L’Ilva aiuta a fare ‘carriera’: Lupoli ‘promosso’ presidente e ad a Trieste. Da Arvedi…
di Gianmario Leone -
Ma Antonio Lupoli nel suo curriculum ‘vanta’ anche una serie di indagini in cui è coinvolto. Ad esempio quella portata avanti dal gip Rosati, che quest’anno opponendosi alla richiesta di archiviazione della Procura, porta avanti l’inchiesta per getto pericoloso di cose, violazioni ambientali e gestione della discarica rifiuti “Mater Gratiae”, dove oltre a Lupoli sono indagati l’ex commissario Ilva, Enrico Bondi, uno degli attuali tre commissari, Piero Gnudi, e l’attuale direttore Ruggero Cola.
Poi c’è quella inerente le discariche a cielo aperto di rifiuti pericolosi e non pericolosi lungo l’argine sinistro della gravina Leucaspide senza interventi che ne impedissero l’utilizzo. In questa inchiesta sono ben nove gli indagati nell’ambito del procedimento aperto dal sostituto procuratore della Repubblica dottor Marinao Buccoliero. Si tratta di Luigi Ambruoso di 60 anni, nella qualità di responsabile delle discariche per rifiuti industriali a servizio dello stabilimento Ilva; Camillo Castronuovo di 62 anni, che ha svolto la stessa funzione; Francesco Di Maggio, in qualità di responsabile dei servizi di ecologia e discariche dell’Ilva Spa; Carmine Lezza di 40 anni, responsabile dei medesimi servizi; Luigi Capogrosso di 61 anni, direttore generale dello stabilimento; Salvatore De Felice di 52, direttore tecnico dello stabilimento siderurgico; Adolfo Buffo di 60 anni, in qualità di direttore dello stabilimento siderurgico Ilva; Antonio Lupoli di 57 anni, in qualità di direttore tecnico dello stabilimento; Ruggero Cola di 59 anni, in qualità di direttore dello stabilimento siderurgico. Secondo la tesi accusatoria, l’utilizzo delle diverse discariche sarebbe stato consentito sull’argine sinistro della gravina Leucaspide “sino al limite del confine con l’azienda agricola di proprietà della famiglia De Filippis“.
Ciò avrebbe determinato la realizzazione di grandi depositi costituiti dagli stessi rifiuti dall’altezza di circa 40, 45 metri al di sopra del piano di campagna. Nella contestazione si contesta “la presenza di opere prive di copertura e di rimedi contro lo spandimento di polveri pericolose per la salute e la dispersione in falda del percolato“.
Per ultimo, ma non certo per importanza, ricordiamo che Lupoli è indagato anche in un altro processo, indubbiamente il più grave in cui è imputato. Il giudice per l’udienza preliminare Valeria Ingenito nello scorso marzo ha infatti mandato a processo undici persone per l’incidente avvenuto nel siderurgico il 28 febbraio del 2013: un operaio di 43 anni, Ciro Moccia, morì precipitando al suolo da una pensilina a dieci metri d’altezza nel reparto Cokerie ed un altro lavoratore, Antonio Liddi, rimase gravemente ferito ma si salvò la vita proprio perché la sua caduta al suolo fu attutita dal corpo del compagno di lavoro. Un solo imputato ha scelto la via del rito abbreviato: si tratta di Salvatore Zecca, responsabile per la sicurezza della una ditta dell’appalto che eseguiva lavori alla Cokeria, condannato dal gup a due anni e mezzo di reclusione. La Procura aveva chiesto per lui una condanna a 4 anni e mezzo.
Al processo, che è cominciato il 6 giugno, gli 11 imputati risponderanno di omicidio colposo e lesioni personali. A giudizio sono finiti Antonio Lupoli, all’epoca direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto; il capo area cokerie Vito Vitale; il delegato area cokerie Carlo Diego; il capo reparto manutenzione batterie Marco Gratti; il capoturno Carmine Gaetano Pierri; il progettista Pietro Valdevies; il responsabile della manutenzione reparto carpenteria batterie Martino Acquaro assieme al titolare della ditta dell’appalto Emmerre, Davide Mirra, al suo responsabile dei lavori Nunzio Luccarelli e a un capoturno e un caposquadra della stessa società, Cosimo Lacarbonara e Vincenzo Procino.
Secondo la ricostruzione dei fatti da parte della Procura, Moccia non avrebbe dovuto trovarsi su quella passerella. Era lì perché gli fu chiesto di effettuare alcune saldature per risolvere un problema al binario di scorrimento di un macchinario che alimenta i forni del siderurgico, ma quei lavori erano invece stati affidati in appalto alla Emmerre. La lamiera su cui salirono i due lavoratori non resse il peso e cedette facendo cadere nel vuoto i due operai. Per l’accusa i lavoratori avrebbero dovuto indossare un’imbracatura di sicurezza.
Noi siamo assolutamente garantisti. Però è chiaro che al di là dell’ultimo grado di giudizio, queste cose faranno sempre più allontanare i cittadini e mineranno ulteriormente quella poca fiducia che è rimasta nei confronti dell’industria italiana e di chi la gestisce. Chiunque esso sia.
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