lunedì 4 gennaio 2021

Che succede all'acciaieria di Piombino - Nessuna illusione: la "soluzione Taranto" porta ugualmente a esuberi e a nessuna soluzione per salute e ambiente - vedi di seguito l'analisi critica dello Slai cobas sc


Nell'ultimo incontro tra Jsw, governo e sindacati, è andato in scena un altro rinvio di questa infinita serie, condito come al solito da promesse e miraggi mirabolanti. E' passato un anno da quando Jindal avrebbe dovuto presentare il piano industriale, invece niente piano industriale, niente investimenti, indotto disastrato e uno stabilimento che ormai si smantella ... spontaneamente. Solo il caso ha impedito che la recente caduta della gru provocasse una strage (avvenuta pochi giorni fa). Nell'incontro, oltre ai gravi problemi ambientali (cokeria) è stato completamente omesso proprio il tema degli smantellamenti nonché la parte extra siderurgica del mitico piano Carrai (rigassificatore, preridotto, pale eoliche, riciclo plastica, ecc.); piano il quale, a suo dire, dovrebbe miracolosamente consentire il ricollocamento di metà del personale, mentre se ne trascurano le pesanti ricadute ambientali, in contraddizione con l'indispensabile diversificazione economica e occupazionale, e comincia ad affacciarsi qua e là la parola esuberi.

Non si è parlato, con cifre e impegni precisi, del rifacimento dei laminatoi o meglio della costruzione ex novo (come dovrebbe essere), a partire dal Tpp che è necessario spostare in padule, lontano dall'abitato così come l'unico forno elettrico a tutt'oggi previsto, dei tre promessi nel tempo che fu. Non c'è stato nessun chiarimento sulla quota con cui dovrebbe entrare lo Stato in Jsw, né sulla governance dello stabilimento, né sul ruolo di Piombino all'interno di un piano nazionale della siderurgia. Invece, di bonifiche ne hanno parlato, ma solo per prevedere l'ennesimo tavolo ministeriale.

Non ne possiamo più di dire che Jindal deve essere estromesso dalla direzione della fabbrica. Lo Stato deve riprendersi lo stabilimento per tornare a colare acciaio nel quadro di un piano nazionale della siderurgia, su cui impegnare una mobilitazione sindacale nazionale perché Piombino sia trattato come Taranto: che fine hanno fatto le promesse del ministro Patuanelli? Adesso lo Stato deve prevedere per Piombino un piano di investimenti di portata storica per le bonifiche, le infrastrutture, la diversificazione economica e la ripartenza delle acciaierie per una produzione pulita di alta qualità. Un piano di rinascita che deve essere elaborato dai cittadini e dai lavoratori insieme e trovare le risorse soprattutto nel Recovery fund, da cui il nostro territorio, a oggi, sarebbe addirittura escluso.

Tutto questo lo potremo conquistare solo con mobilitazioni eccezionali. Dovremo arrivare al prossimo incontro su Piombino in quanto caso nazionale per quanto riguarda l'occupazione e l'ambiente: per questo chiediamo con forza ai sindacati di indire (appena vi sarà zona gialla) un'assemblea dei lavoratori in cui organizzare presidi permanenti, per tutto il mese di gennaio, davanti alla fabbrica, in città e altre iniziative eclatanti. Sta a tutti noi decidere, lavoratori e cittadini insieme: o ci prendiamo in mano il nostro destino o restiamo in balìa degli interessi di altri (a partire dalle multinazionali), rendendo irreversibile il disastro che ha sconvolto Piombino nell'ultimo decennio.
3 gennaio 2021

