martedì 7 giugno 2022

Acciaierie d'Italia e appalto - IL PUNTO DELLA SITUAZIONE -- Il volantino diffuso questa mattina alle portinerie

 

 
IL PUNTO DELLA SITUAZIONE 
 
La proroga di almeno due anni del contratto tra Acciaierie d’Italia e Ilva AS, al di là delle motivazioni, alcune vere e altre strumentali, dal punto di vista degli operai potrebbe essere una notizia che alla fine non cambia niente. In parte perché lo si sapeva già, in parte perché, secondo il nostro giudizio, la chiusura di questo contratto comporterà un piano industriale “lacrime e sangue”, di cui il governo avrà la responsabilità maggioritaria, che sfocerà nell’abbandono definitivo al loro destino dei 1600 operai attualmente in cigs in Ilva AS e un nuovo accordo peggiorativo di quello, che noi peraltro non abbiamo mai condiviso, del 2018, con nuove migliaia di esuberi e un’intensificazione dello sfruttamento di chi lavora per fare più acciaio con meno operai. E’ inutile, poi, affidarsi alle decisioni, finora in realtà fuori controllo, in materia di ambientalizzazione e riduzione di emissioni inquinanti.
Inoltre, i piani di decarbonizzazione e impianto ad idrogeno sono comunque di lungo periodo, condizionati dal mercato, dai costi, tutti fattori in peggioramento sia per la crisi internazionale economica e di sovrapproduzione sia per effetto della sua trasformazione in guerra inter imperialista con il focolaio acceso dell’Ucraina invasa dall’imperialismo russo e dall’azione aggressiva e alimentatrice di guerra di Usa/Nato, Europa, Italia compresa.
D’altra parte, questo “nuovo impianto” non ha nessuna possibilità di recuperare in termini di occupazione gli esuberi strutturali del primo impianto.
Quindi più tardi viene questa chiusura del contratto meglio è, potremmo dire. Ma purtroppo non è neanche così. Come giustamente sottolineano anche le direzioni sindacali confederali: non vogliamo altri due anni come questi, all’insegna della cassintegrazione permanente, unilaterale, dell’insicurezza sugli impianti che mettono a rischio la vita dei lavoratori, di un appalto sempre più dipendente, precarizzato, pieno di cassintegrazione e licenziamenti diretti o mascherati (vedi la Peyrani) e di gioco delle parti tra Acciaierie d’Italia e padroni e padroncini dell’appalto scaricati sui lavoratori, anche con accordi bidone (come ad esempio il caso della Pellegrini).

Ma se non vogliamo questi altri due anni bisognava stare ai fatti.
Lo sciopero del 6 maggio è riuscito, gli operai hanno dato fiducia alle organizzazioni sindacali che l’hanno promosso, con una partecipazione più alta di altre volte. Uno sciopero che è diventato anche molto combattivo, incisivo e ha fatto notizie anche a livello nazionale per la giusta contestazione della Morselli, che ha fatto capire meglio di tanti volantini che gli operai sono stanchi, arrabbiati e non vogliono più questa gestione arrogante e da padroni delle ferriere incarnata dalla “dama di ferro” che può farsi forte quando gli operai sono deboli e i sindacati succubi.
Nel pomeriggio di quello sciopero i segretari confederali tutti e l’Usb compreso hanno promesso continuità della lotta, 3 assemblee generali subito e una manifestazione a Roma. Ma in realtà non è successo niente. E’ cominciata la solita manfrina di lettere per richieste di incontri che non sono stati concessi, di attese che poi si sono rivelate scontate perché succede sempre così quando gli operai stanno a guardare, e i sindacati, lo vogliano o no, non disturbano il manovratore.

E’ questo che continua a non andare. Quando si dice: continuità della lotta, bisogna realizzarla. Altrimenti i lavoratori si fanno convinti che sono sempre e solo chiacchiere – in buona o cattiva fede che siano – si perde fiducia negli scioperi e poi tornano i soliti discorsi: che sono gli operai che non vogliono lottare… e poi c’è il solito spazio ad avventurieri da strapazzo che continuano stupidamente a pensare e ad alimentare l’idea che deve essere la magistratura a risolvere i problemi (e quindi, Corte di Strasburgo, Corte d’Assise, ecc.). I magistrati anche quando fanno il loro dovere possono sanzionare reati, fare raccomandazione, ma le fabbriche non si chiudono né si risanano senza gli operai, contro gli operai. Lo Stato non è un organo al di sopra delle parti, ma attraverso anche i suoi governi, i suoi ministri, è al servizio degli interessi dei padroni e della loro economia.
Solo la lotta unitaria  e generale, continuata e bene organizzata, a livello di fabbrica, città, a livello di gruppo industriale nazionale, a livello di classe operaia in generale può farci uscire dal vicolo cieco in cui il sistema capitalistico ci trascina.

Ma criticare, lamentarsi non basta. Quindi, per noi bisogna partire da dove abbiamo lasciato: assemblee generali, piattaforma operaia chiara e semplice, lotta prolungata fino a risultati tangibili, riconosciuti e approvati dai lavoratori.
Questa è l’unica strada possibile e lo Slai cobas per il sindacato di classe la indica agli operai perché in forma organizzata e collettiva possa essere impugnata e portata avanti.
7.6.22

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