TARANTO - "Se il sequestro preventivo dovesse permanere,
pur a fronte del mutato quadro autorizzatorio, l'ovvia insostenibilità
economico-finanziaria condurrebbe inevitabilmente alla definitiva
cessazione dell'attività produttiva e alla chiusura del polo
produttivo". Lo dicono il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, e
l'avvocato Marco De Luca di Milano nell'istanza di dissequestro degli
impianti dell'area a caldo del siderurgico presentata ieri alla Procura
di Taranto.
Il dissequestro, per l'azienda, è funzionale all'attuazione di quanto l'Autorizzazione ambientale prescrive. Solo l'attività di impresa, dice l'Ilva, "può generare le risorse necessarie alla relativa ottemperanza" dell'Aia. L'Ilva fa altresì presente che l'assolvimento degli obblighi dell'Aia, che pone una serie di interventi ambientali e impiantistici, richiede necessariamente il ricorso al credito che "risulta impossibile in presenza di provvedimenti limitativi della proprietà e della gestione dello stabilimento". Il vincolo sull'area a caldo, dice l'Ilva con riferimento al sequestro giudiziario, "diviene, da subito, economicamente insostenibile".
Secondo indiscrezioni, tuttavia, sarà negativo
il parere della Procura della Repubblica di Taranto sull'istanza di
dissequestro degli impianti dell'area a caldo. Per questo motivo, la
decisione sull'istanza di dissequestro non sarà presa dalla Procura ma
dal gip del Tribunale, al quale gli stessi pm gireranno l'istanza con il
parere negativo motivato. Tutto questo dovrebbe avvenire domani, la
decisione probabilmente in settimana.
Una doccia fredda per la città e per gli operai del siderurgico. Tra la spada di Damocle delle ferie forzate e della cassa integrazione da una parte, e l'incubo dei veleni che dalle cimieniere dello stabilimento si riversano sulla città provocando inquinamento e morte. Proprio stamattina è stato aggiornato al 27 novembre il confronto tra Ilva e sindacati metalmeccanici per discutere della cassa integrazione ordinaria per 2mila persone per il siderurgico di Taranto chiesta dall'azienda per crisi di mercato. L'incontro odierno è finito in un nulla di fatto e i sindacati dichiarano che molto probabilmente si va "verso un mancato accordo perchè non esistono i presupposti per il ricorso alla cassa nell'Ilva". Domani i sindacalisti tarantini di Fim, Fiom e Uilm saranno a Roma per partecipare alla riunione del coordinamento sindacale nazionale del gruppo Ilva ed è già partita la lettera con cui Cgil, Cisl e Uil nazionali e Fim, Fiom e Uilm nazionali, su sollecitazione delle organizzazioni locali, chiedono l'intervento di Palazzo Chigi nel caso Ilva.
"C'è una situazione davvero singolare - commenta Cosimo Panarelli, segretario Fim Cisl Taranto - nel senso che l'Autorizzazione integrata ambientale è stata rilasciata, il ministero dell'Ambiente ha approvato il piano dell'Ilva sull'Aia e l'azienda resta ferma e non fa partire i lavori di messa a norma della fabbrica sotto il profilo ambientale perchè, afferma, c'è il sequestro giudiziario che glielo impedisce. Da questa situazione bisogna uscire al più presto facendo chiarezza".
Da lunedì scorso non essendoci ancora stato l'accordo sulla cassa integrazione, all'Ilva sono scattate le ferie forzate per circa 500 operai della produzione lamiere e del rivestimento tubi, ed entro fine settimana, si è appreso oggi nell'incontro azienda-sindacati, dovrebbe fermarsi anche il tubificio 2, la cui fermata inizialmente era stata collocata tra oggi e domani. Nel momento in cui si fermerà il tubificio 2 il numero dei lavoratori Ilva in ferie forzate salirà a circa 700 anche se l'Ilva proprio oggi ha detto ai sindacati che per quest'area dello stabilimento si apre qualche prospettiva in quanto sono in via di formalizzazione due nuovi ordini di lavoro. Ci vorranno però una ventina di giorni ancora tra perfezionamento dell'ordine, avvio della produzione delle lamiere necessarie a fabbricare i tubi, e rientro del personale interessato al lavoro. I sindacati premono affinchè l'Ilva faccia chiarezza su quanto accadrà nel siderurgico nel momento in cui partiranno i lavori dell'Aia. Il primo a fermarsi sarà a dicembre l'altoforno 1, dove inizialmente l'azienda aveva prospettato una ricollocazione all'interno di circa mille esuberi, mentre ora la situazione è cambiata.
'L'Ilva - spiegano i sindacalisti -ci ha detto che tutto il personale dell'altoforno 1 sarebbe stato rioccupato all'interno qualora la fermata dell'impianto fosse stata consensuale, cioè tra azienda e custodi giudiziari, invece l'impianto ora si sta fermando, ci dice sempre l'azienda, perchè l'hanno ordinato i custodi. E sarà uno stop senza il conseguente rifacimento". Nei giorni scorsi l'Ilva, nell'ambito del piano per l'Aia, aveva cercato anche di far passare la fermata dell'altoforno 2, che dall'Aia non è invece prevista, sostenendo che, fermando l'altoforno 1 e le batterie di cokeria 3-4-5-6, avrebbe avuto problemi di approvvigionamento di coke anche sull'altoforno 2. Il ministero dell'Ambiente ha respinto la fermata dell'altoforno 2, dichiarando che è una misura non prevista dall'Aia, la quale per quest'impianto prevede solo interventi di depolverazione. L'Ilva, si apprende da fonti sindacali, è stata invitata dal ministero ad approvvigionarsi all'esterno di coke qualora dovesse avere problemi in proposito.
