo politico, il dirigente marxista-leninista, il combattente più coraggioso della causa rivoluzionaria del popolo italiano.
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