Il silenzio che è calato sulla vicenda Cementir dopo l’intesa raggiunta lo scorso dicembre
(dopo la fine del trattamento di solidarietà a settembre e il
conseguente annuncio della procedura di licenziamento collettivo da
parte dell’azienda), che scongiurò il licenziamento di 47 lavoratori nel sito di Taranto sino al 22 gennaio 2018 (tramite l’utilizzo della cassa integrazione straordinaria a zero ore), grazie ad un accordo tra azienda, Regione Puglia, sindacati e ministero del Lavoro, non significa che stia filando tutto liscio: anzi, tutt’altro.
Ricordiamo brevemente che l’accordo (da sempre fortemente contestato dallo Slai cobas)
prevedeva (oltre ad un utilizzo della cassa pari al 65,3%) un percorso di politiche attive per il lavoro, che in pratica significava innanzitutto un piano formativo di almeno 150 ore, che avrebbe interessato tutti i lavoratori beneficiari dell’ammortizzatore previsto e che sarebbe dovuto essere organizzato dai competenti uffici regionali sulla base di un piano che presentato dalla Cementir. Questo percorso, una volta ultimato, avrà come obiettivo quello di portare alla ricollocazione dei lavoratori, anche attraverso l’oramai collaudato sistema dei servizi per il lavoro pubblici e privati accreditati per “favorire il miglioramento e l’aggiornamento delle competenze e l’occupabilità degli stessi“. Il percorso prevedeva anche la presa in carico dei lavoratori da parte dei CPI (Centri pubblici per l’impiego) e servizi di orientamento specialistico.
Il problema è che sino ad oggi, a ben sei mesi dall’accordo, nulla si è mosso. A dimostrazione del fatto che più di qualcosa non sta andando per il verso giusto, quanto discusso nell’ultimo incontro tra le parti lo scorso 29 marzo a Bari. Al quale hanno partecipato i tecnici della Task Force regionale per l’Occupazione, il funzionario dell’Area di crisi industriale della Regione, la Cementir, Confindustria Taranto e i sindacati di categoria Fillea Cgil, Filca Cisl e la Uil regionale.
Il primo e reale problema di quanto sta accadendo, lo hanno illustrato i rappresentanti della la Task Force regionale: i quali, dopo aver illustrato brevemente gli elementi essenziali dello strumento di sostegno alle politiche attive del Lavoro, hanno dichiarato che gli stessi sono ancora in via di predisposizione per l’area di crisi industriale complessa di Taranto ed in favore dei lavoratori in CIGS a zero ore, strumento per il quale la Regione Puglia sta ancora cercando di individuare le risorse da utilizzare. Il punto focale, sul quale battono in particolar modo i sindacati, è proprio questo: la lentezza della Regione Puglia nel predisporre quanto di sua competenza.
Anche perché la Cementir ha già strutturato e proposto un programma formativo elaborato tramite dell’Organismo Formativo accreditato Formedil Ctp Taranto, anche se ancora da condividere con le organizzazioni sindacali. Per questo durante l’incontro l’azienda ha messo sul tavolo due proposte: da un lato che lo strumento in fase di predisposizione sia rivolto anche alla platea dei lavoratori in CIGS non a zero ore (ovviamente con riguardo al solo periodo di sospensione dal lavoro), essendo prevista la rotazione per un certo numero di dipendenti; dall’altro, se sia possibile individuare modalità, tramite il nuovo strumento di sostegno per le politiche attive del lavoro, per orientare presso l’ente di Taranto la domanda di formazione dei singoli lavoratori.
Anche perché, andando alla praticità delle cose, la questione è molto semplice: i lavoratori andranno formati per dei lavori realmente richiesti e di cui vi è effettiva necessità. Altrimenti si rischia il paradosso di dar loro competenze per lavori che non andranno a fare, restando di fatto inattivi e quindi senza reddito alla scadenza dell’accordo il prossimo gennaio.
