Il processo Ambiente Svenduto - archivio

Il processo Ambiente Svenduto 
Quattro lunghe udienze nel corso delle quali, rispondendo alle domande di accusa e difesa, Luigi Capogrosso, uno dei principali imputati del disastro ambientale provocato dall’Ilva, ha illustrato la sua tesi difensiva. Una tesi finalizzata a confutare la ricostruzione accusatoria di uno stabilimento con gravi carenze sotto il profilo ambientale con pesanti emissioni di diossina, benzopirene e altre sostanze inquinanti e nocive per l’ambiente e la salute e dei tarantini. Direttore dello stabilimento dal 1996 al luglio 2012, già in forza all’Italsider a gestione statale dal lontano 1986, Capogrosso è la memoria storica dello stabilimento.
Da quanto riferito dall’ingegnere nel corso della sua esposizione, gli innumerevoli investimenti effettuati durante la gestione della famiglia Riva, dal 1995 al 2011, ammontano complessivamente
alla cifra 4 miliardi, 576 milioni e 569mila euro. In particolare, 1 miliardo, 142 milioni e 194mila euro hanno riguardato specifici interventi di ambientalizzazione degli impianti, mentre la restante parte è stata impiegata per migliorare il funzionamento di cokerie, altiforni, parchi, agglomerato e acciaieria con benefici anche sotto il profilo ambientale individuati (in estrema sintesi) nella riduzione sia delle emissioni diffuse sia convogliate. Interventi che l’ingegnere ha indicato tecnicamente nel dettaglio, dagli impianti di depolverazione, alle barriere frangivento per il contenimento dello spargimento di polveri dei parchi, alla copertura dei nastri trasportatori, ai sistemi di bagnatura e “filmatura” delle colline di polveri dei parchi, alle misure di contenimento delle emissioni di benzopirene. Nel corso degli anni, stando alle rilevazioni Arpa in via Machiavelli (quindi al quartiere Tamburi) indicate dall’imputato, i livelli di benzopirene nell’aria sono diminuiti sensibilmente passando nel periodo 2009-2013 da una media di 1,39 a una dello 0,76 di ng/m3. Anche le polveri sedimentabili rilevate dalla rete deposimetri Arpa ai Tamburi, stando ai dati riferiti in aula, hanno fatto registrare una diminuzione passando da una media di 401 nel 2004 ad una media di 291 del 2011. Ma il quartiere più vicino al siderurgico sembra destinato a rimanere vittima delle polveri. Come riportato nei giorni scorsi riferendo dell’interrogatorio, Capogrosso ha evidenziato che “è impossibile eliminare completamente le polveri al quartiere Tamburi” malgrado gli interventi sugli impianti.
L’interrogatorio di Capogrosso conferma la linea difensiva dell’Ilva già emersa nel corso dell’esame del custode Barbara Valenzano, ossia dimostrare, producendo documentazione tecnica e contabile, di aver adottato misure e tecnologie richieste dall’Aia e dalle norme in materia di ambiente in vigore all’epoca.
Nel processo tornato nell’aula bunker (più confortevole grazie al riscaldamento), dopo Capogrosso si sottoporranno al fuoco incrociato dinanzi alla Corte d’Assise di Taranto altri dirigenti Ilva dell’epoca dei fatti contestati. Sono 23 gli imputati che hanno chiesto l’esame

Tra il 1995 e il 2011 il gruppo Riva ha investito per lo stabilimento Ilva di Taranto 4,5 miliardi di euro, di cui 1,14 miliardi in ambiente. Lo ha fatto presente l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, imputato nel processo per il presunto disastro ambientale causato dal Siderurgico, ascoltato nell’udienza di oggi dinanzi alla Corte d’Assise.

Capogrosso ha fornito un documento che riassume i risultati ambientali raggiunti con allegati i dati di Arpa Puglia e gli investimenti. Nello specifico la vecchia proprietà ha investito 508 milioni per interventi di contenimento delle emissioni nella Cokeria, 131 milioni per gli Altoforni, 137 milioni per Agglomerato e Parchi, 162 milioni per l’Acciaieria, 203 milioni per altri impianti. La prossima udienza del processo è prevista per domani.
Sono 47 gli imputati (44 persone fisiche e tre società). Capogrosso è stato direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto dal dicembre del 1996 al luglio del 2012. Viene contestata l’associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele suoi luoghi di lavoro, alla corruzione, al falso e all’abuso d’ufficio ai fratelli Fabio e Nicola Riva, all’ex direttore Capogrosso, all’ex dirigente Girolamo Archinà, all’avvocato Francesco Perli, agli ex "fiduciari» Lanfranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino e Enrico Bessone.