La nuova crisi di Taranto mette
a repentaglio il futuro dell'Ilva e, automaticamente, trascina con
sé il destino di Cornigliano. Rispetto a tutti gli altri allarmi passati, però,
questa volta l'impressione che si stia giocando la partita decisiva è quanto mai
concreta. E dall'esito della stessa può dipendere la continuità aziendale o
l'irreversibile crisi. Leggere però la situazione di Cornigliano soltanto in
forma indiretta, cioè esclusivamente connessa alla ripresa o alla caduta di
Taranto, sarebbe improprio. Perché a questo lo stabilimento del ponente genovese
aggiunge problemi peculiari, come una banda stagnata appena ripartita e già in
affanno (con il rischio di perdere una ricca commessa spagnola) e una linea di
zincatura nuovissima, frutto dell'accordo di programma, ma ferma da due anni.
Per questo, una crisi di liquidità potrebbe anche mettere a rischio il pagamento
degli stipendi di novembre.
La “newco”, la nuova società pronta a
partire “pulita”, confidava (e ancora confida) di mettersi in movimento con una
dotazione di 1,2 miliardi, frutto del sequestro dei beni alla famiglia Riva
deciso dalla Procura di Milano. Il fatto è che i Riva hanno presentato ricorso
contro questa decisione e quel punto la banca che avrebbe dovuto mettere a
disposizione la liquidità si è fermata in attesa che il tribunale svizzero si
pronunci sulla legittimità del sequestro. Potrebbe essere questione di un mese,
ma il tribunale potrebbe anche prendersi qualche mese in più. A questo punto, la
newco non parte e si ferma anche la bonifica di Taranto, che attingeva ai soli
liquidati. L’Ilva, nel frattempo, continua a perdere dal punto di vista
contabile e vede assottigliarsi il numero dei suoi clienti. Anche il gasdotto
Tap (Transadriatico, dalla Turchia all’Italia, con arrivo vicino a Taranto) che
avrebbe dovuto garantire lavoro all’Ilva pare abbia fatto scelte diverse,
escludendo il gruppo siderurgico. Come se non bastasse, anche nel settore auto
si sono perse commesse importanti con il risultato che l’altoforno 1 di Taranto,
che era stato riavviato, lavora oggi al di sotto del 50%. Non è finita, perché
si è pure fermato il tubificio, la produzione più ricca. Tutta questa sequenza
negativa impatta automaticamente, con altrettanta durezza, su Cornigliano, che
non produce più acciaio (l’altoforno è stato chiuso da tempo, l’ipotesi di
costruire un forno elettrico era stata alla fine bocciata), ma si concentra
sulle lavorazioni a freddo, cioè sulla laminazione dei coils che arrivano
appunto da Taranto. Non è un caso che nei giorni scorsi l’azienda abbia chiamato
i delegati informandoli del rischio di perdere un’importante commessa spagnola
nella banda stagnata, che era ripartita, complice l’invio ritardato dei coils
per altro (parrebbe) non di qualità eccelsa. In uno scenario di questo tipo, con
la linea di zincatura sempre al palo, il rischio di veder peggiorare rapidamente
la situazione è quanto mai concreto.
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