Il dissequestro, per l'azienda, è funzionale all'attuazione di quanto l'Autorizzazione ambientale prescrive. Solo l'attività di impresa, dice l'Ilva, "può generare le risorse necessarie alla relativa ottemperanza" dell'Aia. L'Ilva fa altresì presente che l'assolvimento degli obblighi dell'Aia, che pone una serie di interventi ambientali e impiantistici, richiede necessariamente il ricorso al credito che "risulta impossibile in presenza di provvedimenti limitativi della proprietà e della gestione dello stabilimento". Il vincolo sull'area a caldo, dice l'Ilva con riferimento al sequestro giudiziario, "diviene, da subito, economicamente insostenibile".
Secondo indiscrezioni, tuttavia, sarà negativo
Una doccia fredda per la città e per gli operai del siderurgico. Tra la spada di Damocle delle ferie forzate e della cassa integrazione da una parte, e l'incubo dei veleni che dalle cimieniere dello stabilimento si riversano sulla città provocando inquinamento e morte. Proprio stamattina è stato aggiornato al 27 novembre il confronto tra Ilva e sindacati metalmeccanici per discutere della cassa integrazione ordinaria per 2mila persone per il siderurgico di Taranto chiesta dall'azienda per crisi di mercato. L'incontro odierno è finito in un nulla di fatto e i sindacati dichiarano che molto probabilmente si va "verso un mancato accordo perchè non esistono i presupposti per il ricorso alla cassa nell'Ilva". Domani i sindacalisti tarantini di Fim, Fiom e Uilm saranno a Roma per partecipare alla riunione del coordinamento sindacale nazionale del gruppo Ilva ed è già partita la lettera con cui Cgil, Cisl e Uil nazionali e Fim, Fiom e Uilm nazionali, su sollecitazione delle organizzazioni locali, chiedono l'intervento di Palazzo Chigi nel caso Ilva.
"C'è una situazione davvero singolare - commenta Cosimo Panarelli, segretario Fim Cisl Taranto - nel senso che l'Autorizzazione integrata ambientale è stata rilasciata, il ministero dell'Ambiente ha approvato il piano dell'Ilva sull'Aia e l'azienda resta ferma e non fa partire i lavori di messa a norma della fabbrica sotto il profilo ambientale perchè, afferma, c'è il sequestro giudiziario che glielo impedisce. Da questa situazione bisogna uscire al più presto facendo chiarezza".
Da lunedì scorso non essendoci ancora stato l'accordo sulla cassa integrazione, all'Ilva sono scattate le ferie forzate per circa 500 operai della produzione lamiere e del rivestimento tubi, ed entro fine settimana, si è appreso oggi nell'incontro azienda-sindacati, dovrebbe fermarsi anche il tubificio 2, la cui fermata inizialmente era stata collocata tra oggi e domani. Nel momento in cui si fermerà il tubificio 2 il numero dei lavoratori Ilva in ferie forzate salirà a circa 700 anche se l'Ilva proprio oggi ha detto ai sindacati che per quest'area dello stabilimento si apre qualche prospettiva in quanto sono in via di formalizzazione due nuovi ordini di lavoro. Ci vorranno però una ventina di giorni ancora tra perfezionamento dell'ordine, avvio della produzione delle lamiere necessarie a fabbricare i tubi, e rientro del personale interessato al lavoro. I sindacati premono affinchè l'Ilva faccia chiarezza su quanto accadrà nel siderurgico nel momento in cui partiranno i lavori dell'Aia. Il primo a fermarsi sarà a dicembre l'altoforno 1, dove inizialmente l'azienda aveva prospettato una ricollocazione all'interno di circa mille esuberi, mentre ora la situazione è cambiata.
'L'Ilva - spiegano i sindacalisti -ci ha detto che tutto il personale dell'altoforno 1 sarebbe stato rioccupato all'interno qualora la fermata dell'impianto fosse stata consensuale, cioè tra azienda e custodi giudiziari, invece l'impianto ora si sta fermando, ci dice sempre l'azienda, perchè l'hanno ordinato i custodi. E sarà uno stop senza il conseguente rifacimento". Nei giorni scorsi l'Ilva, nell'ambito del piano per l'Aia, aveva cercato anche di far passare la fermata dell'altoforno 2, che dall'Aia non è invece prevista, sostenendo che, fermando l'altoforno 1 e le batterie di cokeria 3-4-5-6, avrebbe avuto problemi di approvvigionamento di coke anche sull'altoforno 2. Il ministero dell'Ambiente ha respinto la fermata dell'altoforno 2, dichiarando che è una misura non prevista dall'Aia, la quale per quest'impianto prevede solo interventi di depolverazione. L'Ilva, si apprende da fonti sindacali, è stata invitata dal ministero ad approvvigionarsi all'esterno di coke qualora dovesse avere problemi in proposito.
(21 novembre 2012)
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