“Cerchiamo un luogo ridente ove occhi sensibili alla bellezza si
riconfortino dopo la sozzura interminabile dei luoghi orribili; in
cammino per Taranto!” Seneca, De Tranquillitate Animi, II, 13. Taranto,
19 settembre 2017.
Il folle circo dell’ipocrisia è ormai lontano da Taranto, il presidente è
tornato a Roma per dormire tranquillamente nel letto del suo palazzo e
la Rai ha spento nuovamente i riflettori su Taranto, tirando,
immaginiamo, un gran sospiro di sollievo.
E’ davvero duro accettare che il Capo della Repubblica democratica
italiana arrivi a Taranto non con la tranquillità di camminare sul suolo
che lui stesso rappresenta, ma scortato e protetto come il presidente
di uno Stato estero. Mai visto un numero così incredibile di poliziotti,
carabinieri, finanzieri, vigili urbani, agenti della Digos e dei
Servizi segreti tutti insieme (compresi quelli armati che osservavano
dai lastrici solari dei palazzi intorno alla scuola Falcone e quelli in
borghese che passeggiavano tra i cittadini costretti dietro le
transenne, registrando volti e comportamenti nel proprio cervello).
Sarà stato emozionante per i giovani studenti provenienti da
tutt’Italia; un po’ meno per i loro accompagnatori che, vogliamo
sperare, qualche domanda se la saranno fatta.
Guardando verso l’Ilva, il gran protettorato dello Stato, i nostri
ospiti porteranno negli occhi e nei cuori l’immagine di un cielo così
terso sotto lo splendente sole che tutte le immagini viste prima e che
vedranno in futuro verranno considerate montaggi fotografici. Arriva il
Presidente e Ilva ed Eni gli regalano un giorno di fermo della
produzione, come nel medioevo i contadini onoravano i regnanti con ceste
di prodotti della terra. A mente fredda, è stato proprio questo il più
grande schiaffo, la più grande offesa che si potesse fare alla comunità
tarantina. Da oggi, proprio come l’altro ieri, i bambini di Taranto
torneranno nelle scuole sotto l’infernale cappa che ben conoscono e che i
loro coetanei delle altre regioni non potranno raccontare. Ieri si
poteva respirare, da oggi si torna alla “normalità” fatta di problemi
all’apparato cardiovascolare e a quello respiratorio, fatta di wind
days, fatta di “il lavoro debilita anche chi non ce l’ha”, “il lavoro
nobilita, ma qui uccide pure”, “qui, anche il disoccupato ha lo stesso
dovere di morire che ha un lavoratore”.
“Lasciate che i bambini, ben selezionati, vengano a me.” Poi, il
discorso, ben limato dagli scribacchini del Quirinale, soppesato, parola
per parola, per dargli l’effetto voluto: il papà che parla ai figli di
istruzione e cultura. “A scuola si disegna il futuro. E’ questa
l’essenza del mondo della scuola.” E ancora: “Cari ragazzi, si dice
sovente, con una frase che è divenuta uno slogan, che il futuro vi
appartiene, ma il futuro comincia in ogni momento. Lo costruite da oggi,
giorno per giorno, con impegno, anche con fatica.” Un discorso preciso,
diretto, fino ad una certa frase, posta a mo’ di domanda retorica che
qui riportiamo integralmente: “Chi tra di voi assisterebbe alla
distruzione di ciò con cui gioca, del tavolo dove mangia, del letto dove
dorme senza provare un senso di ribellione, di sconforto, di delusione,
di dispiacere? Quella distruzione rappresenterebbe una ferita, una
violenza alla vostra vita di tutti i giorni.”
Sì, Presidente, ha ragione. Provi adesso a pensare quali sentimenti
possono muovere chi assiste alla distruzione di un territorio
straordinariamente bello, alla distruzione di vite, comprese quelle di
bambini così piccoli da non sapere che esiste un tavolo dove mangiare,
bambini così piccoli da non arrivare a conoscere neppure la sala giochi
di un asilo nido, di bambini cui viene negato quel diritto alla vita e
all’istruzione che lei ha voluto ricordare nel suo illuminato discorso.
Provi a pensare a quanto dolore alberga in chi resta a piangere i propri
morti, alle lacrime che accompagnano la malattia fino all’unica fine
possibile.
Lei è venuto a Taranto e poi è tornato a Roma, scortato fino
all’aeroporto di Grottaglie come un importante ospite straniero, così
lontano dai tempi in cui il Presidente Pertini camminava tra la gente,
seppure in situazioni molto più difficili di queste, come una figura
istituzionale dovrebbe fare in uno stato democratico.
Della sua visita ci resterà soltanto il ricordo di aver visto per una
volta il cielo limpido sull’Ilva, il suo protettorato, e di aver
respirato finalmente aria pulita. O almeno questa è stata l’impressione.
E ci resterà per sempre la sensazione che, attraverso i tagli della
censura, l’unica canzone che parla di una Taranto libera si sia
trasformata, come nei tempi bui dell’Italia, in una canzonetta di
regime, svuotandola del valore simbolico che aveva assunto per noi
tarantini, con buona pace per la sua stessa affermazione: “A scuola si
prepara il domani della nostra civiltà, della nostra democrazia.”
E’ venuto per onorare una scuola spesso vittima di atti di vandalismo in un città vandalizzata con il consenso dello Stato.
Dorma pure tranquillo nel suo letto, Presidente. A noi tarantini, questa
tranquillità non è concessa. Dovremmo, come dice lei, provare un senso
di ribellione, ma anche questo, a ben vedere, non ci è concesso.
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