martedì 20 settembre 2022

Non solo lotta per difenderci dagli attacchi di padroni, governo, repressione Ma la LOTTA DELLE LOTTE per mettere fine al loro sistema capitalista - Dal blog proletari comunisti

(Dal foglio distribuito all'Assemblea proletaria anticapitalista di Roma del 17/9 - per richiederlo, scrivere a pcro.red@gmail.com)

Il governo, i partiti borghesi, lo Stato scaricano sui lavoratori tutto. L’ondata di aumenti dei prezzi e bollette è già drammatica, e senza alcun pudore si annunciano i nuovi aumenti strepitosi del gas e che i lavoratori, le famiglie devono consumare meno energia, stare un po’ al freddo quest’inverno, subire più inquinamento con la riattivazione di tutte le centrali a carbone, ecc. E che dire di quello che accade sul fronte del lavoro, con fabbriche che chiudono, delocalizzano, migliaia di cassintegrati, salari sempre più miseri, precari che restano precari a vita? Siamo poi probabilmente alle prese con una nuova emergenza sanitaria da covid e altre pandemie che si stanno affacciando nella vita dei popoli. Che dire di ciò che succederà nelle scuole? Anche qui c’è il caro-scuola e nessuno sa esattamente in che strutture si potrà stare, quanti insegnanti ci saranno, nonostante l’esercito di precari che resta alla porta, che dovrebbe essere chiamato in servizio, mentre fanno pseudo concorsi che coinvolgono 100.000-200.000 giovani e meno giovani che aspettano di entrare nelle scuole.

Non c’è un aspetto della vita quotidiana dei lavoratori e delle masse che non sia come “investito da un camion” dagli effetti delle politiche di governo e Stato che rappresentano gli interessi della classe dominante, della borghesia. Anche la più stupida delle statistiche rivela come i padroni, i settori ricchi e possidenti si siano sempre più arricchiti, nonostante la crisi anzi grazie alla crisi, nonostante il covid anzi grazie al covid. Il punto più alto di questa situazione è la minaccia di una devastante terza guerra mondiale che porterebbe anche l’emergenza di un pericolo nucleare.

È in questa realtà che noi dobbiamo ripartire quest’autunno per organizzare le lotte, alcune già in corso. E non solo le lotte per difendersi dagli attacchi ma “la lotta delle lotte” quella per mettere fine a questi attacchi.

È chiaramente frustrante che i lavoratori lottano, lottano ma sono sempre allo stesso punto. Ogni conquista è rimangiata, anche quando si riesce a strappare qualcosa con un accordo, mantenerlo è difficile, e subito ti scaricano addosso un altro peso. Sul fronte del salario ciò è più evidente. Sembra una battaglia a perdere: più lottiamo per avere degli aumenti, meno soldi portiamo nelle buste paga. Ci sono migliaia e migliaia di

lavoratori la cui busta paga è drammatica. E guai se noi guardassimo solo al nudo e crudo contratto, anche se sappiamo che il contratto è la ratifica di un diritto minimo dei lavoratori e dei rapporti di forza di fase tra sfruttati e sfruttatori e che intorno ai contratti si consuma il 50-60% delle mobilitazioni dei lavoratori. Ma non c’è contratto che tenga, e i risultati sono sempre miseri. Per non parlare dei disoccupati, che questo sistema considera un costo accettabile, come nelle guerre ci sono gli effetti collaterali, così nelle crisi sociali la disoccupazione viene considerata una normalità nella vita di questo sistema. Ma è una barbarie che la gente non debba avere un lavoro. È un fatto che ricade sulla vita delle famiglie. Le famiglie che non sono quella cellula a base della società che ci descrivono, ma il luogo dove si si consumano i primi misfatti che hanno origine in questo sistema, sia nella vita quotidiana, resa difficile dalle leggi del sistema capitalistico, sia negli effetti ideologici, psicologici, affettivi.

Come dicono le compagne: “tutta la vita deve cambiare”, se non riusciamo a fare una lotta per cambiare tutta la vita è difficile pensare che le lotte che già facciamo possano servire a cambiare realmente la realtà.

La lotta che serve è per rovesciare questo barbaro e marcio sistema capitalista, per una società socialista. Certo oggi, per colpa dei cosiddetti “partiti di sinistra” che si sono dimostrati nei fatti partiti dei padroni esattamente come gli altri, il senso della parola socialista si è perso.

Ma oggi più che mai serve un partito che lotti per una società alternativa nelle mani dei lavoratori e del popolo, in cui le scelte economiche, politiche, sociali, culturali abbiano come obiettivo il benessere dei lavoratori e delle masse popolari, la crescita delle persone. Questo è il socialismo. Solo il socialismo può risolvere i problemi che oggi sembrano insuperabili.

Ma il socialismo non si ottiene per via elettorale. Tutti quei “socialisti” che si sono mossi per via elettorale sono come coloro che “vanno per suonare e sono suonati”, vanno per trasformare e vengono trasformati, diventano parte di ceti politici corrotti che partecipano alla spartizione del bottino. Ciò dimostra che il socialismo non si può ottenere per via elettorale. Il socialismo si può ottenere solo per via rivoluzionaria.

