Da Corriere di Taranto - Si è svolto nel pomeriggio a Roma, presso la sede nazionale di Confindustria, l’incontro convocato nei giorni scorsi tra ArcelorMittal Italia, Invitalia e i sindacati metalmeccanici Fim Cisl, Fiom Cgil, Uil Uilm, Ugl Metalmeccanici e Usb. Presente l’amministratore delegato di AMI Lucia Morselli, mentre Invitalia era rappresentata da Ernesto Somma, responsabile dell’area Incentivi ed Innovazione. Non era presente nessun esponente del Governo...
La riunione che segue quella del 22 dicembre a Roma dopo la firma dell’accordo di Co-Investimento dell’11 dicembre... è servita soprattutto per fare un aggiornamento della situazione, tenuto conto che l’operazione ArcelorMittal Italia-Invitalia, attende ancora il via libera dell’Antitrust Ue, previsto entro il 10 febbraio prossimo. Un via libera che per la società ed Invitalia non dovrebbe essere in pericolo, ma che comunque in caso di pronuncia negativa vedrà la riformulazione dell’accordo.
Durante l’incontro sono state proiettate diverse slide sulla situazione attuale dell’azienda, a cominciare dai numeri riguardanti l’occupazione. ArcelorMittal ha in cassa integrazione 4mila dipendenti. Altri 500 risultano in ferie e ulteriori 500 assenti per altri diversi. La forza attiva è di poco superiore ai 6.500 addetti. Sono invece 10.605 i dipendenti in forza al gruppo ArcelorMittal in tutta Italia alla data del 31 dicembre scorso. Si tratta di 95 unità in meno rispetto ai 10.700 addetti previsti dall’accordo al MiSE tra sindacati e azienda di settembre 2018. A fine marzo 2019, gli assunti erano invece 10.586. I numeri comprendono i siti di Racconigi, Legnano, Novi Ligure, Marghera, Genova, Milano, Paderno e Taranto più tre società le cui sedi sono Salerno, Taranto e Genova-Taranto (si tratta in quest’ultimo caso di AM Italy Maritime).
Da ricordare che sulla cassa integrazione, con causale Covid, è stata aperta nei giorni scorsi una nuova proroga per 12 settimane nel sito di Taranto per un massimo di 8.100 unità circa. A Taranto la cassa Covid è in corso da marzo scorso. Prima, a partire da luglio 2019, si è fatto ricorso alla cassa integrazione ordinaria per un massimo di 1.300 dipendenti.
Nel frattempo, ovvero sino al 2025 quando dovrebbe essere completato il nuovo piano industriale, ci sarà una lunga transizione di cassa integrazione a scalare, con 3 mila addetti già in quest’anno. I sindacati hanno nuovamente chiesto che i numeri della cassa siano sfoltiti, che la transizione sia accorciata e che l’occupazione sia garantita anche ai 1.800 addetti di Ilva in amministrazione straordinaria, per ora fuori da ogni discorso di rientro...
Per quanto riguarda i numeri finanziari, oltre ai 270 milioni di investimenti effettuati lo scorso anno dichiarati da ArcelorMittal Italia, quest’anno la società di cui è partner paritetico Invitalia prevede di investire 310 milioni di euro. Nel 2022 sono previsti investimenti pari a 412 milioni, che diveteranno 433 nel 2023, 427 nel 2024 e 300 milioni nel 2025.
Tra i principali investimenti che ArcelorMittal Italia e Invitalia metteranno in cantiere quest’anno, è stato confermato il revamping dell’altoforno 5, il più grande d’Europa che da solo vale il 40-45% della produzione del siderurgico tarantino, spento dal 2015 sotto la gestione dei commissari straordinari. Per l’altoforno 5, il piano industriale prevede il completamento di tutte le specifiche tecniche e la progettazione dell’intervento con i fornitori principali, oltre all’assegnazione degli ordini.
Sono stati poi annunciati, si è letto sempre sulle slide proiettate oggi, più di 50 interventi di manutenzione straordinaria negli stabilimenti principali del gruppo per il miglioramento dell’affidabilità tecnica degli impianti. Annunciato anche un piano di investimenti integrato, dall’acciaieria alla latta, “per il raggiungimento delle migliori performance qualitative e realizzare così gli obiettivi commerciali che ci si è prefissati”.
ll piano industriale contempla anche la sostituzione della gru del IV sporgente del porto di Taranto, crollata in mare dopo la tragedia di luglio 2019 quando a causa del mancato funzionamento dei sistemi anti-uragano, durante una violentissima tempesta di vento morì il gruista Cosimo Massaro...
