Fascismo/razzismo e vera e propria stupidità mentale sono una combinazione normale.
La figlia di Cito deve solo vomitare veleno senza neanche sapere di che parla. Legare infatti i problemi di Taranto ai migranti è quanto di più supido e falso ci possa essere. Nessuno che abbia un minimo di cervello può pensare che i migranti a Taranto, tenuti contro la loro volontà nei centri di accoglienza, nell'hotspot, siano la causa della mancanza di lavoro, dei licenziamenti nell'appalto Ilva, nell'indotto Arsenale, Marcegaglia, nell'edilizia, ecc.
Che c'azzecca!? Ma per raccattare voti si specula sul tema "facile". E questo proprio in una città in cui anche un cieco vede benissimo che sono i grandi padroni, i governi a creare attacchi al lavoro e alle condizioni di vita delle masse popolari.
Impediamo che a Taranto possa parlare chi attacca migranti, ma anche l'intelligenza dei lavoratori, dei giovani, delle donne!
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Per tutti coloro che vogliono realmente capire, riportiamo stralci
da uno SCRITTO DEL PROF. GIUSEPPE DI MARCO, che spiega scientificamente perchè la disoccupazione è solo "colpa" dei padroni
"4. Importanza, per l’accumulazione capitalistica, della concorrenza tra l’esercito industriale di riserva e l’esercito industriale attivo, ovvero fra disoccupati e occupati
L’aumento della forza produttiva del lavoro portata dallo sviluppo dell’industria, fenomeno, questo, che crea l’accumulazione ma ne è anche conseguenza, «non solo riduce sempre più il numero degli operai necessari per mettere all’opera una massa crescente di
mezzi di produzione, aumenta allo stesso tempo la quantità di lavoro che l’operaio individuale deve fornire»i. «Eguale restando, o perfino diminuendo, il numero dei lavoratori da esso comandati, il capitale variabile cresce solo più lentamente di quanto aumenti la massa del lavoro, quando il lavoratore individuale fornisce più lavoro e il salario del suo lavoro quindi aumenta, benché il prezzo del lavoro rimanga eguale o perfino scenda. L’aumento del capitale variabile diventa allora indice di più lavoro, ma non di un maggiore numero di lavoratori occupati». Quindi può anche aumentare il salario, ma senza che il capitale aumenti il prezzo complessivo del lavoro, perché un certo numero di operai viene espulso, ovvero il lavoro può aumentare moltissimo nella sua massa, ma ciò non significa che aumenti la massa dei lavoratori. Così il capitale, avendo creato la sua riserva di popolazione operaia, può cavare fuori dal lavoratore
singolo più lavoro, anche a un salario maggiore, senza sborsare di più per assumere altri operai. Insomma, aumento di lavoro non significa aumento dell’occupazione: «Ogni capitalista è assolutamente interessato a spremere un determinato quantum di lavoro da un minore numero di lavoratori invece che da un numero maggiore a un prezzo egualmente conveniente o anche più conveniente»iii, cosa che si può ottenere prolungando la giornata lavorativa in assoluto oppure agendo sull’intensità del lavoro con l’imposizione di ritmi insopportabili. Questo è quanto oggi avviene nelle fabbriche in tutto il mondo, una volta che il capitale ebbe superato il periodo di estese e intense lotte della classe operaia negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso nei paesi più progrediti capitalisticamente, attraverso l’esternalizzazione di parte della produzione, la delocalizzazione delle fabbriche nelle varie parti del pianeta, lì dove la forza-lavoro è a più basso costo e soprattutto meno organizzata per lottare...
...Su questa base si sono sviluppate le legislazioni sul lavoro volte a dare mano libera ai capitalisti proprio riguardo alla possibilità di licenziare, il che permette loro di aver mano libera sull’orario di lavoro e sull’intensità di quest’ultimo. La riduzione, anzi lo smantellamento e la privatizzazione di strumenti essenziali di riproduzione della forza-lavoro quali il sistema scolastico e il sistema sanitario, aumenta il potere di ricatto, mediante l’arma del licenziamento, che il capitale ha nella fabbrica per comandare il lavoro dell’operaio che, una volta licenziato, privo di mezzi di sussistenza o costretto a un’elemosina di assistenza, meno che mai può pagare per sé e la sua famiglia cure mediche e istruzione.
