1) Nell'emergenza Coronavirus è giusto rivendicare il primato della difesa della salute e della vita dei lavoratori - per questo sin dall'inizio noi abbiamo sostenuto la posizione di ridurre al minimo necessario la presenza degli operai in fabbrica AM e Indotto ai quali andava comunque garantito la massima sicurezza DPI- distanziamento, ecc. Quindi non siamo stati d'accordo con le soluzioni prevalse in Prefettura di consentire fino a 3500 operai AM e 2000 operai indotto - di fatto dopo questa decisione abbiamo avuto i casi di COVID-19 alla AM, per fortuna per ora limitati e senza vittime.
Siamo perchè si usi la cassaintegrazione ordinaria COVID-19 per questa riduzione - garantendo con integrazione il salario al 100 per cento ai lavoratori.

2) E' passata con la cogestione del sindacato la linea di produrre comunque per il mercato e abbiamo avuto una cassintegrazione covid per tutti i lavoratori - nonostante ci sia una presenza dei lavoratori vicina alle cifre richieste da AM concesse dalla prefettura; cassaintegrazione che viene cogestita dai sindacati confederali, nonostante manchi un accordo che la legittimi e non si vede l'ombra di 
una integrazione salariale per portarla al 100% del salario.

3) Nonostante il sostegno di padroni/governo/con prefettura e sindacati consensuali, la crisi dell'ArcelorMittal preesistente al Coronavirus resta e si aggrava. E' crisi dentro la sovrapproduzione mondiale dell'acciaio e dentro l'acuta guerra commerciale che si sviluppa a livello mondiale. Quindi le concessioni in materia di organico e cassintegrazione all'azienda non mettono al riparo i lavoratori
dallo scarico della crisi sulla loro pelle con tagli occupazionali strutturali e intensificazione dello sfruttamento che si riflette sempre nelle condizioni di salute e sicurezza e nei costi antiinquinamento e ambientalizzazione.
A questa crisi lo Slai cobas ha chiesto si rispondesse con la difesa degli organici, con la riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga, con l'accellerazione con organico interno dei lavori di ambientalizzazione e bonifica, con la regolazione dell'esubero solo con provvedimenti massicci di  prepensionamento dei lavoratori, che riteniamo necessari peraltro nella siderurgia e a Taranto in particolare.
Questa linea non è quella dei sindacati confederali che non organizzano questa lotta e ciò lascia i lavoratori senza guida e organizzazione, con il risultato che essi restano alla mercè dei voleri dell'azienda.

Slai cobas per il sindacato di classe - slaicobasta@gmail.com - 3475301704

Sul problema dell'indotto e dei giochi in atto su cui l'articolo si dilunga interveniamo con un'altra nota nei prossimi giorni.

Ex Ilva, partita a scacchi sul futuro - di Gianmario Leone Corriere di Taranto



La notizia più importante emersa dall’incontro di ieri in Prefettura sull’indotto ex Ilva, è stata la presa di posizione del presidente di Confindustria Taranto, Antonio Marinaro, che rivolgendosi durante il suo intervento all’avv.to Lupo, uno dei tre Commissari straordinari di Ilva in AS, ha chiesto espressamente di riprendere in mano la gestione del siderurgico, che almeno sino al prossimo novembre sarà in affitto alla multinazionale ArcelorMittal.
Siamo dunque al paradosso assoluto: il presidente che rappresenta l’associazione degli industriali tarantini (ricordiamo che ArcelorMittal è iscritta alla sezione di Taranto), dunque il settore privato,
chiede ad un rappresentante dello Stato di estromettere la più grande multinazionale privata al mondo nella produzione dell’acciaio, dalla gestione dell’ex Ilva e di riportarla in mano statale. Incredibile, ma vero.
Certamente tale uscita di Confindustria Taranto non ci stupisce affatto. Da tempo immemore infatti, segnialiamo inascoltati la formazione di un’alleanza trasversale messa in campo da Confindustria Taranto, con l’appoggio esterno dell’amministrazione comunale guidata dal sindaco Melucci (del resto, spesso negli ultimi tempi il primo cittadino ha pubblicamente mostrato grande disappunto verso AerclorMittal), ed il ruolo ancora non chiarissimo della Camera di Commercio (che ieri ha sottolineato, attraverso il presidente Sportelli, l’importanza del siderurgico per l’intera economia ionica). Ma l’obiettivo è oramai chiarissimo: fare tutto il possibile e finanche l’impossibile, per evitare che la gestione del siderurgico finisca in via definitiva nella mani della multinazionale guidata dalla famiglia Mittal.

