Per impegni internazionalisti, non abbiamo potuto inviare questo testo dei “Giovedì rossi” il 1° ottobre. Ma dal prossimo giovedì riprenderemo puntualmente la Formazione operaia del giovedì.
Riprendiamo, dopo quest’estate, lo studio de Il Capitale di Marx dal capitolo sulle macchine posto anche simbolicamente da Marx al centro del 1° libro visto che la caratteristica essenziale, centrale appunto, del sistema capitalistico è l’affermarsi e il dominare della grande industria attraverso il lungo passaggio dalla produzione artigianale e manifatturiera, con la trasformazione dello strumento di lavoro, semplice o complesso, in macchina, e l’“impadronimento” da parte delle macchine di tutta la produzione.
Gli argomenti relativi a questo capitolo sono diversi (effetti dell’industria sull’operaio, ecc.) Marx comincia con lo sviluppo del macchinario. Noi commentiamo e mettiamo in grassetto alcuni passaggi.
1. SVILUPPO DEL MACCHINARIO.
Le macchine
alleviano la fatica umana? Marx inizia il capitolo chiarendo questo “dubbio”
espresso da uno degli economisti del suo tempo: John Stuart Mill che nei suoi Principi
d’economia politica dice: «È dubbio se tutte le invenzioni meccaniche fatte
finora abbiano alleviato la fatica quotidiana d’un qualsiasi essere umano». E
infatti Marx aggiunge: “Ma questo non è
neppure lo scopo del macchinario, quando è usato capitalisticamente.” Perché
“Come ogni altro sviluppo della forza produttiva del lavoro, il macchinario ha
il compito di ridurre le merci più a buon mercato ed abbreviare quella parte della giornata lavorativa che l’operaio usa
per se stesso, per prolungare quell’altra
parte della giornata lavorativa che l’operaio dà gratuitamente al capitalista e
un mezzo per la produzione di plusvalore.”
Questo
capitolo serve a Marx, ripercorrendo l’evoluzione
del sistema sociale, per chiarire la differenza
tra manifattura e grande industria, sulle quali gli economisti del suo
tempo facevano confusione, ma si tratta di una spiegazione utilissima ancora oggi, dato che i capitalisti
odierni, per continuare a fare confusione chiamano la grande industria moderna
“manifattura”, un termine che secondo loro
dovrebbe suonare più “casalingo”, “amichevole”, meno duro di “industria” o “grande
industria” che ricorda troppo da vicino le masse degli operai e le loro lotte!
Dice Marx: “Nella manifattura la rivoluzione
del modo di produzione prende come punto
di partenza la forza-lavoro; nella grande industria, il mezzo di lavoro. Occorre dunque
indagare in primo luogo in che modo il
mezzo di lavoro viene trasformato da strumento in macchina, oppure in che modo la macchina si distingue dallo
strumento del lavoro artigiano. Qui si tratta soltanto di grandi tratti
caratteristici generali, poiché né le epoche della geologia né quelle della
storia della società possono esser divise da linee divisorie astrattamente
rigorose.”
Per Marx “I matematici e i meccanici — e qua e là
qualche economista inglese ripete la cosa — dichiarano che lo strumento di
lavoro è una macchina semplice e che la macchina è uno strumento composto: in
ciò non vedono nessuna differenza sostanziale, e chiamano macchine perfino le
potenze meccaniche elementari, come la leva, il piano inclinato, la vite, il
cuneo, ecc… dal punto di vista economico la spiegazione non vale niente, perché vi manca l’elemento storico.”