Prevista anche la sostituzione di 3 delle 4 macchine bivalenti del parco minerali, che scaricano e prelevano le materie prime a seconda che arrivino dallo sbarco o che debbano essere indirizzate alla produzione. Le macchine sono giunte ormai a fine vita tecnica.
Per quanto riguada invece il nuovo forno elettrico, che dovrebbe produrre 2,5 milioni di tonnellate annue di acciaio, il progetto è stato avviato ma dovrà essere sottoposto al vaglio ed all’approvazione del ministero dell’Ambiente, in quanto dovrà essere inserito all’interno dell’Autorizzazione integrata ambientale.
Tornando all’attualità, nel 2021 i tre altiforni operativi attualmente, l’1, il 2 e il 4, non marceranno a pieno regime. Solo l’altoforno 1, infatti, marcerà al 100%, l’altoforno 2, che è stato annunciato nei giorni scorsi in ripartenza a fine mese, marcerà al 90% (una volta conclusi i lavori di ammodernamento e sicurezza fatti fare da Ilva in amministrazione straordinaria che dovranno ottenere l’ok della Procura di Taranto), mentre l’altoforno 4 all’85% perché sarà interessato da due mesi di fermata per lavori a marzo ed aprile, per una manutenzione straordinaria. Anche l’acciaieria 1, che riparte a fine mese seppure parzialmente come annunciato oggi dall’azienda, subirà uno stop di due mesi per la fermata dell’altoforno 4.
L’obiettivo produttivo per il 2021 è stato fissato a 5 milioni di tonnellate di acciaio, di cui i laminati a caldo costituiranno 4,82 milioni. La componente dei prodotti verticalizzati sarà pari a 2,60 milioni di tonnellate, ha informato l’azienda. Un incremento rispetto ai 3,3 milioni di tonnellate di spedizioni del 2020, in attesa di raggiungere i 7,2 milioni di tonnellate nel 2025, quando secondo i progetti in essere il nuovo piano industriale sarà stato completato. Sono invece 6 i milioni previsti nel 2022. L’eventuale traguardo da 8 milioni del 2025 di cui 2,5 milioni verranno da forno elettrico, dovrà comunque ottenere il via libera del ministero dell’Ambiente.
La posizione dello Slai cobas per il sindacato di classe Taranto sull'accordo governo/ArcelorMittal dell'11 dicembre
L’accordo tra governo e ArcelorMittal, secondo noi e gli operai che abbiamo sentito, come prima
Prima cosa: lo Stato ci mette soldi per acquisire quote societarie della società AMI, 400 mln ora e 680 a maggio del 22. Questi soldi serviranno per ricapitalizzare la società.
AM in questi due anni avrebbe dovuto versare 1.800.000 scalandoli dall’affitto, in realtà non ha pagato tutti i mesi e poi una parte gli è stata abbuonata. Per i lavori di ambientalizzazione AM avrebbe dovuto mettere 4,2 mld; l’Ilva AS dichiara che nel 2019 ha investito 530 mln per interventi ambientali, mentre AM ne avrebbe messo 67 mln.
Quindi non è un acquisto da parte di AM, ma è lo Stato che compra. Neanche ai tempi di Riva che comprò per pochi spiccioli l'Ilva è avvenuto questa iniezione di denaro pubblico. Possiamo dire che AM non è un imprenditore ma un “prenditore”.
In questa maniera, dicono i sindacati aziendalisti, lo Stato controlla la fabbrica. Non è così. sono soldi dati a AM senza possibilità di controllo, questo è stato già verificato nei fatti già accaduti.
L'accordo è frutto di minacce e ricatti fatti da AM nei mesi passati, con cui ha ottenuto ciò che voleva. Dove è il ruolo del governo a controllo della difesa dei posti di lavoro, delle condizioni di sicurezza e salute, degli interventi ambientali? Tutti i passaggi sono stati di accettazione delle volontà di AM. È un accordo che vede AM tenere salde e ottenere le sue pretese.
...vi sono due condizioni poste da Mittal nell’accordo e che potrebbero mettere in discussione l’accordo stesso.
Una è la modifica del piano ambientale secondo il piano industriale; l’esperienza ci dice che quando si parla di modifica si intende riduzione e tempi più lunghi.
Ma è il secondo punto dirimente: l’accordo va avanti se viene dissequestrato tutto lo stabilimento - l'area a caldo è tutt’ora sequestrata anche se con facoltà d’uso, e dovrebbe essere dissequestrata a compimento dei piani ambientali. AM ora invece dice: deve essere dissequestrata subito. Insieme, pone la cancellazione di tutti i reati ambientali, immunità totale e permanente (era già stata tolta dal governo ma AM la vuole a 360°). Questa condizione farà riaprire un nuovo contenzioso con i giudici.