In molti infatti danno per certo il pagamento della penale da 500 milioni di euro pattuita tra azienda, Commissari straordinari e governo nell’accordo del 4 marzo scorso, ad oggi ancora poco conosciuto nei dettagli, che fu raggiunto per far decadere la causa civile presso il tribunale di Milano, che per il premier Conte si sarebbe trasformata nella ‘battaglia legale del secolo‘. Evidentemente, avendo letto bene le carte, azione che abbiamo spesso consigliato nei mesi scorsi, ci si sarà accorti che la vittoria sarebbe stata tutt’altro che scontata.
Non è però detto che la multinazionale sino alla fine decida realmente di lasciare l’Italia e Taranto. Quello che appare essere ancora più probabile invece, è che l’attuale amministratore delegato Lucia Morselli, possa restare al comando del siderurgico anche dopo l’eventuale addio di Mittal.
La super manager sta gestendo dallo scorso ottobre una fase delicatissima: se da un lato ha il compito di calibrare costi di gestione, risorse e posizionamento sul mercato, dall’altro sta ‘dfendendo‘ un asset che anche l’attuale governo definisce stragetico per l’economia del Paese. Anche il licenziamento e le promozioni di alcuni dirigenti e quadri, lasciano intendere che la squadra che sta formando resterà anche nell’eventuale dopo Mittal. Certamente la gestione della Morselli è di un altro passo e di un altro livello rispetto a quella dell’ex ad Jehl, mandato via lo scorso autunno insieme a tutta la sua squadra.
Inoltre, la gestione della Morselli si è fatta sentire anche e soprattutto nel settore dell’appalto e dell’indotto. Che è stato rivoltato come un calzino. Al di là dell’assunto incontrovertibile che è giusto che ArcelorMittal paghi quando dovuto alle aziende dell’indotto nei tempi prestabiliti o comunque in tempi accettabili, è altresì vero che sia nella gestione Riva che in quella commissariale, in tanti hanno sguazzato nel settore degli appalti.
E troviamo increbiile che sempre Confindustria Taranto abbia chiesto durante la riunione a Loris Pascucci, direttore del siderurgico ArcelorMittal di Taranto, se esistesse o meno una ‘black list’ sulla quale sono presente i nomi di imprese escluse dalle forniture e dai contratti col siderurgico. A tale domanda, il direttore Pascucci oltre a negare l’esistenza di tale ‘black list’ avrebbe chiesto i nomi di queste aziende escluse. Con la minaccia di presentare denuncia in Procura. Pare non abbia avuto risposta.
E’ però certo, e lo abbiamo scritto anche noi, che lo scorso autunno durante una riunione vi fu un confronto molto acceso tra la Morselli e lo stesso Marinaro, sulla delicata situazione delle aziende dell’indotto. E che in quell’occasione l’ad lasciò intendere che le aziende non ritenute idonee dalla società per gravi motivi, non avrebbero più fatto parte del mondo dell’indotto. La risposta del presidente di Confindustria Taranto pare non fu delle più tenere, ribadendo nella circostanza che ciò che in quel momento importava era solo il pagamento della fatture in scadenza o scadute.
Probabilmente anche all’epoca in molti speravano, forse peché illusi dall’intraprendenza del sindaco Melucci e del governatore Emiliano oltre che del governo e del premier Conte, che l’uscita di ArcelorMittal e dell’ad Morselli fosse oramai prossima.
In realtà quello che è accaduto per anni nel mondo dell’indotto, ovviamente solo in parte, dovrebbe far riflettere. Appalti pagati per lavori mai effettuati, stesse fatture pagate due o tre volte, fatture pagate nonostante non avessero tutti i requisiti per essere liquidate, prezzi degli appalti anche triplicati rispetto al costo di gara.
Per non parlare di quante aziende negli ultimi anni hanno trasformato arbitrariamente o con l’avallo di alcuni sindacati che oggi recitano la parte dei duri e puri, migliaia di contratti da metalmeccanico a multiservizi, guadagnandoci non poco visto che vi è una differenza importante di salario e soprattutto diminuendo le tutele dei lavoratori. Il tutto proprio nel periodo in cui più si arricchivano. Senza parlare delle continue minacce di cassa integrazione, licenziamenti e fallimenti d’azienda appena il pagamento viene rallentato. Possibile che non abbiano da parte risorse economiche guadagnate lautamente in tutti questi anni che possano aiutare a far fronte nei periodi più difficili? Come mai tutto questo non lo dice e non lo ammette nessuno dalle parti di via Dario Lupo? Mistero.