“Ogni macchinario sviluppato consiste di tre parti
sostanzialmente differenti, macchina
motrice, meccanismo di trasmissione,
e infine macchina utensile o macchina operatrice. La macchina motrice
opera come forza motrice di tutto il meccanismo. Essa o genera la propria forza
motrice, come la macchina a vapore, la macchina ad aria calda, la macchina
elettromagnetica, ecc., oppure riceve l’impulso da una forza naturale esterna,
già esistente, come la ruota ad acqua dalla caduta d’acqua, l’ala d’un mulino a
vento dal vento, ecc. Il meccanismo di trasmissione composto di volanti, alberi
di trasmissione, ruote dentate, pulegge, assi, corde, cinghie, congegni e apparecchi
di ogni genere, regola il movimento, ne cambia, quand’è necessario, la forma,
per esempio, da perpendicolare in circolare, lo distribuisce e lo trasmette
alle macchine utensili. Queste due parti del meccanismo esistono solo allo
scopo di comunicare alla macchina utensile il moto per il quale essa afferra e
trasforma come richiesto l’oggetto del lavoro. Da questa parte del macchinario, dalla macchina utensile, prende le mosse la rivoluzione industriale del
secolo XVIII…”
“Dunque – continua Marx - la macchina utensile è un
meccanismo il quale, dopo che gli sia stato comunicato il moto corrispondente,
compie con i suoi strumenti le stesse operazioni che prima erano eseguite con
analoghi strumenti dall’operaio. Ora, la sostanza della cosa non cambia, sia
che la forza motrice provenga dall’uomo, sia che provenga anch’essa a sua volta
da una macchina. Dopo che lo strumento
in senso proprio è stato trasmesso dall’uomo ad un meccanismo, al puro e
semplice strumento subentra una macchina…”
“In parte entro
il periodo manifatturiero, e sporadicamente già molto prima di esso, questi strumenti si stirano fino a
diventare macchine, ma non
rivoluzionano il modo di produzione. Nel periodo della grande industria si
vede che anche nella loro forma di tipo artigianale essi sono già macchine. P.
es. le pompe, con le quali gli olandesi prosciugarono nel 1836-37 il lago di
Harlem, erano costruite secondo il principio delle pompe comuni; solo che,
invece di braccia umane, erano ciclopiche
macchine a vapore a muovere i pistoni….”
“La macchina, dalla quale prende le mosse la
rivoluzione industriale, sostituisce
l’operaio che maneggia un singolo strumento con un meccanismo che opera in un
sol tratto con una massa degli stessi
strumenti o di strumenti analoghi, e che viene mosso da una forza motrice
unica, qualsiasi possa esserne la forma. Ecco
la macchina, ma pel momento solo
come elemento semplice della produzione di tipo meccanico.”
Per superare gli ostacoli creati dal volume
crescente “della macchina operatrice e del numero di suoi strumenti che operano
contemporaneamente” Marx dice che è stato necessario applicare sempre più
intensamente lo studio e la pratica: “A questo modo il periodo della
manifattura ha sviluppato i primi
elementi scientifici e tecnici della grande industria.”
È in questo processo che è stato necessario
sostituire il “primo motore”, cioè la forza umana che metteva in movimento
strumento e macchina con una forza molto più potente e che si “generasse da sé”:
“Soltanto con la seconda macchina a
vapore del Watt, quella detta a doppio
effetto, era stato trovato un primo motore che generasse da sè la propria
forza motrice alimentandosi di acqua e carbone, la cui potenzialità fosse
completamente sotto controllo umano, che fosse insieme mobile e mezzo di
locomozione, urbano e non rurale
come la ruota ad acqua, che permettesse quindi di concentrare la produzione nelle città, invece di disseminarla per
le campagne come avviene con la ruota ad acqua; universale nella sua applicazione tecnologica, e relativamente poco
vincolato da circostanze locali nella scelta della sede. Il gran genio del Watt si rivela nella specificazione della
patente che prese nell’aprile del 1784, dove la sua macchina a vapore non viene
descritta come una invenzione a scopi particolari, ma come agente generale della grande
industria…”
“Dunque, appena gli strumenti furono trasformati da
strumenti dell’organismo umano in strumenti di un congegno meccanico, cioè
della macchina utensile, anche la macchina motrice ricevette una forma
indipendente, completamente emancipata
dai limiti della forza umana. Così la singola macchina utensile che finora
abbiamo preso in considerazione, s’abbassa a semplice elemento della produzione meccanica. Ormai una sola macchina motrice può far muovere
contemporaneamente molte macchine
operatrici...”
“Ora occorre far distinzione fra due cose: la cooperazione di molte macchine omogenee
e il sistema di macchine.