Altro contenzioso sarà con la UE, perchè i soldi dati dallo Stato possono essere considerati, e noi diciamo che lo sono, aiuto di Stato.
Ma le due questioni più negative e pesanti riguardano i lavoratori e la salute.
Per i lavoratori, alla faccia delle garanzie che offrirebbe lo Stato entrando nella società, l'accordo prevede che da gennaio ci saranno 3000 cig, questo numero dovrebbe ridursi via via ogni anno fino al 2025, quando si dice che dovranno rientrare tutti gli operai i 10.700 operai a livello nazionale; chiaramente 3000/3500 già sono in cassintegrazione covid, alcuni operai vengono chiamati al lavoro per 1 giorno al mese, gli operai in cig prendono il 56/58 % del salario e ora rischiano anche la 13a. Quindi, nonostante l'intervento dello Stato permane l'attacco al lavoro e ai salari.
Nella piattaforma operaia su cui abbiamo raccolto le firme, e in un’altra raccolta fatta da un gruppo di operai si chiede che la cig copra il 100% del salario perso. Nell'accordo il governo neanche si è impegnato a dare almeno l’integrazione della cassintegrazione.
In questo accordo inoltre vengono esclusi definitivamente i 1700 operai rimasti in carico all’Ilva in amministrazione straordinaria; questi non rientreranno più - quando l’accordo del settembre 2018 diceva che sarebbero dovuti rientrare.
Sul piano ambientale si prevede una mini trasformazione: un ciclo ibrido. Da un lato due altoforni a carbone, tra cui il 5 che è quello che garantisce la maggior produzione dell’acciaio, dall'altro verrà fatto un solo forno elettrico (prima si parlava di due). Questo forno elettrico dovrebbe produrre 2mln di tonn, vuol dire, quindi, che la maggior parte dell’acciaio verrà fatto sempre con l'attuale tecnologia inquinante.
Gli operai che stanno a contatto diretto con gli agenti nocivi e la popolazione dei quartieri vicini alla fabbrica hanno avuto la “risposta”.
A parte questo, il piano industriale dice che questa nuova linea verrà fatta con la costituzione di una nuova società a capitale pubblico in cui lo Stato metterà altri soldi, e sarà una linea di produzione esterna.
L'accordo prevede, inoltre di separare la società partecipata dai conti del gruppo AM – così se la società partecipata va male non incide sui conti del gruppo; così come la separazione dell'attività commerciale di AMI dalle corporate. AM, vale a dire, non rischia niente.
Ancora, altri soldi pubblici sono previsti nell’accordo per “finanziamento dell’occupazione”, ovvero il governo deve pagare una parte della forza lavoro - uguale: profitti ai padroni, costi allo Stato.
Si realizza di fatto con questo accordo la funzione del governo come “comitato di affari della borghesia”, cioè la classica: socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti.
Che AM non se ne volesse andare da Taranto noi lo abbiamo detto da tempo, nonostante altri, Usb in particolare, che ne ha fatto la sua bandiera, ma era anche l'illusione/speranza di alcuni operai, dicessero che Mittal se ne andava.
Mittal non se ne va, questo stabilimento è strategico nel Mediterraneo, è il più grande d’Europa, quindi Mittal ci resta e non se lo lascia scappare, ma, anche con questo accordo, punta ad avere i massimi risultati e a socializzare/scaricare i rischi,
È un accordo, quindi, che va contrastato. In tutto questo periodo i sindacati in fabbrica si sono lamentati perché sono stati trattati a “pesci in faccia” con incontri indegni, per ogni sindacato,
con Patuanelli e a volte la Morselli a sciorinare i loro dati e promesse e con i sindacati che stavano a sentire. Ora, di fronte a questo accordo dicono che è un bene che lo Stato entra, è una garanzia, pur se chiedono di vedere bene le carte, ma con queste premesse la trattativa se si aprirà potrà solo “limare” alcuni punti. In tutti questi mesi, a parte i lamenti e qualche denuncia sulla situazione a rischio all'interno, i sindacati non hanno portato alcuna richiesta concreta sui Tavoli, non hanno posto la questione della riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, che in una fabbrica siderurgica sia per la salute sia per la difesa dell'occupazione, è una rivendicazione pienamente legittima; non hanno posto la questione dei prepensionamenti contro gli esuberi.
Inoltre,i sindacati in fabbrica sono mesi che non fanno un'assemblea.
Quindi, non è con questi sindacati che si può contrastare l'accordo e la situazione in fabbrica, ma organizzandosi autonomamente.
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