giovedì 1 novembre 2018

GIOVEDI' ROSSI - "LE LOTTE DI CLASSE IN FRANCIA" - 7° parte

Al centro dell'opera di Marx vi è sempre e comunque la decifrazione dei movimenti politici in seno alla borghesia per permettere alla classe operaia di comprenderne la natura e non porsi alla coda di essi
In questa parte del 2° capitolo de "Le lotte di classe in Francia" c'è la lezione più pregnante che Marx insegna al proletariato, la più pesante demolizione delle illusioni parlamentari e delle forze che fanno del parlamento il teatro delle loro cosiddette "imprese".  
L'Assemblea costituente
L'ascesa al potere della piccola borghesia - vista nelle precedenti FO - sull'onda dei sommovimenti proletari, avvenuta in Francia all'epoca con l'alleanza con la grande borghesia per smarcarsi dal proletariato e impedirne l'avanzata rivoluzionaria, mette la frazione piccolo borghese alla mercè dei voleri della borghesia.

Da un lato la grande borghesia non può fare a meno delle forze politiche piccolo borghesi che danno al suo potere, al suo governo, al suo parlamento, alla sua Costituzione una veste democratica; dall'altro è assolutamente necessario per essa che governo, parlamento e costituzione siano solo una veste che cela il suo dominio e i suoi interessi. 
Questo nella fase che segue il sommovimento proletario incompiuto, a cui deve seguire necessariamente il dominio assoluto della borghesia e la restaurazione anche giuridica in forme nuove di quello che è il suo regno, sia pure senza re. 
Marx sottolinea come in questi eventi questo dominio senza re è dato dalla piena affermazione della inamovibilità dei giudici. Giudici, nella Francia dell'epoca, pienamente corrispondenti agli interessi dell'effettiva classe dominante. Inamovibilità dei giudici sta per intoccabilità della legge, della loro legge, e certezza che il loro agire sarà antiproletario e antipopolare e garante degli interessi della grande borghesia. 

Ma la borghesia si muove dentro una contraddizione: la costituzione basata sul suffragio universale
rappresenta per essa comunque il pericolo che le famose urne vedano l'invasione della classi nemiche che mettano a rischio le basi stesse - dice Marx - della società borghese. Ma qual'è la base stessa della società borghese? Dice Marx "la schiavitù sociale delle classi oppresse". La schiavitù sociale che la costituzione deve eternare è quella del proletariato, dei contadini e degli stessi piccolo borghesi. 
Questo disegno della borghesia continua ad aver bisogno della piccola borghesia, presente nel potere politico, però via via essa deve trasformarsi in consorteria - quello che chiameremmo oggi "ceto politico" - perchè il potere di cui deve godere deve essere una parvenza di potere, tenuto sempre in piedi con lo spettro, Marx dice: "regno del national o regno dell'anarchia"; ovvero, lo spettro del popolo rivoluzionario. 
Una volta che questo processo è esorcizzato, l'urna elettorale lo ratifica. E qui dice Marx: "Cercava il figlio di sua madre e trovò il nipote di suo zio". Nell'urna elettorale i rappresentanti della piccola borghesia vengono a quel punto surclassati da quelli della grande borghesia, e la consorteria trova nell'urna elettorale la sua sentenza di morte. 

I processi descritti negli avvenimenti francesi dell'epoca sono una dinamica costante della dialettica politica riflettente la lotta tra le classi. Ma ciò che a Marx interessa è, lo abbiamo detto, come decifrarli dal punto di vista del proletariato e delle classi oppresse. 

