Tornare in Ilva dopo tanti anni, ben sei dall’ultima volta (era il settembre del 2012 ed alla guida dell’Ilva c’era l’ex prefetto di Milano, Bruno Ferrante), fa un certo effetto. Specie per chi prima di quell’ultima volta, non entrava in Ilva dal lontano 2009, anno dal quale fummo esclusi come quotidiano ‘TarantoOggi‘, da tutte le conferenze stampa e le inizitive pubbliche dell’Ilva sotto la gestione del gruppo Riva, perchè gli unici a porre domande scomode e a fare informazione reale in quegli anni bui che in tanti oggi hanno dimenticato e fanno finta di non ricordare. E che noi siamo fieri di aver vissuto come abbiamo vissuto. Con la schiena dritta. Senza reticenze, inganni, intrallazzi. Con onestà intellettuale, serietà, competenza. 
Così come, arrivare mentre una ditta è al lavoro per rimuovere per sempre la grande insegna con la scritta Ilva sullo sfondo blu della palazzina che ospita gli uffici della direzione del siderurgico tarantino, che sarà sostituita con quella della multinazionale ArcelorMittal, ci convince una volta di più, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che siamo di fronte ad un cambio epocale. Che in molti stentano ancora a realizzare o stanno lentamente intuendo.L’Ilva da dentro, purtroppo e com’è normale che fosse, è ancora la stessa del 2012. Poco è cambiato e il cielo plumbeo non aiuta ad avere una visione della grande fabbrica diversa da quella che abbiamo da oltre 20 anni a questa parte. E’ indubbio però, che nella sua immensità, con strade, binari, impianti e camini enormi, eserciti ancora un certo fascino nell’osservatore e nell’ospite attento e curioso. Non fosse altro perché resta un simbolo dell’industria del novecento. Con tutti i suoi pro e tutti i suoi contro.
Ciò che è indubbiamente cambiata, perchè la si respira sin dall’accoglienza all’ingresso della palazzina ‘blu’ che si ammira dalla statale Appia, è l’aria all’interno dello stabilimento. La prima multinazionale al mondo nel campo dell’acciaio ha sin da subito imposto un atteggiamento e un modo di vivere l’azienda molto diverso rispetto agli ultimi anni. Grande organizzazione, grande efficienza, depliant, brochure, accoglienza elegante, amplomb francese.
Le parole del vicepresidente e amministratore delegato di ArcelorMittal Italia, Matthieu Jehl, sono state quelle attese. La presentazione del piano industriale e del piano ambientale contengono le informazioni che già conoscevamo da tempo. Così come le promesse di redimere domani, in sede ministeriale a Roma con i sindacati, le eventuali anomalie registratesi lo scorso 29 ottobre con l’invio delle raccomandate ai 10.700 lavoratori, tra neoassunti con distacco in AM InvestCO Italy srl (la controllata attraverso la quale ArcelorMittal Italia controllerà l’Ilva) e i 2.586 terminati in cig a zero ore.
Jehl ha parlato di sostenibilità, di produttività, di rispetto delle norme di sicurezza sugli impianti, di quelle in tema di salute e ambiente. Ha parlato di un’azienda che dovrà essere risanata economicamente dopo aver maturato perdite per 25 milioni di euro al mese per anni. Che vedrà investimenti e lavori sugli impianti previsti dal Piano Ambientale che renderanno “l’Ilva un gioiello industriale“. Ha anche parlato di un nuovo rapporto tra azienda e città, di interventi diretti monetari nei confronti del Comune di Taranto (per iniziare di un milione di euro all’anno, oltre alcentro di Ricerca e Sviluppo con un investimento da 10 milioni di euro, che ospiterà 20 ricercatori e ci saranno partnership con l’Università e gli istituti tecnici locali). Tutto si è svolto secondo copione insomma.
Così come le poche foto concesse ai fotografi (redarguiti spesso dai responsabili dell’area comunicazione) e le domande concesse ai giornalisti presenti (sui quali, almeno parte di quelli tarantini ovviamente, stendiamo il solito velo, viste le tante presenze e facce, le stesse, che all’epoca dei Riva avevano tutt’altro ruolo e atteggiamento, magicamente cambiato dopo l’intervento della magistratura e che anche oggi hanno posto le solite domande inutili).
L’unica alla quale Jehl non ha saputo rispondere con precisione (nè in italiano, nè in inglese o francese), è stata la nostra, in merito al sequestro degli impianti dell’area a caldo. Abbiamo infatti chiesto all’AD se e quando la società presenterà istanza di dissequestro, visto che tutt’ora gli impianti dell’area a caldo dove saranno investite risorse per mliardi di euro, sono ancora sotto il sequestro preventivo della Procura di Taranto (26 luglio 2012). Jehl ha risposto con un semplice “conosciamo la situazione, ci stiamo lavorando“. Molto probabilmente, la richiesta arriverà o alla fine dei due anni di affitto degli impianti nel 2020 (per il quale Mittal pagherà 180 milioni di euro all’anno) oppure, più facilmente, al termine dell’attuazione del Piano Ambientale che dovrebbe avvenire nel 2023, ma che secondo noi slitterà inevitabilmente.
Era inutile, dunque, aspettarsi di più. Jehl ha dichiarato che con loro alla guida l’Ilva vorrà essere un ‘buon vicino’ per Taranto e i suoi cittadini. Sia come sia, quella fabbrica è stata, è e resterà per sempre incompatibile con una città, anche con tutti gli interventi ambientali previsti. Non è cattiveria o pregiudizio. E’ una questione pratica. E’ troppo grande ed è troppo vicina al rione Tamburi, alla Città Vecchia, al Borgo, ed è in linea d’aria con il rione Paolo VI. E producendo qualcosa di indubbiamente utile come l’acciaio, attraverso un ciclo produttivo integrale, non emetterà mai dai camini fiori, pur se dovesse rispettare tutti i limiti previsti dalla legge italiana, dalle direttive europee e finanche dai limiti indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il rischio cancerogeno resterà, anche se fosse per un numero limitato di persone rispetto al passato. Anche se, come avviene da alcuni anni ed abbiamo sempre riportato, i limiti di legge sono rispettati. E’ un dato di fatto con il quale siamo destinati, per demeriti nostri e altrui, a convivere per i prossimi anni. 
Noi, come scrivevamo già nel lontano 2004 sulle colonne del ‘TarantoOggi‘, restiamo fermamente convinti che questa città ha bisogno di una classe dirigente nuova ed illuminata. Che sappia cogliere tutte le sfide del presente, che ancora una volta da sempre si chiamano ‘alternative economiche‘. Abbiamo sempre denunciato, spesso in totale solitudine negli anni dei Riva, l’inquinamento e le storture prodotte dell’Ilva e lo continueremo a fare anche adesso con una nuova proprietà. Resteremo vigili, attenti, continueremo ad informare, a leggere le carte, a seguire tutto quanto, sempre nelle nostre limitate possibilità. Il nostro modo di lavorare, di vivere la città prima come cittadini e poi come giornalisti non cambierà. Non potranno essere, ovviamente, nè una nuova insegna, nè una nuova proprietà, nè una nuova campagna pubblicitaria a farci cambiare idea.
Che questo sia chiaro a tutti, Ancora una volta. Ad maiora.