Riteniamo invece che debba continuare ad esistere e svolgere la sua funzione utile di informazione, in una città come la nostra in cui ogni giorno capita qualcosa e questo qualcosa siccome spesso è espressione delle realtà lavorative e sociali che più subiscono gli effetti della crisi, o in lotta, spesso non ha spazio nella "stampa ufficiale". Quindi soprattutto per continuare a dare voce a queste realtà è importante che un quotidiano come TarantoOggi esista e la dia sempre di più.
Detto questo e proprio per quanto detto, non siamo d'accordo che nel testo che TarantoOggi ha scritto ieri, 7 luglio e che riportiamo di seguito, faccia un quadro critico della situazione parlano genericamente di "città".
Nella città ci sono le classi e i differenti settori sociali; gli interessi di queste classi, soprattutto tra lavoratori, disoccupati, masse popolari e chi ha un potere economico o politico sono non solo differenti ma spesso giustamente contrapposti.
Chi rischia di spegnere la voce di TarantoOggi non è quindi la città, nè i "tarantini", ma chi potrebbe ma non fa niente per contrastare una situazione in rapido peggioramento.
Con l'augurio di leggervi ancora
Slai cobas per il sindacato di classe
(da TarantoOggi) - Siamo ai titoli di coda. Già, la nostra storia pare davvero ormai
giunta all’epilogo... La
crisi morde, gli effetti sono devastanti e noi ne siamo stati
risucchiati. Dopo tanti anni, stiamo per consegnarci al ‘nemico’, per
una sorta di resa ultima che non avremmo mai e poi mai voluto.... vogliamo uscirne con la dignità che ci ha sempre
contraddistinto e, permettete?, perché la speranza è sempre l’ultima a
morire.
Già, perché pur consapevoli che nessuno lancerà una ciambella di
salvataggio, vogliamo ancora ‘restare vivi’. Sì, noi non abbiamo padrini
politici o gruppi imprenditoriali alle spalle o contributi dello Stato:
viviamo di vendite e pubblicità, una formula che paga a caro prezzo la
crisi di una città (e di un Paese) il cui futuro è del tutto incerto.
Una formula evidentemente sbagliata, perché la libertà di manovra e di
parola è un lusso che qui non è permesso. E non ci sarà alcun decreto
del governo o contrattazione sindacale per salvarci: siamo microscopici e
soprattutto siamo scomodi...
Qui errori ne abbiam commessi, per carità. Uno su tutti: aver
interpretato male la città, non averne capito il carattere, l’averla
invece vissuta fino in fondo con lo sguardo di quanti la desiderano e la
sognano differente. Insomma, non ci siamo lasciati ‘normalizzare’,
ribellandoci sempre e comunque a quanti hanno distrutto la bellezza di
questa terra. Appunto, coloro i quali ancora oggi poltriscono nei
salotti buoni e gestiscono la comunità con il joystick, fregandosene
altamente degli altri, però – attenzione – da colonnelli fedeli dello
Stato padrone. Di grazia, questa è una città lamentosa e abile a menar
le colpe sugli altri, capace di delegare anziché imbracciare i forconi e
riappropriarsi delle leve di comando. Come può pretendersi una
deviazione sulla rotta decisa altrove? Qui accade davvero di tutto, la
città va spegnendosi lentamente ma inesorabilmente, eppur c’è chi la
mena altrove, affibbiando errori agli altri e mai assumendosi
responsabilità. Piuttosto urla, s’inorgoglisce, piange e si commuove: e
poi? Non conosce il senso della comunità, semmai la osteggia.
Ecco perché abbiamo sbagliato. Avremmo dovuto beccar qualche
imbarcata di danaro dall’Ilva e dall’Eni e dalla Total (pardon: da
quest’ultima abbiamo accettato un paio di pubblicità ma siamo stati
cannoneggiati senza pietà, facendo silenzio su altri che di soldi ne
hanno incassati a container); genuflessi avremmo dovuto asservire questa
e quella cordata politica; lascivi avremmo dovuto editare ‘marchette’
anziché opinioni; serpenti avremmo dovuto frequentare i divani che
contano; sbavanti avremmo dovuto seguire la scia dei profeti e degli
onnipotenti che imperversano dalle nostre parti. Non l’abbiamo capito ed
è giusto pagarne le conseguenze: abbiamo scelto di servire diversamente
la città, e purtroppo la storia ci ha sconfitto...
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