Amiu, un cassonetto pieno di debiti.
Il sindaco chiarisca prima di chiedere altri soldi ai tarantini
Due salvataggi in dieci anni…e ha di nuovo bisogno di soldi! Due milioni e mezzo più Iva, al mese, evidentemente non bastano. Amiu Taranto ha debiti per per 40 milioni e di questo passo dovrà chiudere i cassonetti, spegnere i motori degli autocompattatori e fermare la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani. Il rischio è concreto se l’azienda non comincerà una fase di dimagrimento e razionalizzazione.
La storia di Amiu è quella di un carrozzone politico che svolge un ruolo essenziale. E’ il
frutto quarantennale di scelte sbagliate e troppo spesso legate alla congiuntura politico-amministrativa. Si tratta di igiene e convivenza civile ma la ragione sociale resta sempre sullo sfondo della contesa politica e talvolta personale. Costa tanto e dovrebbe garantire tantissimo, l’Amiu di Taranto. Sul secondo aspetto i dubbi sono trasversali, sul primo la sintesi è agevole: Amiu, col passaggio dalla Tarsu alla Tares, ai tarantini costa il triplo rispetto a dieci anni fa, quando il dissesto fece già lievitare sino a 3,02 euro per metro quadro la tassa per le abitazioni.
La storia di Amiu è la storia malata di una azienda che non è più municipalizzata ma comunale. Significa che potrebbe essere privata ma di fatto è pubblica. Attualmente la spa è per intero nelle mani del Comune di Taranto. L’ente non riesce a venire a capo di questa critica matassa economica che rischia di diventare finanziaria se non si correrà presto, di nuovo, ai ripari.
La storia di questi giorni è tra l’altro quella di una azienda che nessuno vuole amministrare: chi si propone si tira indietro, chi ha gestito non ne vuole più sapere, chi vorrebbe, magari, non viene preso in considerazione. Alla fine decide il sindaco, lo dice la legge.
E i debiti premono, intanto. L’ente civico ha deciso, ancora una volta, di tirare una linea e programmare un piano di rientro. Però Ezio Stefàno, sindaco di Taranto dal 2007, dopo aver ripetuto ai giornali che i guai vengono da lontano (una litania stanchissima) dovrebbe spiegare ai tarantini due o tre cose facili da leggere e declamare per chi possiede tutte le carte. Una operazione verità si rende necessaria, infatti, prima di chiedere ai tarantini, utenti finali e scontenti del servizio, un nuovo sacrificio economico.
Primo: perché Equitalia è creditrice dell’Amiu? A quale periodo si riferisce la tassazione non onorata. le cartelle sono state rateizzate? Quando e come sono state eventualmente rateizzate?
Secondo: Se aggiungiamo ad Equitalia i debiti verso i fornitori e i debiti verso Inps si parla di una “bolletta” mensile da onorare pari a 1 milione di euro. E’ verosimile? Qual è la cifra esatta?
Terzo: Il Comune stacca un assegno mensile pari a 2,5 milioni (più Iva) ad Amiu, come previsto nel contratto di servizio rinnovato da poco. A cosa servono questi fondi? Salari e stipendi? E quanto coprono in termini di spesa mensile rispetto alla capienza di cassa assicurata dal Comune proprietario.
Quarto: Cosa si vuol fare dell’inceneritore? Si intende venderlo, riprovando a bandire una gara dopo quella già andata pressoché deserta nel 2015? Perchè a Taranto la differenziata è utopia, tranne in qualche area periferica. Quanto costa realmente andare (tuttora) in discarica?
Cinque: la massa debitoria, ovvero l’accumulo di impegni non mantenuti e pagamenti non onorati, pare si aggiri intorno ai 40 milioni di euro. E’ una somma che ridurrà inevitabilmente il margine operativo aziendale a medio e lungo termine. Come si intende rientrare?
Sei: Nel 2006, prima di dichiarare il dissesto del Comune di Taranto, il commissario straordinario Tommaso Blonda salvò il bilancio con una ricapitalizzazione patrimoniale: trasferì all’Amiu la proprietà di inceneritore, stabilimento Pasquinelli (per la raccolta differenziata) e il forno cimiteriale di San Brunone. Risultato, 60 milioni salvarono l’Amiu dal crac sulla soglia del dissesto municipale. Tre anni fa, nuovo soccorso urgente: tre rate da 6,5 milioni passano dalle casse comunali (i tarantini) alle casse Amiu (proprietà del Comune). A cosa sono serviti quei soldi? Un bancomat per gli stipendi? Il classico palliativo buono per tirare avanti e rinviare l’appuntamento con i debiti consolidati?
Sette: Come si intende procedere questa? Un’altra ricapitalizzazione a spese dei tarantini? L’accollo del debito Amiu da parte del proprietario (cioè il Comune? In entrambi i casi, i tarantini pagherebbero due volte, di nuovo, tra tassa smaltimento annuale e rinuncia chissà a quale servizio pur di coprire i debiti. Conviene forse pilotare l’azienda verso il fallimento, qualora fosse accertato il suo deficit strutturale, la difficoltà di ulteriore indebitamento e l’eventuale impossibilità a impossibilità di far fronte ai pagamenti, quindi dar vita ad una bad company salvando la forza lavoro e il servizio? Secondo alcune tesi, questa operazione forse sarebbe stata opportuna nel 2006, prima del dissesto. E’ adesso questa l’ipotesi è allo studio?
Otto: la domanda forse madre di tutte le domande. Perché da sei mesi è in atto una fuga dalle stanze Amiu? Chi viene incaricato, lascia. Chi si presenta con il curriculum per presiedere l’azienda, rinuncia. Cosa sta succedendo nell’Amiu, caro sindaco? In un anno si è passati da una dirigente municipale incaricata di amministrare (De Benedetto) ad un altro dirigente chiamato in causa con le stesse modalità (Pisano). Il Comune non riesce a trovare un manager esterno alla macchina amministrativa più volte definita insufficiente per l’ordinaria amministrazione (vedi rinuncia agli appalti Cis). Chi tocca i fili Amiu.. scappa? Perché?
Ezio Stefàno ha il dovere di spiegare tutto questo ai tarantini. Carte alla mano, prima di chiedere un nuovo sacrificio alle casse pubbliche. La città è sporca e tutta questa storia richiede pulizia
Angelo di Leo
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