Oppure lo sviluppo della forza produttiva del lavoro, causa ed effetto dell’accumulazione, può consentire al capitalista di ottenere il medesimo risultato all’inverso, aumentando sì l’occupazione, ma in modo tale che questo aumento sia apparente, giacché egli può rimpiazzare «una forza superiore e più cara con più forze inferiori e a buon mercato: l’uomo con la donna, l’adulto con l’adolescente e il bambino, uno yankee con tre cinesi». In tal modo il capitale può spremere una maggiore quantità di lavoro con il medesimo capitale variabile. Il rimpiazzo dello yankee con tre cinesi è la metafora del lavoro migrante dentro il modo di produzione capitalistico, dalla meccanizzazione industriale a quella informatica e finché esso esisterà: sempre l’immigrato rimpiazza a buon mercato o sotto più selvaggio sfruttamento, mediante il caporalato ecc., la forza- lavoro locale più cara. La connotazione sessuale o quella razziale con il loro presupposto rispettivamente di subordinazione o di discriminazione o grado di discriminazione, entrambi economicamente condizionati in base al loro ambiente storico o a lunga tradizione, funziona in base alla legge capitalistica della popolazione come un mezzo che permette al capitalista singolo un eguale o addirittura minore esborso di capitale variabile per ottenere più lavoro e quindi mantenere lo stesso numero di operai oppure aumentarlo addirittura...
Poiché la creazione della sovrappopolazione relativa o esercito industriale di riserva deve far fronte alle esigenze di tutto il ciclo industriale, in cui si alternano periodi di vivacità media, sviluppo massimo della produzione, crisi e stagnazione con interruzioni costituite da piccole oscillazioni, di modo che il capitale possa trovarsi sempre pronto ad assorbire o respingere una maggiore o minore quantità di forza-lavoro a seconda del suo bisogno di autovalorizzazione, è evidente che tale creazione debba avvenire in modo più rapido che non le innovazioni dei processi lavorativi dal punto di vista tecnico. Con rapidità crescente i mezzi di lavoro, quanto più aumentano e quindi fanno aumentare la massa di lavoro, tanto meno diventano mezzi di occupazione degli operai. Quindi l’aumento della massa di lavoro non significa aumento dell’occupazione bensì la sua diminuzione, e così «il sovralavoro della parte occupata della classe dei lavoratori ingrossa le file della riserva di lavoratori, mentre, viceversa, la pressione aumentata che quest’ultima esercita sulla prima con la sua concorrenza, costringe questa al sovralavoro e alla sottomissione ai dettami del capitale. La condanna di una parte della classe dei lavoratori a un ozio forzoso per il sovralavoro dell’altra parte e viceversa diventa mezzo d’arricchimento del capitalista singolo e accelera allo stesso tempo la produzione dell’esercito industriale di riserva su una scala corrispondente al progresso dell’accumulazione sociale».
Ozio forzoso e sovralavoro, dunque. Come il lavoro (o meglio il pluslavoro) è comandato, perché la condizione affinché si possa lavorare per vivere è che si fornisca più lavoro a un altro uomo e quindi ci si sottometta allo sfruttamento da parte di quest’ultimo per il tempo in cui gli si vende la propria forza-lavoro, tempo la cui durata è da lui stabilita, cosicché per lavorare per vivere bisogna vivere per lavorare forzosamente: così anche la disoccupazione è comandata, perché la concorrenza con il disoccupato che cerca lavoro e quindi il ricatto, per l’occupato, di finire sul lastrico, fa sì che quest’ultimo eroghi anche il lavoro che avrebbe potuto erogare, insieme a lui, il disoccupato in condizioni più degne di un essere umano, ma che, erogato forzosamente dall’operaio occupato, è un risparmio per il capitalista anche se egli dovesse aumentare il salario dell’occupato. Ma soprattutto la concorrenza tra occupati e disoccupati dà al capitalista il pieno potere di disporre della durata del tempo di lavoro dell’operaio individuale a seconda della quantità di pluslavoro di cui ha bisogno, quantità dipendente dall’andamento del ciclo periodico che va dallo sviluppo alla crisi, alla ripresa e così via.
Pertanto l’operaio, residente o migrante che sia, appartiene al capitale completamente...
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