Il risultato elettorale che nella Francia dell'epoca schiaccia il rappresentante della piccola borghesia riformista Cavaignac con il rappresentante della grande borghesia, Bonaparte, è il frutto di un movimento composito, che chiameremmo noi di tipo populista. Tutte le classi sociali convergono su questo per ragioni che sono differenti e un ruolo decisivo lo hanno i contadini che, tenuti fuori dal potere anche dalla piccola borghesia riformista nel corso della sua ascesa, fanno sentire la loro voce tramite il voto massiccio al rappresentante della grande borghesia. 
E ogni classe porta in questo voto le sue ragioni, come abbiamo detto; perfino il proletariato, quello privo di rappresentanza autonoma, vota per Bonaparte come voto contro una piccola borghesia riformista senza riforme. 
A questo si sottraggono solo due componenti che si presentano in questa occasione come partiti autonomi con i loro rappresentanti: il partito della piccola borghesia radicale e il partito del proletariato socialista. 
Marx saluta positivamente questo fatto, pur non nascondendo che esso contribuisce alla "tempesta perfetta" che produce il crollo della piccola borghesia riformista e la vittoria del candidato della grande borghesia. Questa borghesia, subissata dai voti, con il suo rappresentante immediatamente si trova a dover, da un lato, tradurre nei fatti gli interessi della classe che effettivamente rappresenta, dall'altra, negare coi fatti gli interessi della altre classi che pure lo hanno votato, in particolare i contadini.  
Questi che lo hanno votato al grido: "Abbasso le tasse" e si ritrovano che il primo provvedimento è il mantenimento delle tasse ("imposta sul sale"). 
Anzi, tenendo conto che la piccola borghesia riformista per mantenere il consenso aveva deciso essa l'abolizione della "tassa sul sale", quello di Bonaparte è in sostanza un ripristino della "tassa sul sale".

L'elezione plebiscitaria per Bonaparte mantiene il bisogno di trovare una figura politica che rappresenti quella fase e che realizzi quel cambiamento, dice Marx, "della scena ufficiale". E la "scena ufficiale" cambiò. Il cambio della scena ufficiale domanda oltre che una figura politica che ha attraversato tutte le fasi, anche l'eliminazione dell'ostacolo che le elezioni hanno sconfessato ma che sta ancora lì ingombrante: l'Assemblea costituente. Diremmo noi, il 'simulacro di democrazia' rappresentato anche con il voto plebiscitario e populista, con la presenza del parlamento e della sue regole, lì dove è annidato l'ultimo residuo della democrazia. 
Al rappresentante politico della vittoria di Bonaparte, Barrot, spetta quindi il compito di realizzare questo passaggio, ed è proprio la questione dell'imposta del sale ad esserne lo strumento.  

Il meccanismo di soluzione della contraddizione tra la vittoria plebiscitaria populista di Bonaparte e la permanenza dell'Assemblea costituente, sconfitta ma ancora operante, mette in moto un periodo di fortissime tensioni, la cui dinamica è complessa e aperta ad ogni soluzione, ma di cui la fine è nota. 
Il "cavallo di Troia" dell'imposta del sale è l'arma che accende i fuochi che chi li ha accesi viene poi chiamato e si sente autorizzato a spegnere. 
Al governo di Barrot che propone il mantenimento-ripristino dell'imposta del sale, l'Assemblea costituente risponde con la sfiducia nel governo. Ma questo governo è il governo del presidente, testè eletto con voto plebiscitario proprio contro il rappresentante dell'Assemblea costituente; e quindi se l'Assemblea costituente sfiducia il governo, in nome dello stesso suffragio universale il governo sfiducia l'Assemblea costituente e ne chiede lo scioglimento. 
La richiesta dello scioglimento chiama tutte le forze della sconfitta elettorale, ancora però dominanti nell'Assemblea costituente, e il proletariato rivoluzionario a mobilitarsi, a ribellarsi, a parlare di insurrezione. La minaccia dell'insurrezione, e solo minaccia essa può essere, diventa ulteriore autorizzazione al governo del presidente ad essere ben deciso nello scioglimento. 
Ma se si parla di insurrezione, sono le forze militari potenziali di essa che devono essere sciolte. Per cui viene sciolta la Guardia mobile e i centri del proletariato rivoluzionario, i clubs. 

Quindi le due forze che si erano già fronteggiate nelle elezioni e avevano visto la vittoria di Bonaparte, ora si fronteggiano non come scontro effettivo tra governo del presidente, Stato restaurato e forze parlamentari che avrebbero dovuto farsi Stato con la costituente, ma come "petizioni e contro petizioni". 
In questo scontro le forze dell'insurrezione non sono più quelle per una vera insurrezione: per la piccola borghesia riformista ne sono una parodia, visto che esse avevano partecipato e si erano conformate nello spegnimento della insurrezione nella fase precedente; per le forze del proletariato finalmente autonomo, a sua disposizione sono i clubs ma non le forze armate per poter realmente fare la insurrezione.
Ma dato che il pericolo è evocato e lo scontro sia pur verbale, parlamentare, di petizioni, di stampa è acuto, il potere agente, quello del governo del presidente, è sicuramente più forte, anche se non vuole chiamare in campo tutte le forze disponibili allo schiacciamento dell'Assemblea costituente e del proletariato rivoluzionario, perchè tra le sue stesse forze si aprirebbe un problema di chi è più legittimato e 'chi legittima chi', col risultato di andare ben indietro e addirittura mettere in discussione quella rivoluzione borghese che già c'è stata.Ovvero questo scontro non può essere quello della monarchia bianca già deposta contro quello della Repubblica rossa, di cui i proletari vogliono l'avvento ma non hanno certo la forza perchè ciò realmente avvenga.
I due spettri evocati servono però al potere agente e realmente costituito, quello del governo del presidente, per mettere fine all'Assemblea costituente. 