(leggi anche http://www.corriereditaranto.it/2016/08/02/la-cementir-guarda-taranto-sorniona-futuro-incerto-inquinamento-sottorraneo2/)
Non a caso i sindacati di categoria, vista la situazione, hanno chiesto se vi sia la possibilità di realizzare uno strumento ad hoc per la situazione peculiare della Cementir di Taranto, atteso che si tratta di una crisi per la quale l’accordo è stato raggiunto da tempo e che appunto è già stato realizzato un programma di formazione già presentato dall’azienda. Appoggiando e condividendo con l’azienda la necessità di estendere l’applicabilità del nuovo strumento anche alla platea dei lavoratori in CIGS non a zero ore: soprattutto però hanno sottolineato la necessità di ridurre il più possibile i tempi per l’approntamento dello strumento da parte della Regione.
In particolar modo la FILLEA CGIL, attraverso il segretario Francesco Bardinella, ha ricordato che nel precedente incontro (del 28/02/2017) aveva chiesto alla Regione Puglia di assumere informazioni sulle manifestazioni di interesse ad investire presentate nell’ambito del progetto di riconversione e riqualificazione industriale dell’area di crisi industriale complessa di Taranto. Informazioni necessarie per esprimere una valutazione sulla proposta di programma formativo presentata dalla Cementir. Ovvero il discorso di cui sopra: se non si conoscono prima le aziende pronte ad investire sul territorio ed il ramo in cui operano, il piano presentato dall’azienda non potrà partire, perché si corre il rischio di formare i lavoratori che non rientrerebbero nelle richieste di mercato. A tal proposito, i tecnici della Task Force regionale hanno dichiarato che ad oggi Invitalia non ha reso pubblici gli esiti della call per le manifestazioni d’interesse ad investire nell’area di crisi industriale complessa di Taranto. La FILLEA-CGIL infine, anche alla luce delle verifiche ancora in corso da parte della Regione Puglia sulle risorse economiche da utilizzare per predisporre lo strumento di sostegno alle politiche attive del lavoro in favore dei lavoratori Cementir in CIGS, ha anticipato ai presenti che si confronterà quotidianamente con i lavoratori per valutare l’assunzione di iniziative volte a sollecitare la soluzione del problema relativo alla formazione professionale.
Ricordiamo infatti che Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, di proprietà del Ministero dell’Economia), nell’ambito dell’elaborazione del Progetto di Riconversione e Riqualificazione Industriale dell’area di crisi di Taranto – costituita dai territori dei Comuni di Taranto, Crispiano, Massafra, Montemesola e Statte – ha promosso una call di manifestazioni di interesse ad investire, con l’obiettivo di definire i fabbisogni di sviluppo dell’area. La call aveva finalità meramente conoscitive e non dà luogo a titoli di preferenza o diritti e le manifestazioni di interesse dovevano riguardare iniziative imprenditoriali, da localizzare nell’area di crisi, finalizzate alla realizzazione di programmi di investimento e connessi programmi occupazionali. La call per manifestazioni di interesse si è chiusa il 3 febbraio scorso.
I dati del primo trimestre 2017
Intanto la Cementir, nell’assemblea dei soci dello scorso 29 aprile, ha illustrato i dati del primo trimestre 2017: ricavi pari a 279,9 milioni, in crescita del 33% (stabili a perimetro costante); risultato ante imposte negativo per 6,2 milioni (negativo per 6 milioni nel primo trimestre 2016); margine operativo lordo a 23 milioni (21,3 milioni nel primo trimestre 2016) e 20,1 milioni a perimetro costante; indebitamento finanziario netto a 646,4 milioni (562,4 milioni al 31 dicembre 2016). In una nota ufficiale, l’azienda afferma di poter confermare gli obiettivi economici e finanziari per l’anno 2017, ovvero di raggiungere un margine operativo lordo di circa 215 milioni e un indebitamento finanziario netto di circa 530 milioni a fine 2017, dopo aver sostenuto investimenti industriali di circa 92 milioni.
Il rifinanziamento del debito di 330 milioni con le banche
L’azienda in queste settimane ha inoltre informato i soci di stare ultimando il rifinanziamento di un debito da 330 milioni di euro con tre banche creditrici, Intesa, Mediobanca e Bnp Paribas, spostando la scadenza al 2021 dal 2018, a condizioni migliori di quelle che avrebbe pagato con l’emissione di un bond. Lo scorso 28 aprile Cementir Holding Spa ha infatti completato il rifinanziamento di una linea di credito “bridge” di 330 milioni di euro, facente parte del contratto di un finanziamento stipulato ad ottobre dello scorso anno. “Questa linea di credito era stata messa a disposizione dal pool di banche per finanziare le acquisizioni di CCB e del ramo d’azienda Sacci e per rifinanziare linee di credito esistenti, oltre che esigenze di capitale circolante“, afferma in una nota la società.
