In
questo capitolo, “Prima di vedere da vicino come al “sistema
organizzato delle macchine nella fabbrica” “venga incorporato
materiale umano, esaminiamo alcuni effetti generali coi quali
quella rivoluzione reagisce sull’operaio stesso.”
Ricordiamoci
sempre che Marx analizza fin nei particolari l’essenza del
Capitale, di questo sistema sociale, e l’essenza è ancora questa e
questa sarà finché vive il sistema capitalistico. Come si può ben
comprendere quelle che sono cambiate sono le dimensioni e le forme
del fenomeno… ma gli “Effetti immediati” sono sempre lì.
Torino,
1917. Operaie nello stabilimento FIAT di via Cigna
3.
EFFETTI IMMEDIATI DELL’INDUSTRIA MECCANICA SULL’OPERAIO
Uno
degli effetti è l’”Appropriazione di più forze-lavoro da parte
del capitale. Lavoro delle donne e dei fanciulli.”
“In
quanto le macchine
permettono di fare a meno della forza muscolare,
esse diventano il mezzo
per
adoperare operai
senza forza muscolare o
di sviluppo fisico immaturo, ma di membra più flessibili.” Quindi…
un’affermazione molto importante: “Quindi
lavoro delle donne e dei fanciulli è
stata la prima parola dell’uso capitalistico delle
macchine!”
Con
questa affermazione cadono i luoghi comuni che pretendono in maniera
interessata che le donne sarebbero entrate nel mondo del lavoro
“tardi” in particolare durante le guerre mondiali - a parte il
fatto che le donne hanno sempre lavorato nelle forme in cui si sono
sviluppate tutte le società; per non parlare del lavoro dei
fanciulli le cui statistiche odierne ci danno ancora una visione
orribile in cui sono costretti a “produrre”…
“Questo
potente surrogato del lavoro e degli operai si è così trasformato
subito in un
mezzo per aumentare il
numero degli operai salariati irreggimentando
sotto l’imperio immediato del capitale tutti i membri della
famiglia operaia, senza differenza di sesso e di età. Il lavoro
coatto a vantaggio del capitalista ha
usurpato non solo il posto dei giochi fanciulleschi, ma anche quello
del libero lavoro nella cerchia domestica, entro
limiti morali,
a
vantaggio della
famiglia stessa.”
Come
abbiamo già visto, Marx dice: “Il valore della
forza-lavoro era determinato dal tempo di lavoro
necessario non soltanto per mantenere l’operaio adulto
individuale, ma anche da quello necessario per il mantenimento
della famiglia dell’operaio. Le macchine, gettando sul mercato
del lavoro tutti i membri della famiglia operaia, distribuiscono su
tutta la famiglia il valore della forza-lavoro dell’uomo, e quindi
svalorizzano la forza- lavoro di quest’ultimo. L’acquisto
della famiglia frazionata p. es. in quattro forze-lavoro costa
forse più di quanto costasse prima l’acquisto della forza-lavoro
del capofamiglia, ma in cambio si hanno ora quattro giornate
lavorative invece di una, e il loro prezzo diminuisce in
proporzione dell’eccedenza del pluslavoro dei quattro sul
pluslavoro dell’uno. Ora, affinché una sola famiglia
possa vivere, quattro persone devono fornire al capitale non solo
lavoro, ma pluslavoro.”
È
così che “le
macchine allargano fin dal principio anche il grado
di sfruttamento,
assieme
al materiale umano da
sfruttare che
è il più proprio campo di sfruttamento del capitale.”
Ora
tutta la famiglia è “sotto contratto”. E su questo Marx
introduce un altro argomento forte dell’effetto della grande
industria anche sul “contratto” che si stipula tra padrone e
operaio…
“Le
macchine rivoluzionano dalle fondamenta la mediazione formale del
rapporto capitalistico, cioè il contratto fra
operaio e capitalista.” Ricordiamo
dai primi capitoli che “Finché si rimase sul fondamento dello
scambio di merci, il primo presupposto era
che
il capitalista e l’operaio stessero di fronte l’uno all’altro
come persone
libere,
come possessori di merci, indipendenti, l’uno possessore di denaro
e di mezzi di produzione, l’altro possessore di forza-lavoro. Ma
ora il capitale acquista dei minorenni o dei semimaggiorenni. Prima
l’operaio vendeva la propria forza-lavoro della
quale disponeva come persona
libera formalmente.”
(Ricordiamolo ancora una volta: formalmente! Perché ancora oggi c’è
chi fa finta di credere che l’operaio sia libero).
“Ora
vende moglie e figli.
Diventa
mercante di schiavi.”.
