Cominciamo questa parte con una premessa.
E' lo stesso Engels, autore insieme a Marx de Il Manifesto, che ci indicano, in alcune prefazioni, il perchè e il senso de Il Manifesto.
Dalla Prefazione di F. Engels all'edizione inglese del 1888: “quando fu scritto non lo avremmo potuto chiamare un manifesto socialista, per socialisti nel 1847 si intendevano da un lato i sostenitori di vari sistemi utopistici: gli orwelliani in Inghilterra, i fourieristi in Francia, entrambi già ridotti alla condizione di vere e proprie sette in graduale estinzione; dall'altro lato i sostenitori delle più variopinte ciarlatanerie sociali, i quali arrabattandosi in ogni modo pretendevano di riparare, senza alcun pericolo per capitale e profitto, ogni sorta di ingiustizia sociale; in entrambi i casi si trattava di gente estranea al movimento operaio, che cercava piuttosto il sostegno delle classi “istruite”.
Quelle parti della classe operaia che erano invece convinte dell'insufficienza di rivoluzione meramente politiche e avevano esternato la necessità di un cambiamento generale, si definivano comunisti...
Dunque nel '47 il socialismo era un movimento della borghesia e il comunismo un movimento della classe operaia. Il socialismo era “rispettabile”, il comunismo l'esatto opposto. E poichè la nostra opinione fu fin dall'inizio che “l'emancipazione della classe operaia deve essere opera della classe operaia stessa”, non poteva esservi dubbio su quale dei due nomi dovessimo adottare".
Dalla prefazione di F. Engels all'edizione tedesca del 1890: “Per la definitiva vittoria delle tesi enunciate nel Manifesto Marx faceva assegnamento solo ed esclusivamente nello sviluppo intellettuale della classe operaia che sarebbe dovuto maturare necessariamente dall'azione in comune e dalla discussione".
Questi chiarimenti sono importanti nella lettura del 3° capitolo de Il Manifesto del Partito comunista - "Letteratura socialista e comunista", dove Marx ed Engels, combattendo il falso, i falsi socialisti, dicono: molti si dicono dalla parte del popolo, del proletariato, socialisti e comunisti, ma il loro socialismo e il loro comunismo non corrisponde a quello indicato dal Manifesto come interesse del proletariato.
Molti rimproverano alla borghesia di aver prodotto un proletariato, ma perchè temono che abbiaprodotto un proletariato rivoluzionario. Per cui sono contro la borghesia quando essa domina, ma diventano contro il proletariato quando esso si ribella e lotta per la rivoluzione.
Molti socialisti sono ispirati da una visione cristiana, ma il socialismo cristiano non è che “l'acqua benedetta” che sostituisce la carità al sostegno della lotta.
La borghesia non domina soltanto il proletariato ma anche la piccola borghesia che di continuo oscilla tra proletariato e borghesia, come parte complementare della società borghese che si riforma continuamente. Gli individui che la compongono vengono continuamente ricacciati, dal funzionamento del sistema del capitale, nel proletariato, e, quindi, lottano contro la borghesia e aspirano ad un loro socialismo. Mettono in luce i mali della borghesia e dei suoi modi di produzione, ma non individuano nella classe proletaria il soggetto che mettendo fine a quel sistema di produzione metterà fine alla loro oppressione, ma anche alla loro condizione di piccolo borghesi e alle loro idee piccolo borghesi. Questo falso socialismo, anziché gli interessi del proletariato tende a mettere in rilievo quelli della natura umana e dell'uomo in generale, dell'uomo che non apparterrebbe a nessuna classe, e trasformano il socialismo in fantasia filosofica o sistema sociale immaginario.
Entrano in questa categoria “economisti, filantropi, umanitari, miglioratori della sorte della classe operaia, organizzatori della beneficenza, protettori degli animali, fondatori di circoli di buone intenzioni e di buone maniere, e tutta la variopinta genia di minuti riformatori”.
In realtà questi vogliono la società attuale tolti gli elementi che la rivoluzionano. Dice Il Manifesto “vogliono la borghesia senza il proletariato e descrivono questo come l'ipotetico migliore dei mondi possibili” e ai proletari in fondo non chiedono che starsene in questa società attuale rinunciando alle odiose opinioni che se ne fanno.
Alcuni di questi riformatori cercano di seminare tra la classe operaia il disgusto per ogni movimento rivoluzionario. Non vogliono l'abolizione dei rapporti borghesi di produzione, realizzabili solo per via rivoluzionaria, ma “piuttosto – dice il Manifesto – miglioramenti amministrativi realizzati sul terreno stesso dei presenti rapporti di produzione. Miglioramenti che nulla cambiano nei rapporti tra capitale e lavoro salariato, anzi in molti casi rendono meno costoso alla borghesia l'esercizio del potere e l'assetto della sua finanza statale”.
Essi chiedono: “Libero scambio, nell'interesse della classe operaia, dazi protettivi (protezione dell'industria, dell'economia nazionale) nell'interesse della classe operaia; riforma delle carceri, nell'interesse della classe operaia...”.
Il riformismo è il socialismo della borghesia, e consiste dice il Manifesto, in questo enunciato: “I borghesi sono borghesi nell'interesse della classe operaia”.
“Alcuni di essi escogitano nuovi sistemi sociali ma non scorgono nessuna azione storica dalla parte del proletariato, nessun movimento politico che gli sia proprio. Sanno dì rappresentare nei loro progetti la condizione e l'interesse della classe operaia, ma come classe che soffre di più, e il proletariato per essi non esiste che sotto il punto di vista di classe dei sofferenti - O, come dicono alcuni odierni sostenitori di questa visione, come gli “esclusi” della società - Respingono in particolare ogni azione rivoluzionaria. Vogliono raggiungere il loro obiettivo con mezzi pacifici e cercano con la forza dell'esempio di aprire la via a quello che Il Manifesto chiama “un nuovo vangelo sociale, tramite piccoli esperimenti che naturalmente falliscono”
Nessun commento:
Posta un commento