PREMESSA
“L’imperialismo è l’onnipotenza dei trust e dei consorzi monopolisti, delle banche e dell’oligarchia finanziaria nei paesi industriali. Nella lotta contro questa onnipotenza, i mezzi abituali della classe operaia – sindacati e cooperative, partiti parlamentari e lotta parlamentare – si sono rivelati del tutto insufficienti. O ti abbandoni alla mercè del capitale, vegeti come nel passato e scendi sempre più in basso, o ti impadronisci di un’arma nuova. Così l’imperialismo pone il problema alle grandi masse del proletariato. L’imperialismo porta la classe operaia alla rivoluzione”. (da Principi del Leninismo di Stalin).
Ma questo non avviene spontaneamente.
Le lotte sindacali producono avanguardie di lotta che devono trasformarsi in avanguardie politiche. Ma senza organizzazione di classe, le avanguardie di lotta evolvono spontaneamente nel riformismo e, se politicizzate in senso antiriformista, nell’economismo e nell’anarco sindacalismo.
Operai senza organizzazione di classe e senza coscienza di classe sono alla mercè del capitale, ma non solo. Sono usabili contro sè stessi con una certa facilità, come soldati di un esercito sono vittime e carnefici per conto dei loro nemici.
I comunisti devono costantemente analizzare le forme di queste influenze spontanee o deviazione
degenerazione e abituarsi a combatterle.
Nell’epoca attuale questo passaggio da avanguardie di lotta ad avanguardie politiche richiede una alfabetizzazione delle avanguardie perchè si impadroniscano degli elementi base dei principi mlm e dei principi del comunismo.
La formazione richiede studio, ma studio necessariamente percepibile attraverso le lezioni della pratica. La carenza di lavoro teorico è comunque oggi tra le avanguardie di lotta il difetto principale nei paesi imperialisti. Ci sono ancora anni per farlo intensamente e proficuamente. Ma deve essere una scelta cosciente, di controtendenza all’attivismo permanente e spesso cieco.
LO SCOPO DELLA FORMAZIONE OPERAIA E' ALL'INTERNO DI QUESTA IMPRESA.
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L'IMPERIALISMO - TORNANDO A MARX
Abbiamo detto nella FO di giovedì scorso che: "Le banche assumono un'importante funzione nella creazione dell'imperialismo. Inizialmente le banche erano addette a raccogliere le rendite in denaro, a metterlo a disposizione dei capitalisti. Ma anche le banche attraverso la concorrenza si concentrano, e questo permette alle grandi banche che così si formano il possesso di ingenti quantità di capitali.
Questa disponibilità di capitali permette alle banche di dominare la proprietà, e in modo notevole anche l'industria...".
Per capire meglio gli effetti di questo rapporto Banche/Industria e quanto contribuisca non a risolvere ma ad accentuare le crisi, torniamo a Marx, ripubblicando una parte del 1° corso della FO su "APPUNTI DI STUDIO SU MARX E LA CRISI"
"...per Marx il credito “spinge la produzione capitalistica al di là dei suoi limiti” anche nel senso di porre a disposizione della produzione “tutto il capitale disponibile e anche potenziale della società”... E' precisamente per questi motivi, osserva Marx, che il credito appare come la causa della
sovrapproduzione:”se il credito appare come la leva principale della sovrapproduzione e dell'iperattività e della sovraspeculazione nel commercio, ciò accade soltanto perchè il processo di riproduzione, che per sua natura è elastico, viene qui forzato fino al suo estremo limite, e vi viene forzato proprio perchè una gran parte del capitale sociale viene impiegata da coloro che non ne sono proprietari, che quindi rischiano in misura ben diversa dal proprietario...”. (Il fatto, quindi) che la finanza... utilizza il denaro di altri, per Marx non (è) una patologia ma una caratteristica di fondo del sistema creditizio.
Però, proprio per il fatto di accelerare “lo sviluppo delle forze produttive e la creazione del mercato mondiale” (Marx), il sistema creditizio al tempo stesso “accelera le crisi, le violente eruzioni di questa contraddizione e quindi gli elementi di dissoluzione del vecchio modo di produzione” (Marx).