Marx continua: “La richiesta di lavoro infantile rassomiglia spesso
anche nella forma alla richiesta di schiavi negri, come si era
avvezzi a leggerla nelle inserzioni dei giornali americani. Un
ispettore di fabbrica inglese racconta per esempio: «La mia
attenzione fu richiamata su un annuncio del giornale locale d’una
delle più importanti città industriali del mio distretto; ed eccone
la trascrizione: “Abbisognasi
di dodici-venti ragazzi, non più giovani di quel che può passare
per tredici anni. Salario,
quattro scellini alla settimana. Rivolgersi ecc..”». La
frase «di quel che può passare per tredici anni» si riferisce al
fatto che, secondo il Factory
Act, [Legge sulle fabbriche] fanciulli al di sotto dei tredici anni
potevano
lavorare soltanto sei ore. [E questa era una conquista! - ndr]. Un
medico ufficialmente qualificato (certifying
surgeon)
deve attestare l’età. Dunque il fabbricante pretende dei ragazzi
che abbiano
l’aspetto di
esser già tredicenni.
Oggi
i capitalisti, le multinazionali, questo continuano a farlo nei paesi
del Terzo Mondo, ma non solo, nascondendo le loro responsabilità
dietro i fabbricanti locali.
Nel
capitalismo come si sa è tutto un gran mercato: “Nel famigerato
distretto londinese di Bethnal Green si tiene ogni lunedì e martedì
mattina pubblico mercato dove i fanciulli di ambo i sessi, dai nove
anni in su, si dànno in affitto alle manifatture londinesi di seta.
«Le condizioni abituali sono uno scellino e otto pence alla
settimana (che appartengono ai genitori), e due pence per me,
oltre il tè». I contratti valgono solo per una settimana. Le
scene e il linguaggio, mentre si svolge questo mercato, sono
veramente rivoltanti. In Inghilterra accade sempre ancora che delle
donne prendano «dei ragazzi dalla workhouse (“case di
lavoro” dove si rinchiudevano poveri, soprattutto ragazzi,) e li
affittino poi al primo acquirente che capita per due scellini e sei
pence alla settimana». Nonostante la legislazione,
[nonostante la legislazione!!! Quante volte da allora dobbiamo
ripetere ancora questa frase! - ndr] ci sono ancora per lo meno
duemila ragazzi in Gran Bretagna che sono venduti dai propri genitori
come macchine viventi per spazzare i camini (benché esistano
macchine per sostituirli). La rivoluzione operata dalle macchine nel
rapporto giuridico fra compratore e venditore della
forza-lavoro, tale che l’intera transazione perde perfino la
parvenza di un contratto fra persone libere,
offrì in seguito al parlamento inglese il pretesto
giuridico per l’intervento dello Stato nelle fabbriche.”
Lo Stato ha bisogno dei “pretesti”, degli “scandali”, degli
“orrori” per intervenire con delle leggi!
“Tutte
le volte che la legge sulle fabbriche limita a sei ore il lavoro dei
fanciulli in branche d’industria fino ad allora lasciate tranquille
tornano a risuonare le
lamentose grida dei fabbricanti:
una parte dei genitori sottrae ora i fanciulli alla industria
disciplinata per legge e li vende a quelle dove domina ancora la
«libertà del
lavoro»,
ossia dove fanciulli al di sotto dei tredici anni sono costretti
a
lavorare come adulti e dove quindi si possono anche vendere a prezzo
più caro. Ma poiché il capitale è per natura un leveller
(Livellatore.
Allusione al movimento puritano integrale con tendenze di comunismo
agrario nella rivoluzione di Cromwell), cioè pretende come proprio
innato diritto dell’uomo l’eguaglianza delle
condizioni di sfruttamento del lavoro in tutte le sfere della
produzione, la
limitazione legale del lavoro infantile in una branca dell’industria
diventa causa della stessa limitazione nell’altra.”
Uno
dei sicuri effetti che saltano agli occhi è quello del
deterioramento fisico dei lavoratori: “Abbiamo già
accennato in precedenza al deterioramento fisico dei fanciulli
e degli adolescenti, come pure delle operaie che le macchine
assoggettano allo sfruttamento del capitale, prima direttamente nelle
fabbriche, che sulla base delle macchine spuntano rapidamente, e poi
indirettamente in tutte le altre branche dell’industria. Qui
ci fermeremo quindi su un punto solo: la enorme mortalità tra i
figli degli operai nei loro primi anni di vita.”
E
la causa, dice Marx, è proprio il modo in cui il capitale fa
lavorare le donne nell’industria, che assorbendole e abbrutendole,
trasforma in donne impossibilitate a prendersi cura dei propri
bambini, sia per le donne delle città che per le donne di campagna,
laddove arriva il “il sistema industriale” che rivoluziona
il modo di coltivare.
