mercoledì 27 luglio 2016

"Gli avvocati di Riva e degli altri imputati si vogliono difendere DAL processo anzichè nel processo" - L'intervento puntuale, e anche ironico, dell'avvocato Pellegrin di Torino, legale delle parti civili presentate dallo Slai cobas sc, al processo Ilva che si tiene in questi giorni

RIPORTIAMO PARTI DELLA LUNGA REPLICA CHE L'AVVOCATO ENZO PELLEGRIN, A NOME ANCHE DEGLI ALTRI AVVOCATI DI TORINO, HA FATTO MARTEDI' 26 LUGLIO, DEMOLENDO E SCHERNENDO PUNTO PER PUNTO LE "ECCEZIONI" POSTE DAGLI AVVOCATI DI RIVA E SOCI.

"Le parti civili non sono un ostacolo ma sono sicuramente intenzionate ad essere, per quanto è possibile, per quanto le loro forze lo consentano, per quanto i loro argomenti saranno considerati efficaci, un ostacolo al fatto che questo processo non si faccia..." (ha detto in conclusione).

(Dall'intervento): 
"Affrontando le tematiche proposte in via generale sia dall’avv. Annichiarico (legale di Nicola Riva) che dall’avv. Caiazzo (difensore di Archinà) si rimane alquanto stupiti dalle loro parole di introduzione.
L’avv. Annichiarico iniziando a prospettare una lunga serie di eccezioni, ha affermato che, “in questo modo la Corte si sarebbe resa conto dell'incredibile carico che le costituzioni di parte civile rappresentano in questo processo”
Si è parlato di mille storie diverse di danno, le quali, se mai facessero ingresso in questo processo, ahimè, ne determinerebbero un eccessivo peso… L’avv. Caiazzo nella sua lunga memoria parla della necessità di “evitare dispersioni processuali”.
..tali affermazioni sembrano fare intendere che, in questo processo, le parti civili sono un ostacolo.

E’ colpa nostra se agli imputati viene contestato un reato plurioffensivo di disastro ambientale? Un reato che, nella sua natura, per l’estensione che ha avuto nel nostro caso
concreto (forse la più grande nella storia italiana) è stato in grado di provocare innumerevoli conseguenze dannose?
Si è evocato il processo Eternit ma occorre sin d’ora ricordare che il nostro processo ha dimensioni non comparabili col noto processo celebratosi a Torino:
- non sono comparabili, perché l'area è nettamente più ampia di quella di Casale M.to,
- non sono comparabili, per la tipologia delle patologie potenzialmente indotte;
- non sono comparabili, perchè gli agenti di rischio derivanti dalla produzioni dell'Ilva sono molto più numerosi mentre a Casale l'unico agente di rischio era l'amianto.
E - dobbiamo dire- anche per la gravità dei comportamenti degli imputati, così come contestata, tale da rappresentare un unicum: non solo si è inquinato, non solo si sono poste le basi per patologie mortali, ma lo sì è fatto utilizzando parti dell'amministrazione pubblica sia locale che statale per garantire la continuità dei propri interessi criminosi.

Ecco spiegato perché tante parti civili, tante storie che non possono mai rappresentare un ostacolo, perché il diritto ad agire e ad essere presente nel processo, diritto garantito dal nostro codice e dalla nostra Costituzione, non può, non deve essere raffigurato come ostacolo, ma come concorso all’accertamento della verità processuale.
Si ha pertanto la sensazione che la raffica di eccezioni formali sia un dispositivo per difendersi dal processo, anziché nel processo: un modo per eliminare e non confrontarsi con le scomode conseguenze dannose e le tragedie che questo coacervo di comportamenti illeciti ed inquinanti hanno provocato, magari sperando di relegare i danneggiati a sedi dove la tutela del loro diritto divenga di fatto ardua o impossibile.
Intendiamoci: non è contrario alla legge difendersi dal processo con tutti i mezzi che la procedura consente. Ciò che si vuole sottolineare è la totale opposizione a questo metodo. Le parti civili sono portatrici di un altro e diverso interesse: fare il processo e far emergere la verità circa le responsabilità del disastro ambientale provocato dall'avidità di chi ha gestito l'Ilva.