Coordinamento Art.1-Camping CIG

L'ANALISI CRITICA DELLO SLAI COBA SC SULL'ACCORDO GOVERNO/ARCELORMITTAL

L’accordo tra governo e ArcelorMittal non risolve né le questioni occupazionali, né quelle della salute e dell’ambiente.
Prima cosa: lo Stato ci mette soldi per acquisire quote societarie della società AMI, 400 mln ora e 680 a maggio del 22. Questi soldi serviranno per ricapitalizzare la società.
AM in questi due anni avrebbe dovuto versare 1.800.000 scalandoli dall’affitto, in realtà non ha pagato tutti i mesi e poi una parte gli è stata abbuonata.
Per i lavori di ambientalizzazione AM avrebbe dovuto mettere 4,2 mld; l’Ilva AS dichiara che nel 2019 ha investito 530 mln per interventi ambientali, mentre AM ne avrebbe messo 67 mln.
Quindi non è un acquisto da parte di AM, ma è lo Stato che compra. Neanche ai tempi di Riva che comprò per pochi spiccioli l'Ilva è avvenuto questa iniezione di denaro pubblico.
Possiamo dire che AM non è un imprenditore ma un “prenditore”.
Per quanto riguarda la divisione delle responsabilità della fabbrica, Invitalia ora ha la presidenza che poco conta, mentre AM ha l’amministratore delegato, con sempre la Morselli tagliatrice di teste. Poi Invitalia avrà il 60%.
In questa maniera, dicono i sindacati aziendalisti, lo Stato controlla la fabbrica. Non è così. sono soldi dati a AM senza possibilità di controllo, questo è stato già verificato nei fatti già accaduti.
L'accordo è frutto di minacce e ricatti fatti da AM nei mesi passati, con cui ha ottenuto ciò che voleva.


Il testo dell'accordo non lo ha ancora letto nessuno. Ma dai comunicati fatti sia dal governo che da AM si sa che vi sono due condizioni poste da Mittal nell’accordo.
Una è la modifica del piano ambientale secondo il piano industriale; l’esperienza ci dice che quando si parla di modifica si intende riduzione e tempi più lunghi.
Ma è il secondo punto dirimente: l’accordo va avanti se viene dissequestrato tutto lo stabilimento - l'area a caldo è tutt’ora sequestrata anche se con facoltà d’uso, e dovrebbe essere dissequestrata a compimento dei piani ambientali. AM ora invece dice: deve essere dissequestrata subito. Insieme, pone la cancellazione di tutti i reati ambientali, immunità totale e permanente (era già stata tolta dal governo ma AM la vuole a 360°). Questa condizione farà riaprire un nuovo contenzioso con i giudici.
Altro contenzioso sarà con la UE, perchè i soldi dati dallo Stato possono essere considerati, e noi diciamo che lo sono, aiuto di Stato.

Ma le due questioni più negative e pesanti riguardano i lavoratori e la salute.

Per i lavoratori, alla faccia delle "garanzie" che offrirebbe lo Stato entrando nella società, l'accordo prevede che da gennaio ci saranno 3000 operai in cig, questo numero dovrebbe ridursi via via ogni anno fino al 2025, quando si dice che dovranno rientrare tutti gli operai i 10.700 operai a livello nazionale; chiaramente 3000/3500 già sono in cassintegrazione covid, alcuni operai vengono chiamati al lavoro per 1 giorno al mese, gli operai in cig prendono il 56/58 % del salario e ora rischiano anche la 13a. Quindi, nonostante l'intervento dello Stato, permane l'attacco al lavoro e ai salari.
Nella piattaforma operaia su cui abbiamo raccolto le firme, e in un’altra raccolta fatta da un gruppo di operai si chiede che la cig copra il 100% del salario perso. Nell'accordo il governo neanche si è impegnato a dare almeno l’integrazione della cassintegrazione.
In questo accordo inoltre vengono esclusi definitivamente i 1700 operai rimasti in carico all’Ilva in amministrazione straordinaria; questi non rientreranno più - quando l’accordo del settembre 2018 diceva che sarebbero dovuti rientrare.

Sul piano ambientale si prevede una mini trasformazione: un ciclo ibrido. Da un lato due altoforni a carbone, tra cui il 5 che è quello che garantisce la maggior produzione dell’acciaio, dall'altro verrà fatto un solo forno elettrico (prima si parlava di due). Questo forno elettrico dovrebbe produrre 2mln di tonn, vuol dire, quindi, che la maggior parte dell’acciaio verrà fatto sempre con l'attuale tecnologia inquinante.
Gli operai che stanno a contatto diretto con gli agenti nocivi e la popolazione dei quartieri vicini alla fabbrica hanno avuto la “risposta”.
A parte questo, il piano industriale dice che questa nuova linea verrà fatta con la costituzione di una nuova società a capitale pubblico in cui lo Stato metterà altri soldi, e sarà una linea di produzione esterna.
L'accordo prevede, inoltre di separare la società partecipata dai conti del gruppo AM – così se la società partecipata va male non incide sui conti del gruppo; così come la separazione dell'attività commerciale di AMI dalle corporate. AM, vale a dire, non rischia niente.
Ancora, altri soldi pubblici sono previsti nell’accordo per “finanziamento dell’occupazione”, ovvero il governo deve pagare una parte della forza lavoro - uguale: profitti ai padroni, costi allo Stato.

Si realizza di fatto con questo accordo la funzione del governo come “comitato di affari della borghesia”, cioè la classica: socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti.

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