Ma la rivoluzione per essere non un’aspirazione generica o una frase fatta è un processo che nasce nella realtà e va costruita attraverso l’organizzazione dei lavoratori innanzitutto, della classe operaia che è il settore produttivo su cui si regge la ricchezza nazionale, e di tutte le altre realtà lavorative. Le lotte dei lavoratori hanno sempre dentro l’idea di un futuro, la possibilità di un futuro. Lo Slai Cobas è uno strumento di trincea, di organizzazione della lotta immediata ma che inserisce nella lotta dei lavoratori l’idea di un futuro fondato sul rovesciamento rivoluzionario di questa società. Questa è la differenza di fondo tra lo Slai Cobas per il sindacato di classe e le altre formazioni sindacali che esistono: noi pensiamo di organizzare, sostenere la lotta sindacale in funzione della lotta politica, della lotta per la rivoluzione, per la trasformazione sociale radicale di questo paese. Altrimenti saremmo cattivi “sindacalisti”, parte di quel gioco truccato, di quel teatrino in cui si muove la lotta sindacale e i sindacalisti, anche quando sono onesti. La lotta sindacale o serve a conservare il sistema sociale capitalista o è al servizio della sua trasformazione. Noi ci ispiriamo a quei sindacati che hanno trasformato la società. Che oggi stanno solo sui libri di storia, che hanno a che fare con la Resistenza, con le grandiosi lotte che i lavoratori hanno fatto negli anni post-Resistenza per conquistare i diritti che la Resistenza e la Costituzione sembravano avergli garantito, benchè poi si è visto che ciò che sta scritto nelle Costituzione è “carta”.

La classe operaia però ha trovato altri suoi momenti forti, il 68, il 69, le grandi conquiste dell’autunno caldo. Lì era chiara l’idea che le lotte dovevano servire alla rivoluzione, a cambiare le cose. Allora i lavoratori conquistarono in due anni di lotta quello che non avevano conquistato nelle decine di anni precedenti. Questo sta a dimostrare che un movimento sindacale generale ispirato dall’idea della rivoluzione può anche non fare la rivoluzione ma ottiene in poco tempo quello che tante lotte stressanti di anni non ottengono. È un’esperienza oggettiva, quando un grande movimento di lavoratori, di studenti, degli sfruttati, delle donne alza il tiro della sua lotta, sia nei contenuti sia nelle forme, quando sfiora e utilizza la lotta dura, perfino nella sua forma armata, ne trae vantaggio, non svantaggio. Quel movimento in pochi anni ottenne ciò che non si era ottenuto in tanti anni e su cui tutti i lavoratori hanno goduto negli anni successivi, dallo Statuto dei lavoratori ai consigli di fabbrica. al rispetto per i diritti dei lavoratori, alla possibilità di rappresentanze che avevano senso, ecc.

Tutto questo fu il “sottoprodotto” di una lotta che guardava più in alto e pensava effettivamente di rovesciare lo stato di cose esistente, di fare la rivoluzione.

Poi i padroni iniziarono la loro controffensiva, usando sia la repressione, sia i partiti parlamentari, sia gli stessi sindacati, sia l’insieme dei mass-media sotto il loro controllo esclusivo. E ci sono riusciti, anche perché le forze che avrebbero dovuto organizzare la resistenza a questa controffensiva dei padroni si sono arrese. Alcune sono state sopraffatte nel tempo dagli arresti, dalla repressione, altre sono degenerate in forme sempre più degradate, pensando di entrare nel sistema borghese per cambiare la società. Ma abbiamo visto bene che tutti, senza eccezione alcuna, quelli che hanno percorso questa via, considerando che più aumentava il loro peso all’interno delle istituzioni e nei governi e più avrebbero fatto il bene del popolo, il bene del popolo non l’hanno fatto ma hanno fatto il bene loro. Questa è una lezione, e perciò noi non possiamo fare sempre lo stesso percorso: il sindacato che diventa forte, poi diventa parte delle Istituzioni, poi sostiene partiti che vanno nella stanza dei bottoni, ecc. Alle fino di tutto, i lavoratori si ritrovano con meno salario, meno lavoro, meno diritti, e loro si ritrovano “piazzati” in un sistema che poi va da sé, si auto-riproduce.

In questo senso, le elezioni non sono lo strumento che ci serve. Questo non vuol dire che non ci dobbiamo mai presentare alle elezioni, che tutti quelli che vanno a votare sono una massa di pecoroni. Non è così. Il problema è che la via è un’altra. La via della rivoluzione è l’unica via della trasformazione sociale e l’ispirazione della rivoluzione e la lotta per la rivoluzione che influenza le lotte sindacali è un’arma in più non in meno, che hanno le lotte sindacali. Interna a questa visione strategica, tatticamente dobbiamo misurarci con la realtà.