La trattativa con ‘Suez’ per il mercato dei rifiuti
La società starebbe inoltre discutendo con la società francese Suez possibili sinergie industriali nel settore della gestione e dell’energia da rifiuti. Il tutto trae spunto call’accordo tra il gruppo francese e Caltagirone spa, dopo il quale Caltagirone jr è entrato nel board di Suez in rappresentanza della partecipazione del 3,5% della holding di famiglia, mentre Suez è diventato primo azionista privato di Acea con il 23,3% (la multiservizi italiana attiva nella gestione e nello sviluppo di reti e servizi nei settori dell’acqua, dell’energia e dell’ambiente di cui il gruppo Caltagirone detiene il 5%). Tra le sinergie possibili, il fatto che Suez potrebbe essere interessata a lavorare in Turchia dove non è presente, paese nel quale Cementir è invece molto attiva sia nel cemento sia nella gestione dei rifiuti. Inoltre, Cementir utilizza combustibili da rifiuti nei suoi impianti in Scandinavia e Belgio, con Suez potrebbe essere un fornitore di questo tipo di combustibile.
(leggi anche http://www.corriereditaranto.it/2016/10/27/cementir-tregua-azienda-sindacati-business-caltagirone-allestero/)
Il progetto ‘Nuova Taranto’ (anche per bruciare rifiuti)
A tal proposito, giova ricordare che anche a Taranto la Cementir avrebbe potuto ‘bruciare‘ rifiuti (in realtà potrebbe ancora farlo) di tipo CDR/CSS. Chi ha seguito le vicende ambientali della nostra città almeno negli ultimi 10 anni infatti, ricorderà che la Regione Puglia destinò un prestito pubblico di 20 milioni di euro (per la precisione 19.334.852,51 euro, garantito dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale, nell’ambito del programma operativo 2007-2013) a “fondo perduto” per contribuire alla realizzazione di un co-inceneritore all’interno del cementificio tarantino (per “l’ampliamento degli impianti produttivi esistenti ed il recupero di efficienza e competitività dello stabilimento produttivo di Taranto“), che avrebbe dovuto smaltire parte del combustibile da rifiuti (Cdr) prodotto nel territorio della Regione Puglia (soldi che però sarebbero stati erogati soltanto al termine del collaudo, positivo, dell’impianto). La VIA favorevole fu rilasciata dalla Provincia di Taranto (con determinazione N. 105) il 13/09/2011 (Dirigente del Servizio Ecologia ed Ambiente Provincia TA BURP – Bol. n. 175 del 10-11-2011) e che con nota (prot. 117542) del 29/07/2011, acclarata al prot. prov.le n. 52161/A del 10.08.2011), il Comune di Taranto inviava il proprio parere favorevole.
Un business sicuro, visto che il 29 marzo 2013 entrò in vigore il Decreto n. 22 del 14 febbraio 2013, che autorizzava i cementifici a bruciare il Cdr, oggi chiamato combustibile solido secondario (Css) e non più considerato un rifiuto (all’epoca il premier era Mario Monti, mentre ministro dell’Ambiente il discusso Corrado Clini, molto poco amato da queste parti per le note vicende Ilva che travolsero il suo ministero nel 2012).
Il tutto rientrava all’interno del famoso e mai attuato progetto di revamping dell’impianto tarantino, denominato ‘Nuova Taranto Cementir’, per un importo pari a 145.030.000 euro, la maggior parte dei quali (oltre 100 milioni di euro, pari al 69% del budget totale) sarebbero stati destinati all’acquisto di “attrezzatura, macchine, e impianti”, per il quale la società ottenne anche un finanziamento dalla Banca europea d’investimenti (BEI), per 90 milioni di euro. Progetto congelato (e che crediamo tale resterà per sempre) nella primavera del 2013 dopo la tempesta giudiziaria e produttiva che colpì l’Ilva nella seconda parte del 2012, primo rifornitore della Cementir di loppa d’altoforno, materiale con il quale si produceva il cemento nel sito tarantino.
Quale finale?