«Donne
sposate, che lavorano in bande assieme ad adolescenti e
ragazze, vengono messe a disposizione del fittavolo, in cambio di una
certa somma, da un uomo che è chiamato il “capobanda“ [ma
guarda quanto è vecchio il nostro “caporale”! - ndr] che affitta
la banda in blocco. Queste bande vanno spesso lontano dai loro
villaggi per molte miglia, e si possono incontrare la mattina e la
sera sulle strade maestre, le donne vestite di corte sottovesti e
sottane e stivali corrispondenti, talvolta in calzoni, molto robuste
e sane d’aspetto, ma rovinate dalla scostumatezza abituale, e senza
preoccupazioni per le conseguenze disastrose che la loro preferenza
per questa vita attiva e indipendente porta ai loro rampolli che
deperiscono a casa». [Questo è il commento “scandalizzato” di
un ispettore del lavoro che non condivide la “preferenza per questa
vita attiva e indipendente”!]
“L’atrofia
morale che
deriva dallo sfruttamento capitalistico del lavoro delle donne e dei
fanciulli è stata esposta in maniera così esauriente da F. Engels
nella sua Situazione
della classe operaia in Inghilterra e
da altri scrittori. Ma la desolazione
intellettuale,
prodotta artificialmente con la trasformazione di uomini immaturi in
semplici macchine
per la fabbricazione di plusvalore,
da tenersi ben distinta da quella ignoranza naturale e spontanea che
tiene a maggese senza corromperne la capacità
di sviluppo,
cioè la stessa fecondità naturale, ha finito per costringere
perfino il parlamento inglese a fare dell’istruzione elementare
condizione obbligatoria per legge del
consumo «produttivo» di fanciulli al di sotto dei quattordici anni
di età, per tutte le industrie soggette alla legge sulle fabbriche.”
Ma
come ha ben spiegato Marx la “legge” non basta: “Lo spirito
della produzione capitalistica traluce splendidamente dalla
sciatta formulazione delle cosiddette clausole sull’istruzione
delle leggi sulle fabbriche, dalla mancanza di un meccanismo
amministrativo, la quale rende a sua volta in gran parte illusoria
questa istruzione obbligatoria, dalla opposizione dei fabbricanti
perfino contro quella legge sull’istruzione, e dai loro
trucchi e sotterfugi pratici per eluderla. «Il biasimo va
esclusivamente alla legislazione perché ha emanato una legge
illusoria (delusive law), la quale, sotto l’apparenza di
curare l’educazione dei fanciulli, non contiene neppure una
disposizione singola per garantire il raggiungimento di quello scopo
che professa di avere. Non dispone nient’altro che questo: i
fanciulli debbono venir chiusi per un determinato numero di ore (tre
ore) al giorno fra le quattro pareti di un luogo chiamato scuola, e
colui che impiega il fanciullo deve ricevere ogni settimana un
certificato attestante questo fatto da una persona che come maestro o
maestra sottoscrive con il proprio nome».
Prima
che fosse emanato l’Atto sulle fabbriche emendato del 1844, non
erano rari i certificati di frequenza scolastica firmati con una
croce da maestri o maestre che non sapevano essi stessi scrivere.
«Nella visita che feci a una di queste scuole che rilasciavano
certificati, rimasi così colpito dalla ignoranza del maestro che gli
dissi: Scusi, signore, Lei sa leggere? La risposta fu: Aye, summat
(Sì, un poco. La risposta del maestro è in dialetto). A
giustificazione, aggiunse: in ogni caso sono più avanti dei miei
scolari». Durante la preparazione dell’Act del 1844, gli
ispettori di fabbrica denunciarono lo stato vergognoso dei luoghi
chiamati scuole, i cui certificati essi in virtù della legge
dovevano accettare come validi … Si aggiunga lo scarso mobilio
scolastico, la mancanza di libri e di altro materiale
didattico e l’effetto deprimente d’una atmosfera chiusa e
nauseabonda sui poveri ragazzi stessi. Sono stato in molte di tali
scuole, dove ho visto file intere di fanciulli che non facevano
assolutamente nulla: e ciò viene attestato come frequenza
scolastica, e questi bambini figurano come educati (educated)
nella statistica ufficiale».” Ma ancora non basta: “In
Scozia i fabbricanti cercano di escludere in tutti i modi i ragazzi
soggetti all’obbligo scolastico. «Questo basta per dimostrare il
grande sfavore dei fabbricanti nei confronti delle clausole
sull’istruzione». Questo si vede in maniera orribile e
grottesca nelle stamperie di cotonine e simili, che sono
regolate da una propria legge sulle fabbriche. Secondo le
disposizioni della legge, «ogni fanciullo, prima di essere impiegato
in una di tali stamperie, deve aver frequentato la scuola per almeno
trenta giorni e per non meno di centocinquanta ore durante i
sei mesi che precedono immediatamente il primo giorno del suo
impiego…"
Tutto
questo implicava un altro effetto immediato: “con l’aggiunta di
una quantità preponderante di fanciulli e di donne al personale di
lavoro combinato, le macchine spezzano la resistenza che l’operaio
maschio ancora opponeva al dispotismo del capitale nella
manifattura.”
Nessun commento:
Posta un commento