giovedì 21 settembre 2017

Mattarella - una visita inutile - 'dorma pure nel suo letto ' una denuncia dei 'genitori tarantini' che condividiamo

“Cerchiamo un luogo ridente ove occhi sensibili alla bellezza si riconfortino dopo la sozzura interminabile dei luoghi orribili; in cammino per Taranto!” Seneca, De Tranquillitate Animi, II, 13. Taranto, 19 settembre 2017.
Il folle circo dell’ipocrisia è ormai lontano da Taranto, il presidente è tornato a Roma per dormire tranquillamente nel letto del suo palazzo e la Rai ha spento nuovamente i riflettori su Taranto, tirando, immaginiamo, un gran sospiro di sollievo.
E’ davvero duro accettare che il Capo della Repubblica democratica italiana arrivi a Taranto non con la tranquillità di camminare sul suolo che lui stesso rappresenta, ma scortato e protetto come il presidente di uno Stato estero. Mai visto un numero così incredibile di poliziotti, carabinieri, finanzieri, vigili urbani, agenti della Digos e dei Servizi segreti tutti insieme (compresi quelli armati che osservavano dai lastrici solari dei palazzi intorno alla scuola Falcone e quelli in borghese che passeggiavano tra i cittadini costretti dietro le transenne, registrando volti e comportamenti nel proprio cervello).

Sarà stato emozionante per i giovani studenti provenienti da tutt’Italia; un po’ meno per i loro accompagnatori che, vogliamo sperare, qualche domanda se la saranno fatta.
Guardando verso l’Ilva, il gran protettorato dello Stato, i nostri ospiti porteranno negli occhi e nei cuori l’immagine di un cielo così terso sotto lo splendente sole che tutte le immagini viste prima e che vedranno in futuro verranno considerate montaggi fotografici. Arriva il Presidente e Ilva ed Eni gli regalano un giorno di fermo della produzione, come nel medioevo i contadini onoravano i regnanti con ceste di prodotti della terra. A mente fredda, è stato proprio questo il più grande schiaffo, la più grande offesa che si potesse fare alla comunità tarantina. Da oggi, proprio come l’altro ieri, i bambini di Taranto torneranno nelle scuole sotto l’infernale cappa che ben conoscono e che i loro coetanei delle altre regioni non potranno raccontare. Ieri si poteva respirare, da oggi si torna alla “normalità” fatta di problemi all’apparato cardiovascolare e a quello respiratorio, fatta di wind days, fatta di “il lavoro debilita anche chi non ce l’ha”, “il lavoro nobilita, ma qui uccide pure”, “qui, anche il disoccupato ha lo stesso dovere di morire che ha un lavoratore”.
“Lasciate che i bambini, ben selezionati, vengano a me.” Poi, il discorso, ben limato dagli scribacchini del Quirinale, soppesato, parola per parola, per dargli l’effetto voluto: il papà che parla ai figli di istruzione e cultura. “A scuola si disegna il futuro. E’ questa l’essenza del mondo della scuola.” E ancora: “Cari ragazzi, si dice sovente, con una frase che è divenuta uno slogan, che il futuro vi appartiene, ma il futuro comincia in ogni momento. Lo costruite da oggi, giorno per giorno, con impegno, anche con fatica.” Un discorso preciso, diretto, fino ad una certa frase, posta a mo’ di domanda retorica che qui riportiamo integralmente: “Chi tra di voi assisterebbe alla distruzione di ciò con cui gioca, del tavolo dove mangia, del letto dove dorme senza provare un senso di ribellione, di sconforto, di delusione, di dispiacere? Quella distruzione rappresenterebbe una ferita, una violenza alla vostra vita di tutti i giorni.”
Sì, Presidente, ha ragione. Provi adesso a pensare quali sentimenti possono muovere chi assiste alla distruzione di un territorio straordinariamente bello, alla distruzione di vite, comprese quelle di bambini così piccoli da non sapere che esiste un tavolo dove mangiare, bambini così piccoli da non arrivare a conoscere neppure la sala giochi di un asilo nido, di bambini cui viene negato quel diritto alla vita e all’istruzione che lei ha voluto ricordare nel suo illuminato discorso. Provi a pensare a quanto dolore alberga in chi resta a piangere i propri morti, alle lacrime che accompagnano la malattia fino all’unica fine possibile.
Lei è venuto a Taranto e poi è tornato a Roma, scortato fino all’aeroporto di Grottaglie come un importante ospite straniero, così lontano dai tempi in cui il Presidente Pertini camminava tra la gente, seppure in situazioni molto più difficili di queste, come una figura istituzionale dovrebbe fare in uno stato democratico.
Della sua visita ci resterà soltanto il ricordo di aver visto per una volta il cielo limpido sull’Ilva, il suo protettorato, e di aver respirato finalmente aria pulita. O almeno questa è stata l’impressione.
E ci resterà per sempre la sensazione che, attraverso i tagli della censura, l’unica canzone che parla di una Taranto libera si sia trasformata, come nei tempi bui dell’Italia, in una canzonetta di regime, svuotandola del valore simbolico che aveva assunto per noi tarantini, con buona pace per la sua stessa affermazione: “A scuola si prepara il domani della nostra civiltà, della nostra democrazia.”
E’ venuto per onorare una scuola spesso vittima di atti di vandalismo in un città vandalizzata con il consenso dello Stato.
Dorma pure tranquillo nel suo letto, Presidente. A noi tarantini, questa tranquillità non è concessa. Dovremmo, come dice lei, provare un senso di ribellione, ma anche questo, a ben vedere, non ci è concesso.

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