Antonio
Fiordiso, morto in detenzione
Da OsservatorioRepressione
Antonio
Fiordiso, 32 anni, con problemi psichici, muore nel reparto
detentivo dell’ospedale di Taranto.
La zia lo fotografa «Sul corpo
smagrito, lividi e lacerazioni». Il pm chiede l’archiviazione del
fascicolo. Ma la famiglia si oppone e preme per ulteriori indagini.
Un
contratto di fornitura di illuminazione votiva per la sepoltura di
Antonio Fiordiso. Per diverso tempo è stato questo l’unico
“certificato di morte” in mano ad Oriana, zia di Antonio e sua
unica parente.
Antonio
aveva 32 anni ed era detenuto dal 2011 nel carcere di Lecce per
piccoli furti: abbandonato dalla madre e con il padre che entrava e
usciva dalla galera, non ha avuto vita facile. Era sottoposto a cure
psichiatriche, però ha sempre goduto di ottima salute, non ha mai
assunto droghe pesanti e nel suo paese, San Cesario di Lecce, c’è
chi lo ricorda con simpatia, perché rubava dalla cassa dei
tabacchini e il giorno dopo restituiva «il di più», i soldi che
non gli servivano.
Verso
la fine dell’estate del 2015 la sua condizione fisica e psichica
nel carcere di Lecce improvvisamente precipita fino a condurlo alla
morte.
In
appena tre mesi. Almeno questo è ciò che è scritto sulle cartelle
mediche a partire da quel maledetto 2 settembre dell’anno scorso,
quando Oriana perde le sue tracce. Antonio comincia ad essere
trasferito da un ospedale della Puglia all’altro, fino ad arrivare
ad Asti, fino ad arrivare il 24 novembre all’ospedale di Taranto
«San Giuseppe Moscati» con diagnosi all’ingresso di «shock
settico in paziente psicotico».
Oriana
non riesce a ricostruire tutti gli spostamenti imposti ad Antonio dal
2 settembre ad oggi, ma raccoglie alcune testimonianze secondo le
quali in carcere sarebbe stato picchiato a sangue da un gruppo di
rumeni. Riesce a rintracciare Antonio poco prima che muoia e non lo
riconosce più.
Ha
però la forza di fotografarlo e di fare dei brevi filmati con il
cellulare: li fa vedere al manifesto.
Antonio
è incosciente ed è ridotto ad uno scheletro tumefatto. Sulle
costole e sui fianchi lividi lunghi venti centimetri e larghi circa
tre. Le mani sono gonfie, con evidenti lacerazioni e lividi e le dita
contratte in maniera innaturale: «Sembrano rotte», dice Oriana. Due
giorni dopo Antonio morirà e rimarrà sulla lastra d’acciaio
dell’obitorio, sporco delle sue feci, più di un giorno. È così
che Oriana lo rivede e l’11 dicembre lo riporta al suo paese.
Solo
da quel momento Oriana ha accesso agli atti. Dalla cartella clinica
la zia viene apprende che un mese prima del ricovero nell’ospedale
di Taranto, dove morirà l’8 dicembre 2015, fu ricoverato d’urgenza
con diagnosi d’ingresso «Stato settico in paziente con polmonite a
focolai multipli bilaterali. Diabete tipo 2. Grave insufficienza
renale. Tetraparesi spastica», e apprende che versava in uno stato
di «progressiva astenia, con tremori, ipoalimentazione e progressiva
chiusura relazionale». Scrivono i medici: «Sospesa la terapia già
all’inizio della presentazione clinica attuale, il quadro è
progressivamente peggiorato richiedendo pertanto ricovero presso
Presidio Ospedaliero». Nella richiesta di esame radiografico urgente
dello stesso giorno c’è scritto: «Paziente in regime detentivo da
alcuni giorni non si alimenta».
Presso
la procura di Taranto il fascicolo aperto a seguito della denuncia di
Oriana contro ignoti è per omicidio colposo. Ma il pm Festa ha
chiesto l’archiviazione.
Oriana
si oppone all’archiviazione e i suoi avvocati, Pantaleo Cannoletta
e Paolo Vinci, scrivono: «All’ingresso al Pronto soccorso
dell’Ospedale S.G. Moscati il Fiordiso versava in uno stato
alterato di coscienza e per questo non collaborante, quindi, appare
facilmente desumibile che le notizie relative alla mancata
alimentazione e al decadimento dei giorni precedenti siano state
fornite al personale sanitario dagli agenti che lo avevano
accompagnato». Alla luce di tali circostanze, si chiedono gli
avvocati, come è possibile che un detenuto sia lasciato per giorni
in evidente stato di sofferenza e assenza di alimentazione, senza che
nessuno si adoperi per curarlo? Come è possibile che Fiordiso sia
giunto in pronto soccorso in condizioni disperate senza che nessuno
sia intervenuto prima per evitare questo tragico epilogo?
Il
giorno successivo al ricovero, il 21 ottobre 2015, in una
comunicazione indirizzata alla direttrice della Casa Circondariale di
Taranto, il Dott. Francesco Resta, direttore della Struttura
Complessa Malattie Infettive, scrive: «Il paziente versa in gravi
condizioni in quanto affetto da Stato settico con interessamento
multiorgano. Polmonite a focolai multipli. Grave disidratazione con
insufficienza renale acuta. Adenoma Ipofisario. Psicosi con disturbi
borderline di personalità».
Chiedono
gli avvocati: «Può un detenuto versare in tale irreversibile e
finale situazione clinica, senza che nessuno abbia fatto il
necessario per salvarlo? Come è arrivato in questa situazione? E per
quale ragione, considerato che precedentemente il detenuto era in
ottime condizioni di salute? La vicenda non può che lasciare
sconcertati e sollevare legittimi sospetti di trascuratezza e
negligenza, per non voler azzardare al momento altro, proprio in quel
luogo che dovrebbe servire a rieducare, ove dovrebbe essere scontata
la pena tesa alla rieducazione, secondo i dettami costituzionali».
Oriana
Fiordiso chiede che le indagini facciano luce sulle circostanze che
hanno condotto alla morte di Antonio per sapere chi ha pestato a
morte «lu piccinnu meu».
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