“Nel primo caso l’intero
manufatto è eseguito dalla stessa
macchina operatrice, la quale compie tutte le differenti operazioni che prima
eseguiva un artigiano col suo strumento, p. es. il tessitore col suo telaio, o
che eseguivano vari artigiani, l’uno dopo l’altro, con differenti strumenti,
sia in maniera indipendente sia come membra di una manifattura. Per esempio,
nella manifattura moderna delle buste da lettera, un operaio piegava la carta
con la stecca, un altro dava la gomma, un altro spiegava il risvolto sul quale
viene impressa la marca, un quarto imprimeva la marca a rilievo, ecc.; e ad
ognuna di queste operazioni la busta doveva cambiar di mano. Una sola macchina
da buste esegue d’un colpo solo tutte queste operazioni e fa tremila e più
buste all’ora. Una macchina americana per la fabbricazione di sacchetti di
carta esposta alla Esposizione industriale di Londra del 1862 taglia la carta,
ingomma, piega e finisce trecento pezzi al minuto. Il processo complessivo che
nella manifattura era diviso ed eseguito da una serie di operazioni successive,
qui viene compiuto da una sola
macchina operatrice, che agisce mediante la combinazione di strumenti
differenti. Ora, che una di queste macchine operatrici sia soltanto la
rinascita meccanica di un solo
strumento artigiano piuttosto complicato, o che sia combinazione di strumenti
semplici differenti che abbiano acquistato nella manifattura carattere
particolare, nella fabbrica, cioè
nell’officina fondata sull’uso delle
macchine, si ripresenta ogni volta la cooperazione
semplice, e precisamente in un primo momento (qui prescindiamo
dall’operaio) come agglomeramento di
macchine operatrici omogenee e operanti insieme contemporaneamente in un solo
luogo.”
“…Tuttavia un
vero e proprio sistema di macchine
subentra alla singola macchina
indipendente solo laddove l’oggetto del lavoro percorre una serie
continua di processi graduali differenti, eseguiti da una catena di macchine
utensili eterogenee, ma integrantisi
reciprocamente. Qui si ripresenta la cooperazione mediante divisione del
lavoro, peculiare della manifattura: ma ora si presenta come combinazione
di macchine operatrici parziali. …Tutto sommato, è la manifattura stessa a fornire al sistema delle macchine il
fondamento spontaneo e naturale della
divisione e quindi della organizzazione del processo di produzione, in quelle
branche che per prime vedono l’introduzione del sistema delle macchine. Ma subentra subito una differenza
sostanziale. Nella manifattura
sono operai, isolati o a gruppi, che
devono eseguire col loro strumento ogni particolare processo parziale. L’operaio viene appropriato al processo, ma
prima il processo era stato adattato all’operaio. Questo principio soggettivo
della divisione del lavoro scompare nella produzione meccanica. Qui il processo complessivo viene considerato oggettivamente in sè e per sè, viene
analizzato nelle sue fasi costitutive, e il problema di eseguire ciascun
processo parziale e di collegare i diversi processi parziali viene risolto per
mezzo dell’applicazione tecnica della meccanica, della chimica, ecc.; anche qui
è ovvio che la concezione teorica dev’essere come sempre perfezionata con
l’esperienza pratica accumulata su grande scala. Ogni macchina parziale
fornisce la materia prima alla prima macchina che segue nella serie; e poiché
operano tutte contemporaneamente, il prodotto si trova sempre nei diversi gradi
del suo processo di formazione, come è costantemente in transizione da una fase
all’altra della produzione. Come nella
manifattura la cooperazione immediata degli operai parziali crea determinate proporzioni numeriche fra i particolari
gruppi di operai, cosi nel sistema
organico delle macchine, il fatto che le macchine parziali si tengono
occupate costantemente e reciprocamente, crea una determinata proporzione
fra il loro numero, il loro volume e la loro velocità. La macchina
operatrice combinata che ora è un sistema articolato di singole macchine
operatrici eterogenee e di gruppi di esse, è tanto più perfetta quanto più è continuativo il suo processo
complessivo, cioè quanto meno
interruzioni si hanno nel passaggio della materia prima dalla prima
all’ultima fase, e dunque quanto più è il meccanismo, invece della mano
dell’uomo, a inoltrarla da una fase all’altra della produzione. Nella manifattura
l’isolamento dei processi particolari è un principio che vien dato dalla stessa
divisione del lavoro; invece nella fabbrica sviluppata domina la continuità
dei processi particolari.”
Lo studio per
collegare i diversi processi produttivi che danno sbocco alla continuità della
produzione è un punto fermo, una fissazione dei padroni delle grandi fabbriche
che pagano fior di scienziati per questo. E gli operai, dal canto loro, che lavorano all’interno del “mostro meccanico”
subiscono direttamente questi “studi” che si chiamano WCM ecc. ecc
Quindi “Un sistema articolato di macchine
operatrici che ricevono il movimento da un meccanismo
automatico centrale soltanto mediante il macchinario di trasmissione,
costituisce la forma più sviluppata
della produzione a macchina. Quivi alla
singola macchina subentra un mostro meccanico, che riempie del suo corpo interi
edifici di fabbriche, e la cui forza demoniaca, dapprima nascosta dal movimento
quasi solennemente misurato delle sue membra gigantesche, esplode poi nella
folle e febbrile danza turbinosa dei suoi innumerevoli organi di lavoro in
senso proprio.”