Dal 1 gennaio 2014 il forno della Cementir di Taranto è spento. E secondo fonti ben informate non sarà più riacceso. In Italia il mercato del cemento è in crisi nera da anni: la domanda di cemento non supera i 19 milioni di tonnellate l’anno. Basti pensare che attualmente l’attività in Italia per la Cementir pesa solo per il 12% dei ricavi del gruppo. Il problema qui è che ci sono in ballo decine di lavoratori che al momento non sanno di che morte morire tra appena 6 mesi. Bisognerà si formarli per un nuovo impiego: ma quale? E con quali garanzie occupazionali per il futuro? Il caso dei 47 lavoratori della Cementir, così come saggiamente suggerito dalla FILLEA Cgil di Taranto, potrebbe essere un osservatorio privilegiato per capire se e quanto sia realmente realizzabile la riqualificazione dei lavoratori della grande industria tarantina. Un’ambizione, un’utopia e un progetto di cui in tanti negli anni si sono riempiti la bocca, spesso propinando soluzioni da fantascienza. Facendo i conti senza l’oste. E i fenomeni con il portafoglio e la vita degli altri. Ma i conti con la realtà bisogna sempre farli. E farli bene. Se il progetto di riqualificazione per i lavoratori Cementir andrà a buon fine, allora potremo guardare al futuro con occhi più speranzosi. Altrimenti saremo inevitabilmente costretti a pensare ad altro. Sia per i lavoratori che il futuro dell’economia tarantina.
(leggi tutte le notizie sulla Cementir http://www.corriereditaranto.it/?s=cementir)
Ricordiamo brevemente che l’accordo (da sempre fortemente contestato dallo Slai cobas)
prevedeva (oltre ad un utilizzo della cassa pari al 65,3%) un percorso di politiche attive per il lavoro, che in pratica significava innanzitutto un piano formativo di almeno 150 ore, che avrebbe interessato tutti i lavoratori beneficiari dell’ammortizzatore previsto e che sarebbe dovuto essere organizzato dai competenti uffici regionali sulla base di un piano che presentato dalla Cementir. Questo percorso, una volta ultimato, avrà come obiettivo quello di portare alla ricollocazione dei lavoratori, anche attraverso l’oramai collaudato sistema dei servizi per il lavoro pubblici e privati accreditati per “favorire il miglioramento e l’aggiornamento delle competenze e l’occupabilità degli stessi“. Il percorso prevedeva anche la presa in carico dei lavoratori da parte dei CPI (Centri pubblici per l’impiego) e servizi di orientamento specialistico.
Il problema è che sino ad oggi, a ben sei mesi dall’accordo, nulla si è mosso. A dimostrazione del fatto che più di qualcosa non sta andando per il verso giusto, quanto discusso nell’ultimo incontro tra le parti lo scorso 29 marzo a Bari. Al quale hanno partecipato i tecnici della Task Force regionale per l’Occupazione, il funzionario dell’Area di crisi industriale della Regione, la Cementir, Confindustria Taranto e i sindacati di categoria Fillea Cgil, Filca Cisl e la Uil regionale.
Il primo e reale problema di quanto sta accadendo, lo hanno illustrato i rappresentanti della la Task Force regionale: i quali, dopo aver illustrato brevemente gli elementi essenziali dello strumento di sostegno alle politiche attive del Lavoro, hanno dichiarato che gli stessi sono ancora in via di predisposizione per l’area di crisi industriale complessa di Taranto ed in favore dei lavoratori in CIGS a zero ore, strumento per il quale la Regione Puglia sta ancora cercando di individuare le risorse da utilizzare. Il punto focale, sul quale battono in particolar modo i sindacati, è proprio questo: la lentezza della Regione Puglia nel predisporre quanto di sua competenza.
Anche perché la Cementir ha già strutturato e proposto un programma formativo elaborato tramite dell’Organismo Formativo accreditato Formedil Ctp Taranto, anche se ancora da condividere con le organizzazioni sindacali. Per questo durante l’incontro l’azienda ha messo sul tavolo due proposte: da un lato che lo strumento in fase di predisposizione sia rivolto anche alla platea dei lavoratori in CIGS non a zero ore (ovviamente con riguardo al solo periodo di sospensione dal lavoro), essendo prevista la rotazione per un certo numero di dipendenti; dall’altro, se sia possibile individuare modalità, tramite il nuovo strumento di sostegno per le politiche attive del lavoro, per orientare presso l’ente di Taranto la domanda di formazione dei singoli lavoratori.