Indubbiamente la musica dentro lo stabilimento è cambiata. Era scontato che sarebbe accaduto. Sia chiaro: come abbiamo ripetuto più volte, nessuno sta qui a difendere una multinazionale che ha degli obblighi da rispettare e patti da mantenere. Questo è fuori discussione. L’azienda è chiamata a fare tutto il possibile per quanto attiene non solo il pagamento dei fornitori, ma anche e soprattutto nella manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti. Così come non vi è alcuna giustificazione, se non per impedimenti giustificati, nell’eventuale rinvio dell’attuazione delle prescrizioni ambientali. E se questo non accade, è giusto denunciarlo ed intervenire. Ma cercare di far passare come il male assoluto per il territorio ArcelorMittal, appare francamente poco credibile.
Sarebbe interessante sapere come mai (?) al tempo dei Riva e della struttura commissariale, quando la situazione ambientale era decisamente peggiore, tutte queste levate di scudo erano pressoché inesistenti da parte di molti degli attori attuali.
Così come non è del tutto chiara la posizione di gran parte del sindacato. Prima si è chiesto all’azienda di ridurre al massimo, sino a proporre le sole comandate, il personale all’interno del siderurgico. Ora, a distanza di appena un mese, si chiede invece di reintegrare quanti più lavoratori possibile dalla cig. Soprattutto si chiede all’azienda di ripartire con la produzione. Solo che non si dice per chi bisogna produrre.
Al di là della perdurante e atavica crisi del settore dell’acciaio europeo, il disastro economico portato dalla pandemia Covid-19 ha definitivamente messo al tappeto gran parte del mercato che l’ex Ilva serve. Per fare un esempio: oggi il siderurgico è al minimo tecnico, con non più di 7mila tonnellate di ghisa prodotte al giorno. L’azienda ha avuto al momento ordini per appena 5mila tonnellate di coils, quando la produzione minima è di 40mila tonnellate di coils a settimana.
Dunque cosa si sta chiedendo esattamente all’azienda? Di produrre per riempire il magazzino senza la certezza che il prodotto realizzato sarà poi venduto? E quale azienda mai darebbe vita ad un’operazione del genere?
Alquanto poco chiara anche la posizione sulla liquidità della multinazionale e sull’eventuale richiesta di ottenere il prestito dalle banche con la garanzia dello Stato, per far fronte all’attuale situazione economica: per quale motivo ArcelorMittal non dovrebbe fare richiesta come tutte le altre società? Per quale motivo lo Stato dovrebbe vietare alle banche di erogare eventualmente il prestito? Cosa c’entra l’aiuto che lo Stato attraverso le banche vuole dare alle aziende con l’aiuto da garantire ai cittadini? Non è dato sapere.
Infine, la questione della sospensione dei lavori nei cantieri in essere per l’attuazione delle prescrizioni AIA. La decisione è stata avallata e consigliata persino dal custode giudiziario Barbara Valenzano, per ridurre al massimo la presenza di lavoratori all’interno dello stabilimento. Questa pausa, insieme alle tribolazioni dei mesi scorsi, hanno comportato un’inevitabile rallentamento nell’attuazione del Piano Ambientale, nonostante i lavori siano comunque proseguiti. Tra l’altro, il nuovo accordo sottoscritto lo scorso marzo, prevede un cambiamento importante del Piano Ambientale (vedi l’introduzione del forno elettrico) che per contratto significa la risoluzione dello stesso.
Questo lo sanno, o fanno finta di non saperlo, tutti quelli che chiedono una riconversione della produzione da ciclo integrale a ciclo ibrido? Ammesso e non concesso che ciò sia davvero realizzabile.
Forse sarebbe il caso di mettersi d’accordo una volta e per tutte su ciò che realmente si desideri per il futuro. Bisogna continuare a produrre acciaio? Se sì quanto? E con che modalità? Si è d’accordo con una gestione mista tra pubblico e privato? O si vuole il ritorno dello Stato in solitaria?
Ciò che appare oramai chiaro, almeno dalla scorsa estate, è che ArcelorMittal voglia dimostrare che l’ex Ilva di Taranto può tranquillamente continuare a produrre (il piano industriale presentato a dicembre prevedeva massimo 6 milioni annui), facendo a meno di almeno 5mila lavoratori tra diretti e indiretti. Cosa tra l’altro assolutamente fattibile visto che quella fabbrica per restare sul mercato, dovrà inevitabilmente ridurre il suo peso produttivo. Così come la gestione dei costi.
E’ questa la vera partita che si sta giocando a Taranto (vedi il gran movimento tra CIS, progetti riemersi dopo decenni di silenzio, l’eventuale futuro ‘Cantiere Taranto‘, ed altri nuovi progetti in essere o pronti per essere conclusi). Anche se tutti vogliono continuare a fare finta di niente. Per continuare a tirare a campare e dire che la colpa è sempre e solo degli altri. Auguri.