"Per i "working poors" d'Europa, le persone che lavorano per retribuzioni talvolta al di sotto della soglia di povertà o quelli che riescono a starci sopra per poco, è una buona notizia" (da Sole 24 Ore").
Ciò che c'è di buono è solo la notizia, appunto, il fatto che in Europa si sia cominciato a porre la questione del salario.
Noi siamo con i lavoratori che hanno salari contrattuali da sempre molto bassi (i lavoratori e lavoratrici dei contratti Multiservizi, coop sociali, ristorazione, agricoltura, ecc), che hanno visto i loro salari tagliati in questi anni e ora sempre più ridotti dal carovita, dall’aumento delle bollette, benzina, dall’inflazione, fino alla miseria, senza che nessun intervento sia fatto per difendere i salari; siamo con i lavoratori precari, tra cui tantissime donne, con orari e giornate al minimo, e periodi di non lavoro; siamo con i disoccupati, chi perde il lavoro; ecc.; siamo con tutti quei lavoratori, giovani, donne per cui il “salario minimo” porterebbe ad aumento del loro attuale misero salario orario, o ad un reddito stabile.
In questo senso serve un provvedimento generale, una legge che fissi un salario base, sotto il quale non
si può andare.Per la UE il provvedimento del salario minimo è la loro risposta ad un aumento dell’inflazione, dei prezzi che andrà avanti; dal loro punto di vista serve per uniformare la situazione dei salari minimi in Europa; serve per frenare richieste/lotte per aumenti salariali settoriali, non controllati, in nome dell’interesse generale della classe capitalista; è in un certo senso la risposta al timore espresso giorni fa da Visco sulla “rincorsa salari-prezzi”.
Cosa succede ora con questa decisione della UE?
Per l'Italia (che è tra i 6 paesi su 27 che non hanno già una legge sul salario minimo), il giornale della Confindustria, e anche gli altri, dice subito "Nessuna conseguenza diretta per l'Italia dall'accordo politico raggiunto a livello europeo sulla direttiva sui salari minimi... "non imponiamo all'Italia il salario minimo..." - ha spiegato il commissario europeo al lavoro Nicolas Schmit".
Poi ci sono i tempi: "il testo definitivo della direttiva dovrà passare al vaglio del voto parlamentare e dei governi. Poi ci sarà tempo due anni per incorporarla nelle legislazioni nazionali...".
E, intanto, nel merito c'è ancora troppo poco: si tratta solo di indicazioni, di “consigli”, anche sull’introduzione di una sorta di “scala mobile”, in vigore già in diversi paesi.
In Italia c’è la maggioranza del governo, del parlamento che o è contraria esplicitamente, la Lega, ma anche rappresentanti del centrodestra, che rappresenta parte di quei settori padronali che danno salari bassi, o esprime forti perplessità, Draghi non è certo entusiasta, vuole continuare a dare quelle minime elemosine (come le 200 euro una tantum di luglio), ma non vuole riconoscere un aumento stabile del salario; gran parte del padronato non lo vuole, perché non vuole provvedimenti sul salario che siano di fatto alternativi alla loro richiesta di riduzione del costo del lavoro, della tassazione, contribuzione. C’è un dibattito/scontro che si trascina, tra chi (M5S in particolare) propone 9 euro lorde, come salario minimo orario, che è comunque basso rispetto ad altri paesi europei (in Germania passerà al 12 euro, in Francia è a 10 euro); e chi propone di estendere erga omnes l’applicazione dei minimi dei contratti.
Ci sono i sindacati confederali, in particolare Landini, che non sono favorevoli, perché una legge di questo genere svaluterebbe la contrattazione. Ma questo da un lato è assolutamente falso, perché i Contratti collettivi nazionali servono eccome per avere molto più del “minimo”; dall’altro è una sorta di auto-dichiarazione dei sindacati confederali che la loro contrattazione non recupera neanche una parte della perdita salariale per l’inflazione, figurarsi aumenti effettivi.
Il “salario minimo” è una necessaria rivendicazione di molti settori dei lavoratori e lavoratrici a fronte dei loro bassi salari attuali; ma non può affatto sostituire la lotta sindacale per avere “salari massimi”
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