“Parlare della crisi dell’acciaio italiano significa parlare del centro e dell’attuale “buco nero” dell’industria siderurgica italiana, che è l’Ilva. Ma la novità di queste ore finisce per legare le sorti di Piombino con quelle dell’Ilva. In questi giorni sarebbe arrivata una lettera del gruppo indiano Jindal che esprime interessamento a prendere il posto della latitante Cevital. La manovra della Jindal sembra abbastanza scoperta. Da un lato è un’altra carta che viene giocata nella battaglia dell’Ilva: Jindal alle infinite promesse sull’Ilva, aggiungerebbe la carta Piombino, anche se avrebbe fatto sapere che Piombino interessa anche in caso di perdita dell’Ilva.
Ma, chiaramente, è la questione Ilva il centro della contesa. Qui, i giorni passano e le decisioni vengono rinviate di 15 giorni in 15 giorni. Quali le ragioni oscure di questi rinvii. Si possono fare
diverse ipotesi. Una è legata alla non accettazione dei piani ambientali, che nessuno conosce ma che vengono continuamente descritti come risolutivi del rapporto produzione/ambiente; se fosse così risulterebbero sicuramente troppo onerosi per i due gruppi industriali e si sta trovando, sia pure nel cuore di una contesa, la maniera per eluderli.
La seconda ipotesi è il peso dei famosi soldi dei “paradisi fiscali” che nell’accordo governo-Procure-Riva-commissari, dovrebbero essere una sorta di ‘bonus di entrata’ messo a disposizione dell’acquirente. La terza va legata all’ignota cifra di acquisizione dell’Ilva su cui si gioca l’asta della svendita al miglior offerente. Qui, secondo voci, l’offerta sarebbe troppo bassa e il governo starebbe resistendo, chiedendo, diciamo, un rilancio.
Altra ipotesi, ancora, è che si possa essere di fronte a competitor prestigiosi, cioè a promesse mirabolanti ma soldi ancora tutti da trovare (uno scenario Cevital). Si è già parlato. D’altra parte, di come il gruppo Arcelor Mittal, pur essendo il primo produttore di acciaio nel mondo, sia pieno di debiti e recentemente si è visto il padrone Mittal chiedere anch’esso l’ingresso della Cassa Depositi e Prestiti, che ha risposto subito di essersi impegnata con l’altra cordata, o esprime disponibilità all’ingresso di altri soci, cosa che, vista la descrizione di floridezza che aveva fatto nei giorni caldi della propaganda, sembra quantomeno un pò contraddittoria. Lo stesso Jindal potrebbe avere problemi e il suo interessamento a Piombino potrebbe già essere l’ipotesi di una carta di riserva di minore dimensione e costi.
D’altra parte come non pensare che la guerra sull’Ilva sia anche una contesa tra iene su uno stabilimento comunque destinato alla morte? Come non pensare che le due cordate operino in una operazione di sciacallaggio industriale? Come non pensare che il tempo non giochi a favore dell’Ilva e che, quindi, si possa prenderla a condizioni ancor più vantaggiose, aspettando, traccheggiando? Come non pensare che la stalla è vuota e i buoi sono già scappati e le grandi committenze si vadano posizionando su altri fornitori? Quale altra spiegazione ha il boom della Turchia, il cui maggior produttore, inizialmente doveva far parte della “guerra dei bottoni” per l’Ilva e che ora già sembra aver acquisito fette del mercato Ilva, senza dover entrare nell’armata brancaleone della cordata Arvedi-Del Vecchio-CdP, somigliante in maniera impressionante alla cordata Alitalia, di cui si accendono i ceri in questo stesso periodo?
Guardando il tutto dal lato della classe operaia, delle masse popolari, non c’è da fare tante ipotesi. Padroni, governo e sindacati confederali marciano a tappe forzate verso la ristrutturazione-disastro. Padroni di Stato, commissari, padroni italiani, padroni indiani, vogliono solo profitti, e la carne da macello sono sempre gli operai, i quartieri inquinati, i salari, i diritti.
I governi sono degli autentici agenti e piazzisti dei padroni, i “sindacalisti delle cordate” sono impegnati ad ottenere solo qualche promessa ai Tavoli ufficiali e ai Tavoli segreti (gli operai stanno ancora aspettando di sapere che si sono detti quando, fuori da ogni procedura e da ogni calendario, hanno incontrato i padroni Mittal e Jindal), sindacati che hanno svenduto la fabbrica ai padroni ancor prima del governo e che ora trattano ‘corsi di riqualificazione’ grotteschi per gestire gli esuberi, corsi che con la complicità della Regione vogliono assegnare a Enti di formazione legati agli stessi sindacati – tra quanti anni poi dovremo parlare di “scandalo corsi” come dello “scandalo Vaccarella”?
Ma la denuncia sembra non far breccia nelle fila di operai resi sudditi, in attesa del “male minore”. Ma il “male minore” è quello di adesso, con condizioni di lavoro e di sicurezza costantemente precari e a rischio, con pezzi di fabbrica che cadono a pezzi, con un salario sempre ridotto, con tutti impegnati nella guerra di bassa intensità tra lavoratori, che le soluzioni dei Tavoli romani fomentano.
In ogni caso, focolai di lotta ci sono e sono sempre latenti, punti di ripresa e di ripartenza covano in ogni reparto e in ogni area, operai che vogliono sottrarsi al gioco al massacro e impugnare l’arma della lotta di classe, dell’unità di classe, dell’organizzazione di classe ci sono eccome.
Noi pensiamo che in questi due mesi si possano chiamare a venire allo scoperto, unirli in rete – non virtuale ma reale – una rete che non può in nessuna maniera coincidere con gli attuali sindacati presenti, compresa l’Usb – e che riparta dall’unica richiesta necessaria: nessun licenziamento, riduzione d’orario di lavoro a parità di paga, prepensionamento massiccio per chi ha già lavorato per 25 anni e che ha subito sulla sua pelle tutti i danni; unità tra operai e masse popolari, a partire dai quartieri inquinati in assemblee popolari, realmente libere e pensanti, nel senso di organizzare la nuova fase della lotta che serve per rispondere alla nuova fase dell’azione di padroni, governo, Stato. Ora più che mai: una scintilla può incendiare la prateria!“.
(leggi qui tutte le notizie sullo Slai cobas http://www.corriereditaranto.it/?s=slai+cobas)
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