L'ultima parola spetta alla Corte d'Assise
Corriere di Taranto
GIANMARIO LEONE
PUBBLICATO IL 16 MAGGIO 2022, 15:16
La Procura di Taranto ha espresso parere negativo in merito alla richiesta di dissequestro degli impianti dell’area a caldo del siderurgico di Taranto (il sequestro, inizialmente senza facoltà d’uso poi concessa dal governo Monti risale al 26 luglio 2012), avanzata attraverso un’apposita istanza dai Commissari straordinari di Ilva in Amministrazione Straordinaria, ancora oggi gli effettivi proprietari dell’azienda, alla Corte d’Assise di Taranto. Spetterà infatti a quest’ultimo organo giudicante emettere il parere definitivo sull’istanza, questo in virtù del fatto che la Corte nel maggio dello scorso anno, all’interno del dispositivo della sentenza di primo grado del processo ‘Ambiente Svenduto‘ (dove furono comminate 26 condanne a dirigenti della fabbrica, manager e politici per 270 anni di carcere e di cui ancora non si conoscono le motivazioni), dispose anche la confisca degli impianti, che però è revocabile e diventerà effettiva soltanto dopo la sentenza della Cassazione nell’ultimo grado di giudizio.
Ricordiamo che a supporto dell’istanza di dissequestro, i Commissari Straordinari di Ilva in AS portarono l’attuazione del Piano Ambientale del 2017, le cui prescrizioni dovranno essere attuate entro l’estate del 2023, giunta ad oltre il 90% dei lavori effettuati, come peraltro si è evinto durante l’ultima riunione dell’Osservatorio Ilva per l’attuazione del piano dello scorso 14 dicembre. A giudizio della struttura commissariale inoltre, la situazione del 2012 – sulla quale si basava e si basa ancora il sequestro preventivo – è completamente cambiata. Mancano solo alcuni interventi che per Ilva in AS comunque non sono in grado di cambiare la valutazione complessiva delle emissioni e delle prestazioni ambientali attuali. Anzi, il Piano Ambientale attuato per intero per Ilva in AS funzionerebbe anche a fronte di eventuali correzioni o ricalibraturedecise all’interno del procedimento ancora in corso, in merito al Riesame dell’AIA stessa.
Ma l’azione dei Commissari andava letta anche sotto un altro punto di vista. Il dissequestro degli impianti è la più importante delle condizioni sospensive dell’accordo di co-investimento tra ArcelorMittal Holding Srl, ArcelorMittal Sa e Invitalia in merito al gruppo siderurgico ex Ilva, firmato il 10 dicembre 2020 dai rispettivi amministratori delegati (le altre condizoni erano la modifica del piano ambientale in vigore per tenere conto delle modifiche del nuovo piano industriale e l’assenza di misure restrittive, nell’ambito dei procedimenti penali in cui Ilva è imputata nei confronti di Acciaierie d’Italia Holding o di sue società controllate). Il closing dell’intera operazione, inizialmente previsto entro il 31 maggio 2022 slitterà e molto probabilmente le parti decideranno o di posticiparne nel tempo la chiusura, oppure di sottoscriverne uno diverso.
Come abbiamo scritto in un articolo precedente, la trattativa è attualmente in corso: anche in questa settimana sono previsti altri incontri tra le parti.
L’intesa del 2020 prevedeva un primo aumento di capitale di AmInvest Co. Italy Spa (la società in cui Arcelor Mittal ha investito 1,8 miliardi di euro e che è affittuaria dei rami di azienda di Ilva in Amministrazione Straordinaria) per 400 milioni di euro avvenuto nell’aprile 2021, che ha concesso ad Invitalia il 50% dei diritti di voto della società.
A maggio del 2022, ovvero di quest’anno, era stato poi programmato un secondo aumento di capitale, che prevede una sottoscrizione fino a 680 milioni di euro da parte di Invitalia e fino a 70 milioni di parte di Arcelor Mittal. Questi 680 milioni di euro sono quelli che Invitalia deve versare ad Ilva in Amministrazione Straordinaria per acquistare gli impianti appartenenti al gruppo siderurgico. Al termine di questa seconda operazione, Invitalia diventerà l’azionista di maggioranza con il 60% del capitale della società, avendo Arcelor Mittal il 40%, nonché la proprietaria degli impianti. Ma questa
Per quanto attiene la struttura commissariale la posizione è su per giù la seguente: indipendentemente da quelle che saranno le richieste di Acciaierie d’Italia, i Commissari sono per il mantenimento della coerenza della proroga del contratto con l’attuale rapporto contrattuale, salvo che per la modifica della data del closing e per il regolamento di alcune questioni non significative sul piano economico, qualche precisazione e altre regolamentazioni resesi necessarie per questioni tecniche.
Secondo fonti ben informate sul dossier, pare invece che ArcelorMittal Italia abbia chiesto uno sconto di 200 milioni di euro sul prezzo finale d’acquisto ed un taglio del 25% sul canone d’affitto. Richieste a cui i Commissari avrebbero già opposto un netto rifiuto, essendo questioni sin troppo delicate da inserire in un nuovo accordo. Come si ricorderà ArcelorMittal Italia, nell’intesa del marzo 2020, ottenne già uno sconto sul 50% del canone totale di 180 milioni che scese a 90 milioni, con pagamento differito all’atto dell’acquisto. Il cui acquisto nel 2017 venne valutato in 1,8 miliardi di euro, a cui l’azienda chiede di sottrarne 200 in virtù del fatto che nel 2018, l’anno in cui subentro come affittuaria, il valore di mercato e patrimoniale dell’azienda non fosse quello dell’anno precedente. La struttura commissariale però, è bene sempre ricordarlo, di quelle risorse economiche ha bisogno, visto che per pagare gli interessi (pari all’11% su decisione dell’Unione Europea e che attualmente sono nell’ordine di 400 milioni solo per la prima tranche del finanziamento che si ottenne in tre interventi diversi da parte dello Stato) sui finanziamenti avuti dallo Stato dopo il 2015 che in totale ammontano a 1 miliardo di euro.
La sensazione è che la proroga del contratto arriverà all’estate del 2023, quando è prevista la scadenza dell’attuazione di tutte le prescrizioni del Piano Ambientale 2017 (che attualmente viaggia sul 90% dei lavori effettuati), con la possibilità concreta di ottenere il dissequestro degli impianti dell’area a caldo".
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