Marx nel descrivere dettagliatamente, quasi giorno per giorno, i movimenti delle classi in campo, delle loro rappresentanze politiche e istituzionali, lo fa da cronista scientificamente interessato, per fornire ai proletari la visione degli interessi celati dietro le parole d'ordine ampollose dello scontro. 
Marx rifugge da ogni descrizione caricaturale, per rappresentare con ironia feroce e puntuale gli interessi reali, allo scopo di armare la critica della politica proletaria e ricondurla alla natura di fondo di questo scontro: o potere politico della borghesia o potere politico del proletariato. Natura di fondo di tutti i passaggi per armarne l'autonomia e porla in condizioni di affermarla con la rivoluzione armata proletaria.

Nell'ultima parte dello scritto che riportiamo in larga parte, Marx racconta quello che abbiamo detto prima essere la fine nota di questa convulsa vicenda. La borghesia dominante e il suo governo del presidente chiede la resa finale dell'assemblea costituente chiamandola a un ultimo atto, che non è ancora lo scioglimento di sè stessa quanto lo scioglimento di ciò che è la vera minaccia per la borghesia: ovvero lo scioglimento dei clubs, perchè, come scrive Marx, "i clubs erano i punti di riunione, le sedi della cospirazione del proletariato rivoluzionario. La stessa Assemblea nazionale aveva proibito la coalizione degli operai contro i loro borghesi. E che altro erano i clubs se non una coalizione di tutta la classe operaia contro tutta la classe borghese, la formazione di uno Stato di operaio contro lo Stato borghese? Non erano essi altrettanto assemblee costituenti del proletariato, altrettante unità dell'esercito della rivolta pronte al combattimento?". 

E qui Marx mette in luce la contraddizione tra ciò che le Costituzioni della borghesia dicono di essere e quello che realmente sono. "L'articolo 8 della costituzione - scrive Marx - garantisce a tutti i francesi il diritto di associarsi. Il divieto dei clubs era una indubbia violazione della costituzione".
E Marx conclude - e questo vale per tutte le costituzioni, anche quella che abbiamo noi nel nostro paese -: "Ciò che la costituzione doveva costituire prima di tutto era il dominio della borghesia".
Quindi, la costituzione nel sistema del capitale, in regime di dominio della borghesia, quando parla di libertà e diritto di associarsi intende riconoscere soltanto alle associazioni che si trovano in accordo col dominio della borghesia, cioè con l'ordine borghese, questo diritto. 
Certo, dato che in generale questo non è scritto nella lettera della costituzione, per realizzare questo contenuto deve costringere il suo stesso parlamento, come all'epoca l'Assemblea costituente, ad applicarlo e leggerlo in questa maniera: "allora, la costituente trovò l'aula della sue sedute occupata militarmente". La borghesia quindi vieta di fatto prima, con l'uso del potere militare i clubs e poi li vieta per legge, con tanto di ratifica costituzionale in assemblee e parlamenti che non possono rifiutare di farlo. 

La descrizione di quella giornata presente in questa pagina racconta con esattezza il movimento eterno dei partiti parlamentari, e in particolare in quelli che dicono di rappresentare gli interessi della democrazia e perfino del proletariato.    
"la commedia è finita - dice Marx - la costituente stessa aveva decretato che la violazione della lettera della costituzione ne rappresentava l'unica appropriata rappresentazione dello spirito", e che i deputati, anche quelli che si dichiarano onesti, per bene, difensori della democrazia, del popolo, dice Marx "non abbiamo bisogno di dichiarare che i repubblicani per bene sacrificarono più a buon mercato il sublime sentimento della loro ideologia che il godimento mondano del potere governativo".

E' questa la lezione più pregnante che Marx insegna al proletariato e la più pesante demolizione delle illusioni parlamentari e delle forze che fanno del parlamento il teatro delle loro cosiddette "imprese". 

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