Anche perché, andando alla praticità delle cose, la questione è molto semplice: i lavoratori andranno formati per dei lavori realmente richiesti e di cui vi è effettiva necessità. Altrimenti si rischia il paradosso di dar loro competenze per lavori che non andranno a fare, restando di fatto inattivi e quindi senza reddito alla scadenza dell’accordo il prossimo gennaio.
(leggi anche http://www.corriereditaranto.it/2016/08/02/la-cementir-guarda-taranto-sorniona-futuro-incerto-inquinamento-sottorraneo2/)
Non a caso i sindacati di categoria, vista la situazione, hanno chiesto se vi sia la possibilità di realizzare uno strumento ad hoc per la situazione peculiare della Cementir di Taranto, atteso che si tratta di una crisi per la quale l’accordo è stato raggiunto da tempo e che appunto è già stato realizzato un programma di formazione già presentato dall’azienda. Appoggiando e condividendo con l’azienda la necessità di estendere l’applicabilità del nuovo strumento anche alla platea dei lavoratori in CIGS non a zero ore: soprattutto però hanno sottolineato la necessità di ridurre il più possibile i tempi per l’approntamento dello strumento da parte della Regione.
In particolar modo la FILLEA CGIL, attraverso il segretario Francesco Bardinella, ha ricordato che nel precedente incontro (del 28/02/2017) aveva chiesto alla Regione Puglia di assumere informazioni sulle manifestazioni di interesse ad investire presentate nell’ambito del progetto di riconversione e riqualificazione industriale dell’area di crisi industriale complessa di Taranto. Informazioni necessarie per esprimere una valutazione sulla proposta di programma formativo presentata dalla Cementir. Ovvero il discorso di cui sopra: se non si conoscono prima le aziende pronte ad investire sul territorio ed il ramo in cui operano, il piano presentato dall’azienda non potrà partire, perché si corre il rischio di formare i lavoratori che non rientrerebbero nelle richieste di mercato. A tal proposito, i tecnici della Task Force regionale hanno dichiarato che ad oggi Invitalia non ha reso pubblici gli esiti della call per le manifestazioni d’interesse ad investire nell’area di crisi industriale complessa di Taranto. La FILLEA-CGIL infine, anche alla luce delle verifiche ancora in corso da parte della Regione Puglia sulle risorse economiche da utilizzare per predisporre lo strumento di sostegno alle politiche attive del lavoro in favore dei lavoratori Cementir in CIGS, ha anticipato ai presenti che si confronterà quotidianamente con i lavoratori per valutare l’assunzione di iniziative volte a sollecitare la soluzione del problema relativo alla formazione professionale.
Ricordiamo infatti che Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, di proprietà del Ministero dell’Economia), nell’ambito dell’elaborazione del Progetto di Riconversione e Riqualificazione Industriale dell’area di crisi di Taranto – costituita dai territori dei Comuni di Taranto, Crispiano, Massafra, Montemesola e Statte – ha promosso una call di manifestazioni di interesse ad investire, con l’obiettivo di definire i fabbisogni di sviluppo dell’area. La call aveva finalità meramente conoscitive e non dà luogo a titoli di preferenza o diritti e le manifestazioni di interesse dovevano riguardare iniziative imprenditoriali, da localizzare nell’area di crisi, finalizzate alla realizzazione di programmi di investimento e connessi programmi occupazionali. La call per manifestazioni di interesse si è chiusa il 3 febbraio scorso.
I dati del primo trimestre 2017
Intanto la Cementir, nell’assemblea dei soci dello scorso 29 aprile, ha illustrato i dati del primo trimestre 2017: ricavi pari a 279,9 milioni, in crescita del 33% (stabili a perimetro costante); risultato ante imposte negativo per 6,2 milioni (negativo per 6 milioni nel primo trimestre 2016); margine operativo lordo a 23 milioni (21,3 milioni nel primo trimestre 2016) e 20,1 milioni a perimetro costante; indebitamento finanziario netto a 646,4 milioni (562,4 milioni al 31 dicembre 2016). In una nota ufficiale, l’azienda afferma di poter confermare gli obiettivi economici e finanziari per l’anno 2017, ovvero di raggiungere un margine operativo lordo di circa 215 milioni e un indebitamento finanziario netto di circa 530 milioni a fine 2017, dopo aver sostenuto investimenti industriali di circa 92 milioni.