La realtà prima si chiamava governo Draghi, ora ne avremo uno nuovo, probabilmente di centrodestra, obiettivamente peggiore del governo che abbiamo ora. Se si guarda al di là delle parole che vengono dette in televisione, chi può veramente immaginare che governi in mano a Meloni, Salvini, Berlusconi possano fare gli interessi dei lavoratori? Quando mai lo hanno fatto? Alcuni di loro non sanno neanche cosa sia il lavoro, un Salvini, una Meloni hanno lavorato solo nel loro partito, sono più politicanti dei vecchi politicanti, pur proponendosi contro i politicanti. E questi dicono: la prima cosa che faremo è cancellare il reddito di cittadinanza, né vogliono sentir parlare di salario minimo (anche una soglia minima di 10/12 euro l’ora garantita nei contratti, nelle assunzioni sarebbe un miglioramento relativo per il salario e la vita dei lavoratori, che in Italia a decine di milioni guadagnano meno).

Dunque, è evidente che noi ci troveremo di fronte un governo peggiore, che cercherà altre vie per trovare il consenso delle masse: l’immigrazione, diranno che la colpa di tutto è degli immigrati, o altre questioni sventolate come “bandiere” ma che non significano niente per gli interessi materiali, ideali, di sviluppo dei lavoratori e delle loro famiglie.

Dobbiamo quindi attrezzarci per lottare contro questo governo e nel fare questo dobbiamo anche fare tesoro di quello che si è fatto finora. Non possiamo pensare di essere sempre gli stessi interpreti di questa recita a soggetto, dobbiamo inserire delle innovazioni per fare la lotta più larga e più forte e per renderla più funzionale alla crescita della coscienza dei lavoratori. Queste innovazioni hanno a che fare col modo in cui facciamo la lotta sindacale, con le rivendicazioni che avanziamo, col rapporto che stabiliamo tra lotta dei lavoratori e crescita della coscienza e con le forme di lotta. Molte volte vale di più un’azione fatta bene che cento parole. In questo senso il 68, l’autunno caldo sono una miniera a cui dobbiamo attingere, pur sapendo che le condizioni attuali non sono quello del 68- 69, ma non sono molto diverse dalle condizioni del 66-67. Non è che nel 66-67 i lavoratori fossero tutti pronti, ma poi sono partiti con l’autunno caldo. A una visione superficiale apparivano passivi. Si diceva che la classe operaia ormai si era integrata nel sistema e quindi, anche allora, tutte le idee di rivoluzione erano sorpassate, che i lavoratori ormai aspiravano a un benessere immediato. Lo si scriveva sui giornali e lo si ripeteva a tutto spiano, era materia di discussione nei congressi dei sindacati confederali. Ma due anni dopo non era più così, quegli stessi operai descritti come integrati, passivi non li fermavi più, nelle fabbriche, nelle piazze, ecc. Questo vuol dire che queste trasformazioni avvengono in maniera repentina. Dagli oggi, dagli domani improvvisamente si ribellano e quando trovano un canale per esprimersi, quel canale può diventare esplosivo. E questo non dipese dalla forza preesistente, chi ebbe un ruolo fondamentale nella lotta degli anni 70 erano piccoli gruppi, Lotta Continua, Potere Operaio l’Unione dei Comunisti erano all’inizio piccoli gruppi che tutto a un tratto si trovarono ad essere il detonatore di una “bomba” che erano le masse che tutto a un tratto esplosero. La situazione cambiò e e questi gruppi, a volte formati da giovanissimi, si trovarono nell’occhio del ciclone. Partiti dalla contestazione studentesca, da qualche rivista che parlava bene, si trovarono alla testa di un gigantesco movimento.

Noi vogliamo essere una scintilla, perchè la scintilla inneschi l’incendio della prateria. Questa prateria sono le masse.

Noi pensiamo che ci siano i fattori di questo incendio delle masse e che svolgendo positivamente il ruolo di “scintilla” possiamo servire a qualcosa, per ottenere risultati immediati ma soprattutto per creare quel contagio delle lotte che trasforma una lotta in un posto di lavoro in lotte in tanti posti, una lotta di un settore in lotte in tanti settori.

Se tutto questo avviene, veramente pensiamo veramente che il governicchio di Meloni, Salvini, Berlusconi possa rappresentare un pericolo? Si tratta di sedicenti giganti ma dai piedi d’argilla, senza un vero consenso popolare che non sia dentro la dialettica truccata delle elezioni in cui più del 50% si astiene, senza aspettare che glielo dica qualcuno. L’assemblea proletaria anticapitalista che abbiamo fatto il 17 settembre è questo.

Metteremo in rete le lotte e le cose che dobbiamo fare, le discuteremo con gli altri compagni e con altre realtà e poi che la “festa” cominci. Chi può lottare o sta lottando aiuti le altre realtà! Prima mettiamo le mani in pasta, meglio è.

Che si facciano la loro campagna elettorale, e poi ce la dichiariamo. Alla fine dovranno fare il governo e quando lo faranno ce la dichiariamo. Certo per noi la questione è che intendiamo dal primo giorno assediare la loro porta con le rivendicazioni dei lavoratori, e non solo.

 

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