“Le mules,
le macchine a vapore, ecc., ci sono state prima che ci fossero operai la cui
occupazione esclusiva fosse quella di fare macchine a vapore, mules, ecc., proprio come l’uomo ha
portato vesti prima che ci fossero i sarti. Tuttavia le invenzioni del Vaucanson,
dell’Arkwright, del Watt, ecc., poterono essere effettuate soltanto perchè
quegli inventori trovarono una notevole quantità di abili operai meccanici
fornita bell’e pronta dal periodo manifatturiero. Una parte di questi operai
consisteva di artigiani indipendenti di professioni differenti, un’altra parte
era riunita in manifatture dove, com’è stato accennato prima, la divisione del
lavoro imperava con particolare rigore. Con l’aumentare delle invenzioni e con
la crescente richiesta di macchine di nuova invenzione, s’è sviluppata sempre
più, da una parte, la suddivisione della fabbricazione delle macchine in
molteplici branche indipendenti, dall’altra, la divisione del lavoro
all’interno delle manifatture di macchine. Dunque qui nella manifattura vediamo il
fondamento tecnico immediato della grande
industria. La manifattura ha prodotto il macchinario per mezzo del
quale la grande industria ha eliminato la conduzione di tipo artigianale e
manifatturiero nelle prime sfere della produzione delle quali s’è impadronita. Così l’industria meccanica è sorta naturalmente e spontaneamente su una base materiale inadeguata; ad un
certo grado di sviluppo ha dovuto rovesciare questa sua base che da principio
s’era trovata bell’e fatta e che poi aveva continuato ad elaborare nell’antica
forma, e s’è dovuta creare una nuova
base, corrispondente al proprio modo di produzione. “
Questo sistema sociale di produzione sconvolge
tutto perché: “La rivoluzione del modo di produzione in una sfera
dell’industria porta con sè la rivoluzione del modo di produzione nelle altre
sfere.” E sua volta “La rivoluzione nel modo di produzione dell’industria e
dell’agricoltura rese necessaria, in ispecie, anche una rivoluzione nelle
condizioni generali del processo sociale di produzione, cioè nei mezzi di comunicazione e di trasporto.”
Per superare ogni ostacolo al sul sviluppo a
livello mondiale “la grande industria dovette impadronirsi del proprio
caratteristico mezzo di produzione, la macchina stessa e produrre macchine mediante macchine. Solo a questo modo essa creò
il proprio sostrato tecnico adeguato e cominciò a muoversi da sola. Di fatto,
col crescere della industria meccanica nei primi decenni del secolo XIX, le macchine s’impadronirono a poco a
poco della fabbricazione delle macchine
utensili.”
Come si sa questo processo è arrivato a livelli
altissimi con la costruzione dei robot
che sono pur sempre macchine utensili
ma ad altissimo contenuto tecnologico.
“Se ora consideriamo quella parte del macchinario adoperata nella costruzione
delle macchine, che costituisce la vera e propria macchina utensile, vediamo riapparire lo strumento artigiano, ma di
volume ciclopico.”
“Come macchinario,
il mezzo di lavoro viene ad avere un modo di esistenza materiale che porta con
sè la sostituzione della forza dell’uomo
con forze naturali e della routine derivata dall’esperienza con la
applicazione consapevole delle scienze della natura. Nella manifattura l’articolazione del
processo lavorativo sociale è puramente soggettiva, è una
combinazione di operai parziali; nel sistema
delle macchine la grande industria possiede un organismo di produzione del
tutto oggettivo, che l’operaio
trova davanti a sè, come
condizione materiale di produzione già pronta. Nella cooperazione semplice e
anche in quella specificata mediante la divisione del lavoro, la soppressione
dell’operaio isolato da parte
dell’operaio socializzato appare
ancor sempre più o meno casuale. Il
macchinario, con alcune eccezioni che ricorderemo più avanti, funziona soltanto in mano al lavoro
immediatamente socializzato,
ossia al lavoro in comune. Ora il carattere cooperativo del processo
lavorativo diviene dunque necessità
tecnica imposta dalla natura del
mezzo di lavoro stesso.”
Non è perciò possibile “tornare indietro” come piace pensare a chi si “oppone” al sistema capitalistico a parole o in maniera “sentimentale” parlando di artigianato o agricoltura. Si tratta invece di rovesciare questo sistema affinché le macchine non siano usate capitalisticamente ma socialmente, come ci ricorda Marx.
Nessun commento:
Posta un commento