giovedì 22 novembre 2018

GIOVEDI' ROSSI - "LE LOTTE DI CLASSE IN FRANCIA" - parte 10° - La Repubblica borghese necessario involucro dell'intera borghesia

La repubblica borghese, come forma dello Stato borghese, è l'involucro necessario all'intera borghesia per rappresentare le sue istanze generali mentre impazzano i contrasti delle sue frazioni e mentre si acutizza anche la contraddizione tra le forme della gestione del potere borghese: le sue istituzioni, presidenza, governo, parlamento.

Luigi Bonaparte

Il ritratto che fa Marx di questa fase del giugno 1849, dopo che si sono risolti i problemi della stabilità del potere borghese nella forma usuale della repressione post rivoluzionaria e controrivoluzionaria delle ribellioni del popolo – repressioni che hanno costretto alla “ragione” la democrazia piccolo borghese – è esemplare come affresco di queste contraddizioni, in verità usuali in tutta la vita del dominio della classe borghese.

Nella classe dell'epoca vi sono contrasti nelle frazioni monarchiche, pur dominando esse ormai il governo, in cui la figura di Bonaparte è essenziale per contenerli e per evitare che le contraddizioni in seno alle frazioni monarchiche possano esplodere e finire per mettere in discussione l'assetto che il potere dominante ha raggiunto. Chiaramente questo ormai avviene in una fase in cui il proletariato e
le sue organizzazioni rivoluzionarie non possono esprimersi nella loro istanza e nella loro rivolta e vivono il periodo in cui il proletariato si riorganizza.
La riorganizzazione della forza rivoluzionaria del proletariato passa sempre attraverso forme organizzative simili a società segrete che sono la forma possibile e necessaria, come dice Marx, “a misura che i clubs pubblici diventavano impossibili”. Le società segrete sono comunque cosa diversa dalle associazioni operaie dell'industria, che oggi chiameremmo “sindacati”, che vengono tollerate, e, come dice Marx, sono altrettanto importanti, “politicamente divennero altrettanti mezzi di unione del proletariato”.
Si entra, quindi, in una fase in cui avendo la classe dominante tagliato la testa ai partiti “semi rivoluzionari”, questa testa doveva comunque ricostruirsi e rinascere all'interno di quelle forme possibili e necessarie di riorganizzazione, descritte prima. E così, dice Marx, “le masse superstiti seppero ritrovare la loro propria testa”.
Si tratta di pagine illuminante anche per lo stato delle cose dell'odierna fase della lotta di classe.

Tornando al dominio della borghesia e delle sue contraddizioni interne. Esse si vanno coagulando intorno a tre problemi essenziali che pur riferite alla Francia descritta da Marx sono alla fin fine quelli che si ritrovano sempre durante il dominio borghese in analoghi periodi. E possiamo dire anche nella situazione politica attuale, in generale.

Una è la revisione della Costituzione. Necessaria, perchè la Costituzione appare, ed è nella sua lettera, più avanti – diremmo noi, più “democratica” - dell'assetto che il potere borghese e le sue istituzioni hanno realizzato. Ma, chiaramente, sempre la revisione della Costituzione richiede che il parlamento, in questo caso l'Assemblea nazionale, decida di sciogliersi e di immolarsi alla revisione della Costituzione, in nome delle “esigenze del paese” come si suole dire.
In qualche misura, l'Assemblea nazionale, cioè il parlamento, da un lato, in quanto parte dei nuovi assetti del potere, lo voleva ma dall'altra domandava che non fosse essa stessa a deciderlo e a realizzarlo, ma che provenisse dalle istanze dal basso, che nella Francia dell'epoca erano i consigli dipartimentali. Quando questa spinta dal basso però non c'è o non si è in grado di imporla, tanto vale lasciare le cose some stanno e fondarsi sulla Costituzione di fatto che ormai è altra cosa dalla Costituzione formale.

L'altra questione sono le spese. Innanzitutto le spese militari per il ruolo internazionale svolto dalla Francia dell'epoca e in particolare dal suo concentrato, le spese per la spedizione romana con la quale si salvava, e di fatto si restaurava, il potere del papa.
Luigi Bonaparte cerca di dare una veste “democratica” alla necessità di queste spese fondandole sulla richiesta al governo papale di dare garanzie costituzionali – naturalmente si tratta di una lettera di pura immagine, visto che l'intervento militare francese era servito proprio a soffocare le istanze costituzionali e restaurare il potere papale che, una volta restaurato, non poteva che guardarsi bene dal dare ciò che aveva soppresso.
Come risolve l'Assemblea nazionale questa contraddizione? Con l'orgia di parole vuote con cui si è soliti seppellire queste contraddizioni – basti pensare a ciò che avviene ad esempio nel parlamento italiano, ogni qualvolta a fronte di missioni, interventi imperialisti si dibatte ad alta voce ma in maniera assolutamente sterile dell'art. 11 della Costituzione italiana odierna che “ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie”.
Marx descrive con assoluta e feroce ironia come questo dibattito si svolge nell'Assemblea nazionale sulla lettera del presidente. Il parlamento si limita a tradurla in francese, trovando il solo rappresentante dei democratici, l'illustre Victor Hugo, a chiedere che l'Assemblea nazionale appoggi questa lettera, facendo la figura di quel democratico che appare in queste occasioni “più realista del re”, per venire seppellito con “Allons donc!” “Ma va!”.