Grazie al credito si può ben spingere la produzione oltre i limiti del consumo (ossia dell'effettiva domanda pagante), ma alla fine il processo si inceppa e la crisi si incarica di dimostrarci che quel limite e invalicabile. Le merci restano invendute, cominciano i ritardi nei pagamenti, la circolazione si arresta in più punti, e tutto il meccanismo entra in stallo.
Ecco come Marx descrive la situazione: “Fino a che il processo di riproduzione fluisce normalmente (...) questo credito si mantiene e si amplia, e questo ampliamento è fondato sull'ampliamento del processo stesso di riproduzione. Non appena subentra un ristagno provocato da ritardi dei rientri, da saturazione dei mercati, da caduta dei prezzi, la sovrabbondanza di capitale industriale persiste sempre, ma in una forma che non gli permette di adempiere alla sua funzione. Massa di capitale-merce, ma invendibile. Massa di capitale-fisso, ma in gran parte inattivo a causa del ristagno della riproduzione”.
A questo punto il credito si contrae: la restrizione del credito e la richiesta di pagamenti in contanti contribuiscono a conferire alla crisi la sua apparenza di crisi creditizia e monetaria.
(Ma) dietro la crisi “creditizia e monetaria” (oggi si direbbe finanziaria) oltre al fallimento di speculazioni nate nel momento di massima espansione del credito, c'è insomma una crisi di sovrapproduzione e di realizzazione del capitale.
(Anche oggi) la crisi (è) una classica crisi di sovrapproduzione, (essa) è precedente lo scoppio della bolla creditizia. La bolla creditizia l'ha prima mascherata e poi, esplodendo, ha creato l'illusione di esserne la causa...
Nella crisi, puntualmente, si è interrotto il ciclo di trasformazione della merce in denaro e si è prodotta quella caratteristica “carestia di denaro” che trasforma il denaro stesso, da semplice mezzo di circolazione del capitale, in “merce assoluta”, in “forma autonoma del valore” superiore e contrapposta alle singole merci: “in periodi di depressione, quando il credito si restringe oppure cessa del tutto, il denaro improvvisamente si contrappone in assoluto a tutte le merci quale unico mezzo di pagamento e autentica forma di esistenza del valore” (Marx).
Il decorso della crisi: l'intervento pubblico e i suoi limiti.
(Nella crisi, gli) interventi di salvataggio delle banche con denaro pubblico sono stati definiti “socialismo per i ricchi”. Marx non ne aveva parlato in modo molto diverso. Ecco quanto scriveva a proposito della crisi di Amburgo del 1857: “Per tenere su i prezzi... lo Stato dovrebbe pagare i prezzi in vigore prima dello scoppio del panico commerciale e scontare delle cambiali che non sono più altro che il controvalore delle bancarotte altrui. In altre parole, il patrimonio dell'intera società, che il governo rappresenta, dovrebbe ripianare le perdite subite dai capitalisti privati. Questo genere di comunismo, in cui la reciprocità è assolutamente unilaterale, esercita una certa attrattiva sui capitalisti europei” (Marx).
(E giungono Marx ed Engels) “E' proprio bello che i capitalisti, che gridano tanto contro il “diritto al lavoro”, ora pretendano dappertutto “pubblico appoggio” dai governi... facciano insomma valere il “diritto al profitto” a spese della comunità”.
(ndr) vale a dire la classica: socializzazione delle perdite e privatizzazione dei guadagni, sempre usata dai capitalisti anche oggi.
(Ma) in generale, sia Marx che Engels ritenevano che la crisi non potesse essere risolta da interventi di politica monetaria né da leggi ad hoc o interventi pubblici a garanzia e copertura del debito privato... Marx accennò al fatto che questi ultimi interventi, lungi dal risolvere la crisi, potevano portare alla bancarotta anche lo Stato: “quando scoppia la vera e propria crisi francese, il mercato finanziario e la garanzia di questo mercato, cioè lo Stato, se ne vanno al diavolo”...
La gigantesca trasformazione di debito privato in debito pubblico in atto, se non è riuscita né a ridurre l'entità complessiva del debito né a rianimare l'economia, può porre le premesse di un ulteriore crisi del debito: quella, appunto, del debito pubblico... A questo punto il risultato che si avrebbe sarebbe una pesantissima crisi fiscale, un'ulteriore drastica riduzione del suo ruolo nell'economia e il campo libero lasciato alle grandi aziende multinazionali private..."
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