Ecco perché sono state prospettate una serie di eccezioni che andremo non solo a contestare, ma a sfatare, sfatare...
Prima tra tutte le cortine fumogene: il richiamo alla sentenza Eternit per cercare di eliminare tutte quelle parti civili che hanno ricevuto danni maggiori di quelli da esposizione, quelli per cui il danno di esposizione si è sviluppato in un evento lesivo o peggio esiziale...
Nelle sommarie descrizioni attribuite alle parti (civili) si è dimenticato di leggere per intero l'esposizione in fatto che comportava, nei punti successivi a quelli letti, l'individuazione delle fonti di rischio per ciascuno. La dimenticanza potrebbe apparire strana: strano che sia sfuggito a lettori così attenti e di lungo periodo, ma trova una spiegazione banale se si immagina, come pensiamo, che l'opposizione sia strumentale e tesa a cercar di eliminare tutte le parti civili da questo processo.
Ed infatti, con coerenza apparente - molto apparente – la difesa ha prospettato un'ipotesi a prima vista suggestiva: quella di applicare, in questo processo, “con rigore”, i paramenti utilizzati dalla Corte d'Appello di Torino, nel noto procedimento Eternit, nel quale erano in gioco esattamente gli stessi reati di disastro doloso e omissione dolosa di misure di sicurezza. Si dice, giustamente, che la Corte d'Appello di Torino non ha preso in considerazione le patologie. Ecco: è vero, ma... la Corte d'Appello di Torino non ha preso in considerazione le patologie e le morti, non al fine di escludere le parti civili che erano afflitte da patologie o che erano decedute, ma semplicemente per dire che le stesse parti civili, risultando esposte all'amianto dolosamente per il comportamento dell'imputato, dovevano essere riconosciute come vittime e risarcite per quanto riguarda l'esposizione, rinviando ad eventuali ulteriori giudizi la valutazione circa le patologie.
Le migliaia di parti civili costituite (nel processo Eternit) sono rimaste tutte ed an tutte (sani, malati, deceduti) ed è stata riconosciuta un eguale provvisionale di 30 mila euro ciascuno per il danno da esposizione.

Si vuole, inoltre, a titolo di esempio, richiamare un caso che ci sta molto a cuore, quello del giovane Alessandro Rebuzzi. Nei confronti della costituzione di parte civile del padre, Aurelio Rebuzzi, si è richiamato la patologia che lo affliggeva. A questo proposito, è stata sollevata questione da parte delle difese in quanto il figlio deceduto non abitava a Tamburi, né nel quartiere Paolo VI e, ovviamente, data la giovane età, non svolgeva alcuna attività lavorativa nell’Ilva o attorno all’Ilva.
Infatti, il ragazzo era un normale studente, però afflitto da fibrosi cistica.
Ma a questo proposito, si vuole sostenere che, anche al di fuori delle aree immediatamente adiacenti allo stabilimento Ilva, vi sia, nella città di Taranto, una parziale esposizione, tale da indurre, in soggetti afflitti da particolari patologie, un serio rischio di aggravamento della propria condizione patologica.
Si dimentica sempre che nel processo c’è un incidente probatorio ed anche un verbale di sequestro che attesta l'area di incidenza degli inquinanti pari almeno ad un raggio di oltre 20 km, tale da comprendere la stessa città Taranto interamente, quindi non solo i quartieri Tamburi Paolo VI...
Il caso del povero ragazzo Rebuzzi è molto noto in città, perché lui stesso, prima di morire, ha cercato di sollevare il problema dell’inquinamento a Taranto, chiedendo ai suoi coetanei, tutti adolescenti, di mettersi in moto e di partecipare a tutte le iniziative utili a risanare quella situazione. Quella situazione in presenza della quale la sua patologia si è aggravata sino a portarlo a morte...
...Era diritto di questo ragazzo vivere la sua giovinezza e poi la sua maturità in un ambiente che non provocasse, con la continuità dell’esposizione, rischi continui per la sua salute...? Noi riteniamo che fosse suo diritto, e crediamo che i reati dolosi... abbiano messo in discussione questo suo diritto ed abbiano perciò interferito direttamente su quello che ciascuno di noi spera di poter avere: un’opportunità di vita che non possa essere messa in discussione ed in pericolo da soggetti esterni che operano illegittimamente in sede industriale al solo fine della massimizzazione del profitto, accettando il rischio di provocare tutti gli effetti negativi sulla popolazione che un tale pernicioso ed illecito modo di produzione industriale cagiona...

.per quelle costituzioni in merito alle quali si è eccepito una pretesa ed asserita genericità dell’esposizione delle ragioni della domanda, richiedendo chissà quale eventi specifici, individualizzanti, necessari scampoli di vita intima e fors’anche pensieri reconditi.
Devo dire che, in merito alle parti patrocinate dal sottoscritto avv. Pellegrin, il lungo, e puntuale cahier des doleances dell’avvocato Annichiarico non le ha per nulla riguardate... l’esposizione delle ragioni della domanda di (una delle parti civili) menzionano il fatto della sua residenza nel quartiere
Paolo VI - corroborato dall’allegazione del certificato di residenza, insieme alla esposizione di come “la vicinanza di tale area e quindi dell’abitazione dello scrivente al predetto Stabilimento ILVA ha determinato per lo stesso l'esposizione ai rischi per la propria salute derivanti dall'esposizione ad agenti patogeni (in particolare cancerogeni) in conseguenza diretta del comportamento degli imputati, anche quale conseguenza del “timore di ammalarsi”, quale danno morale riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità in quanto “sofferenza soggettiva... (Cass, SS UU n. 26972/2011”. Che (si) doveva esporre di più... per la lettera del codice?
Possiamo sostenere mai una inammissibilità con argomenti di questo tipo? Inammissibilità inammissibile.