Un terzo problema in cui si manifesta la contraddizione è un problema niente affatto banale nei periodi di restaurazione post rivoluzionaria o contro rivoluzionaria, vale a dire il ritorno delle famiglie reali espulse. E qui si ha l'ardire di mettere in una stessa mozione, dice Marx “il richiamo delle famiglie reali espulse e l'amnistia degli insorti di giugno”. Una mozione, per così dire, assurda, dato che per opposte ragioni la maggioranza è contraria all'una e all'altra. Marx scrive assai ironicamente “empio accostamento di sacro e di profano, delle genealogie reali e della genia proletaria, delle stelle fisse della società e dei suoi fuochi fauti”.
Insomma la maggioranza dell'Assemblea nazionale non vuole né l'uno né l'altro, perchè il ritorno delle famiglie reali espulse risulterebbe essere un degrado borghese dei pretendenti al trono, fatto da un'Assemblea nazionale che ha una forte e predominante presenza delle frazioni monarchiche le quali evidentemente continuano ad aspirare che alla fine del gioco venga pienamente restaurata la monarchia come sovranità; mentre nello stesso tempo, chiaramente, questa amnistia degli insorti di giugno non gli sta bene, perchè è meglio che restino nelle prigioni in quanto percepiti comunque ancora come un “pericolo”.
Il precipitare interno di queste contraddizioni ora esaminate produce alla fine che il governo, espressione dell'equilibrio tra il potere del presidente e il potere dell'Assemblea nazionale si rompe e da spazio a quello che comunque è il potere più forte e legittimato, come abbiamo descritto precedentemente, dal voto popolare. La nascita, quindi, del governo del presidente risulta essere quasi contro l'Assemblea nazionale; un governo peraltro che serve a registrare un ulteriore passaggio della crisi e del riassetto del potere borghese. Il presidente eletto come una sorta di figura “neutrale”, esercitando il suo potere, non si limita ad essere il punto di unità delle varie frazioni borghesi ma raccoglie egli stesso una coalizione di interessi, e quindi finisce per diventare un monarca senza monarchia.
Cioè la repubblica borghese dominata pur sempre dai monarchici ha finito per partorire un presidente, come si dirà in seguito nel linguaggio politico, “bonapartista” come unico e sostanziale rappresentante del partito dell'ordine.
Con linguaggio articolato Marx descrive questo passaggio. Non lo riprendiamo ma invitiamo a leggerlo dalle sue stesse pagine. Alla fine cita Thiers quando esclamava “siamo noi monarchici i veri sostegni della repubblica costituzionale”.

Ma, finiti i giochi della politica e dei contrasti istituzionali, quali sono gli interessi economici che si sono alla fine scontrati e cosa hanno prodotto?
E qui come in un gioco dell'oca in cui si torna alla casella iniziale, si arriva ad una nuova ratifica del potere dell'aristocrazia finanziaria.
La repubblica borghese, dice Marx, finisce per restaurare gli interessi che la monarchia rappresentava e che collocava nell'universo della restaurazione monarchica ma che invece la repubblica borghese realizza. Scrive Marx “essa (la repubblica borghese – ndr) tirò giù sulla terra ciò che quelli avevano collocato nei cieli”.
Nella Francia di allora tutto ciò si rappresenta nel fatto che nel governo del presidente “il suo ministro delle finanze si chiamava Fould... Fould ministro delle finanze voleva dire l'abbandono ufficiale della ricchezza nazionale francese alla Borsa, voleva dire gestione del patrimonio dello Stato per mezzo della Borsa e nell'interesse della Borsa”.
Ma come è stato possibile che tutte le altre frazioni della borghesia abbiano finito per consolidare e restaurare il potere dell'aristocrazia finanziaria? Innanzitutto vi è stata la convergenza della grande proprietà fondiaria con l'alta finanza che, dice Marx, è un fatto normale; ma l'altro anello decisivo della questione è che la Francia di allora, ma diremmo noi quasi sempre, anche ai giorni nostri, si trovava in una condizione in cui “l'entità della produzione nazionale è enormemente inferiore all'entità del debito nazionale... dove la rendita dello Stato costituisce l'oggetto più cospicuo della speculazione e la Borsa è il mercato principale per l'impiego del capitale che si voglia valorizzare in modo improduttivo”.
Continuando con Marx “Quale è la causa del fatto che il patrimonio dello Stato cade nelle mani dell'alta finanza? E' l'indebitamento continuamente crescente dello Stato. E quale è la causa dell'indebitamento dello Stato? E' la permanente eccedenza delle sue spese sulle entrate; sproporzione che è nello stesso tempo la causa e l'effetto del sistema di prestiti di Stato. Per sfuggire a questo indebitamente lo Stato deve o limitare le proprie spese, cioè semplificare l'organismo governativo, ridurlo, governare il meno possibile, impiegare meno personale possibile...”. Ma, allora come adesso, Marx ci spiega “questa via era impossibile per il partito dell'ordine i cui mezzi di repressione, il cui intervento ufficiale a nome dello Stato, la cui onnipresenza a mezzo di organi dello Stato dovevano necessariamente aumentare, a misura che da sempre più versanti venivano minacciati il suo dominio e le condizioni di esistenza della sua classe. Non si può diminuire la gendarmeria nella misura in cui aumentano gli attacchi alle persone e alla proprietà”.

Quindi, è la lotta di classe e le sue potenzialità rivoluzionarie, dettate dall'insorgenza proletaria, il vincolo assoluto per la classe dominante all'effettiva diminuzione delle spese dello Stato che possa ridurre l'indebitamento.
Oppure, riprende Marx “lo Stato deve cercare di evitare i debiti e arrivare ad un momentaneo ma transitorio equilibrio del bilancio facendo pesare imposte straordinarie sulle spalle delle classi più ricche”. Ma come potrebbe, ci insegna Marx, il partito dell'ordine borghese sacrificare la ricchezza sull'altare della patria?
“Senza un rivolgimento totale dello Stato francese - dice Marx – dunque non era possibile nessun rivolgimento del bilancio dello Stato francese”.

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