Il futuro lavorativo e salariale resta, sembra, incerto
Chissà cosa dirà domani, ai lavoratori della Tessitura di Mottola del gruppo Albini, il viceministro del ministero dello Sviluppo economico Alessandra Todde (Movimento 5 Stelle). Chissà se porterà delle novità sulla vertenza aperta da oltre un anno, nonostante il ministero dello Sviluppo economico sino ad oggi non abbia mai risposto alle richieste della sigle sindacali di categoria Femca Cisl, Filctem Cgil, Uiltec Uil ed Ugl Chimici, di aprire un tavolo di confronto ufficiale.
E’ pur vero che il viceministro sarà domani in provincia di Taranto e nel capoluogo e poi a Galatina in Salento, per incontrare altre realtà lavorative come l’ex Cementir (vertenza sulla quale in tanti si sono svegliati soltanto adesso dopo quasi 10 anni e dopo la procedura di licenziamento collettivo aperta dalla Italcementi lo scorso settembre) o visitare lo stabilimento della Vestas Blade Italia. Ma è fin troppo evidente che il tour della Todde è di natura elettorale, la cui regia appartiene al senatore Mario Turco, vicepresidente del Movimento, braccio destro dell’ex premier Conte e ritenuto oramai il capo del Movimento in terra ionica.
Del resto, l’incontro di Mottola vedrà la presenza del candidato sindaco del Movimento 5 Stelle, Barulli, alla ricerca dell’elezione alle amministrative del prossimo 12 giugno, per ottenere il secondo mandato da primi cittadino del comune del versante occidentale della provincia. Così come in quel di Taranto, dove prima dell’incontro con una delegazione di lavoratori ex Cementir e la visita alla Vestas, la stessa Todde incontrerà i candidati e gli attivisti del M5S di Taranto e il candidato sindaco del fronte progressista, Rinaldo Melucci, con il quale lo stesso Turco ha firmato giorni addietro il così detto ‘Contratto dei cittadini‘.
Ciò detto, è soprattutto l’incontro di Mottola ad essere molto atteso. Non fosse altro perché fu proprio lo stesso senatore Mario Turco lo scorso mese di febbraio, durante una riunione presso il Palazzo della Cultura a Mottola alla presenza di sindacati e lavoratori, a fornire degli aggiornamenti su un incontro avvenuto la settima prima presso il MiSE, alla presenza proprio della viceministra Todde, per avviare la chiusura positiva della vertenza.
In quell’occasione fu ufficializzato il nome dell’azienda interessata a rilevare l’opificio (come avevamo anticipato si tratta della Motion Spa, multinazionale di Forlì che produce la componentistica in due impianti in Vietnam e in Cina e che ha deciso di aprire un nuovo sito industriale in Italia, nelle scorse settimane era emerso anche il nome dell’azienda grottagliese Zanzar che a novembre è stata acquisita dal fondo dei Benetton). E venne quantificato l’investimento in 30-35milioni milioni di euro utili a creare in Italia il primo stabilimento per la produzione di componenti elettromeccanici ed elettronici destinati a rifornire le aziende che realizzano poltrone e divani. L’interesse della Motion non era e non è affatto casuale, visto che la stessa è un importante fornitrice del gruppo Natuzzi (che proprio tra Matera, Ginosa e Altamura ha il suo centro produttivo) e che la stessa Motion abbia una sua sede commerciale ad Altamura.
Peccato che all’entusiasmo della riunione dello scorso 28 febbraio, dove si dava quasi per imminente la chiusura positiva della vertenza, fece seguito l’incertezza dell’ultima riunione svoltasi il 18 marzo, alla presenza dello stesso senatore Turco, del sindaco di Mottola Barulli, dei sindacati di categoria Femca Cisl, Filctem Cgil, Uiltec Uil ed Ugl Chimici e dei lavoratori.
Il primo problema messo sul piatto riguardava la richiesta della Motion spa di ottenere un aiuto economico da parte dello Stato per la realizzazione dell’investimento: se a febbraio si era data per certa la copertura al 100% dello stesso da parte dell’azienda (non sappiamo se per un errore di comunicazione tra le parti o altro), a marzo la società avrebbe chiesto che il 40% venisse coperto dallo Stato. Cosa fosse cambiato in poche settimane non era chiaro. A meno che appunto i termini dell’interessamento non fossero stati sin da subito questi.
Altro ostacolo da registrare, l’intenzione del gruppo Albini di non svendere il sito produttivo di Mottola: la richiesta infatti è una cifra vicina ai 5 milioni di euro, giudicata troppo esosa dalla Motion, che ha chiesto a sindacati ed istituzioni di fare pressioni affinché si possa addivenire ad una riduzione del prezzo stabilito dal gruppo bergamasco. Che certamente non cederà al prezzo simbolico di 1 euro il suo stabilimento, come fece l’ex Miroglio per i siti di Ginosa e Castellaneta. Nonostante anch’esso abbia ottenuto, ben 18 anni fa dalla Spi (la,società di promozione industriale dell’ex Iri), le agevolazioni previste dalla legge 181 del 1989 per la reindustrializzazione delle aree di crisi siderurgica, per aprire a Mottola la tessitura per camiceria di alta gamma.
Non è un caso se il sindaco Barulli e il senatore Turco al termine della riunione di marzo scelsero il silenzio, a differenza dei comunicati entusiasti delle precedenti settimane. Ci si lasciò però con l’auspicio che la Motion avrebbe di lì a poco inviato al MiSE il piano industriale con la richiesta di partecipazione all’investimento. E le istituzioni locali che nel frattempo avrebbero cercato la mediazione con il gruppo Albini per far abbassare la richiesta del gruppo bergamasco per la cessione dello stabilimento.
Certo, la speranza è che domani il viceministro comunichi la svolta tanto attesa nella vertenza. Portando finalmente buone notizie concrete ai lavoratori. Questo perché, lo ricordiamo ancora una volta, i protagonisti principali sono i 114 lavoratori e le loro famiglie. Che al temine della cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività (che scadrà il 28 ottobre), qualora non ci dovessero essere importanti novità per la risoluzione della vertenza, sono attesi dalla NASPI, ovvero la procedura di indennità per la disoccupazione che spetta ai lavoratori che hanno perso il lavoro non per loro responsabilità: procedimento che ha un periodo di copertura massima pari a due anni.
Un motivo che da solo basta e avanza affinché tutti gli attori della vicenda mantengano un profilo più basso cercando, ognuno nel suo ambito, di fare il possibile affinché il tutto si concluda positivamente. Senza ricorrere ad annunci ed iniziative che illudano i lavoratori e compromettere ulteriormente il loro futuro già di per sé precario. E senza trasformarli in strumento da campagna elettorale per poi abbandonarli al loro destino. Staremo a vedere.
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