Discorso analogo vale per le parti civili che riguardano i lavoratori cimiteriali. Nelle costituzioni si è dato atto del rapporto lavorativo, del luogo di lavoro adiacente ad una delle zone più inquinate, i parchi minerali, dell’incidenza dell’esposizione agli inquinanti, delle approfondite indagini e rilevazioni ambientali da parte dell’Arpa Regionale Puglia, della particolare natura dell’inquinante dato dalla polverosità e dalla diossina, ed è fatto notorio che un Commissario straordinario del governo ha predisposto un piano per la bonifica di detto cimitero. Conseguentemente è stata messa tale esposizione in correlazione con le condotte criminose contestate agli indagati!!!
Allo stesso identico modo si è proceduto per i dipendenti dell’ILVA, dando atto del rapporto lavorativo con l’azienda, delle mansioni svolte e dell’incidenza degli inquinanti su di esse. E’ stato menzionato il fatto che nei vari reparti in cui i dipendenti hanno lavorato sono stati accertate malattie professionali, tumorali, oltre a numerosi casi di infortunio, ed anche qui si è messo in luce il rapporto causale tra il danno lamentato e le condotte degli imputati...

...Vogliamo un’ efficace descrizione del danno da esposizione? Quella della probabilità e dei numeri.
Noi avevano - ad esempio - un numero di 8 tra le nostre parti civili, lo stesso numero della composizione di questa Corte, lo stesso numero più o meno degli avvocati e dei pm che siedono nella prima fila dell’aula. Bene, erano tutti sani quando si sono costituiti. Oggi due di essi sono malati. Come nella decimazione della prima guerra mondiale descritta nel film Uomini Contro.
Ecco cosa vuol dire il danno da esposizione…
Ed ecco dissolta una ulteriore cortina fumogena.

Da questo punto di vista non sfugge alle critiche anche il tentativo effettuato da uno dei legali del collegio di difesa, che ha messo in discussione la legittimazione dell’Associazione Onlus Medicina Democratica, ritenendola sprovvista di presenza a livello locale e, quindi, come tale non ammissibile.
Ancora una volta, se si legge l’indice della copiosa documentazione prodotta, anche solo l’indice che era allegato... si scopre che l’Associazione Medicina Democratica Onlus che - sia detto per inciso - è una delle più antiche associazioni italiane costituita a tutela della salute particolarmente dei lavoratori e delle popolazioni esposte ai rischi delle produzioni industriali, è da anni presente su tutto il territorio nazionale ed opera anche in Puglia...
...Ancora una volta, quindi, siamo di fronte ad un tentativo di “fare polvere” (absit iniuria verbis), di sollevare una sorta di mascheratura che unifica tutte le posizioni, nella speranza di ottenere un risultato impossibile: quello cioè di ottenere che le vittime e le associazioni che hanno portato avanti negli anni la lotta contro l’inquinamento industriale a Taranto escano da questo processo.
Si è sinceramente convinti che queste Associazioni, ma soprattutto le persone, abbiamo tutto il diritto ad essere presenti nel processo che si sta celebrando e - se ci è consentito - sia addirittura loro dovere. Se un processo di questo genere si svolgesse in sordina e in assenza della parte di abitanti di Taranto toccata più da vicino dagli effetti della produzione industriale dell’Ilva, sarebbe un processo inutile.
Inutile: perché finirebbe per mettere una inaccettabile distanza tra la popolazione, i lavoratori, coloro che sono esposti a rischio oggi e che purtroppo lo saranno anche domani - se non vi saranno interventi di bonifica – e l’Amministrazione della Giustizia.
A nostro avviso, la partecipazione dei diretti interessati deve essere vista come elemento di democrazia e, quindi, non riteniamo ragionevole, accettabile e civile pretendere un bel processo “neutro” che si svolga in un’aula vuota con i soli difensori che si scontrano con la sola Procura della Repubblica...

...un’ultima annotazione finale. Le parti civili non sono un ostacolo.
Bisogna intendersi: le parti civili sono sicuramente intenzionate ad essere, per quanto è possibile, per quanto le loro forze lo consentano, per quanto i loro argomenti saranno considerati efficaci, un ostacolo al fatto che questo processo non si faccia...
Il primo dovere di queste parti civili è quello di fare emergere la verità, e la verità sostanziale, ripeto sostanziale, è quella di ampie aree di Taranto che coinvolgono dipendenti dell'Ilva, abitanti di Taranto, dei quartieri di Tamburi, Paolo VI, lavoratori come i cimiteriali, che operano permanentemente nei pressi dell'Ilva, drammaticamente investiti da un percorso di inquinamento concreto e verificabile, che ha portato chi ha frequentato quei luoghi a vivere in una situazione di esposizione permanente al rischio, esposizione che non si è ridotta neppure negli ultimi anni.

In questo senso, l'unico strumento che abbiamo per far valere la verità è quella di essere presenti nel processo e, quindi, finché ne resterà uno di noi, quella verità noi continueremo a cercare".

Avv. Enzo Pellegrin
Patrocinante in Cassazione
del Foro di Torino

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