Il rifinanziamento del debito di 330 milioni con le banche
L’azienda in queste settimane ha inoltre informato i soci di stare ultimando il rifinanziamento di un debito da 330 milioni di euro con tre banche creditrici, Intesa, Mediobanca e Bnp Paribas, spostando la scadenza al 2021 dal 2018, a condizioni migliori di quelle che avrebbe pagato con l’emissione di un bond. Lo scorso 28 aprile Cementir Holding Spa ha infatti completato il rifinanziamento di una linea di credito “bridge” di 330 milioni di euro, facente parte del contratto di un finanziamento stipulato ad ottobre dello scorso anno. “Questa linea di credito era stata messa a disposizione dal pool di banche per finanziare le acquisizioni di CCB e del ramo d’azienda Sacci e per rifinanziare linee di credito esistenti, oltre che esigenze di capitale circolante“, afferma in una nota la società.
La trattativa con ‘Suez’ per il mercato dei rifiuti
La società starebbe inoltre discutendo con la società francese Suez possibili sinergie industriali nel settore della gestione e dell’energia da rifiuti. Il tutto trae spunto call’accordo tra il gruppo francese e Caltagirone spa, dopo il quale Caltagirone jr è entrato nel board di Suez in rappresentanza della partecipazione del 3,5% della holding di famiglia, mentre Suez è diventato primo azionista privato di Acea con il 23,3% (la multiservizi italiana attiva nella gestione e nello sviluppo di reti e servizi nei settori dell’acqua, dell’energia e dell’ambiente di cui il gruppo Caltagirone detiene il 5%). Tra le sinergie possibili, il fatto che Suez potrebbe essere interessata a lavorare in Turchia dove non è presente, paese nel quale Cementir è invece molto attiva sia nel cemento sia nella gestione dei rifiuti. Inoltre, Cementir utilizza combustibili da rifiuti nei suoi impianti in Scandinavia e Belgio, con Suez potrebbe essere un fornitore di questo tipo di combustibile.
(leggi anche http://www.corriereditaranto.it/2016/10/27/cementir-tregua-azienda-sindacati-business-caltagirone-allestero/)
Il progetto ‘Nuova Taranto’ (anche per bruciare rifiuti)
A tal proposito, giova ricordare che anche a Taranto la Cementir avrebbe potuto ‘bruciare‘ rifiuti (in realtà potrebbe ancora farlo) di tipo CDR/CSS. Chi ha seguito le vicende ambientali della nostra città almeno negli ultimi 10 anni infatti, ricorderà che la Regione Puglia destinò un prestito pubblico di 20 milioni di euro (per la precisione 19.334.852,51 euro, garantito dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale, nell’ambito del programma operativo 2007-2013) a “fondo perduto” per contribuire alla realizzazione di un co-inceneritore all’interno del cementificio tarantino (per “l’ampliamento degli impianti produttivi esistenti ed il recupero di efficienza e competitività dello stabilimento produttivo di Taranto“), che avrebbe dovuto smaltire parte del combustibile da rifiuti (Cdr) prodotto nel territorio della Regione Puglia (soldi che però sarebbero stati erogati soltanto al termine del collaudo, positivo, dell’impianto). La VIA favorevole fu rilasciata dalla Provincia di Taranto (con determinazione N. 105) il 13/09/2011 (Dirigente del Servizio Ecologia ed Ambiente Provincia TA BURP – Bol. n. 175 del 10-11-2011) e che con nota (prot. 117542) del 29/07/2011, acclarata al prot. prov.le n. 52161/A del 10.08.2011), il Comune di Taranto inviava il proprio parere favorevole.
Un business sicuro, visto che il 29 marzo 2013 entrò in vigore il Decreto n. 22 del 14 febbraio 2013, che autorizzava i cementifici a bruciare il Cdr, oggi chiamato combustibile solido secondario (Css) e non più considerato un rifiuto (all’epoca il premier era Mario Monti, mentre ministro dell’Ambiente il discusso Corrado Clini, molto poco amato da queste parti per le note vicende Ilva che travolsero il suo ministero nel 2012).
Il tutto rientrava all’interno del famoso e mai attuato progetto di revamping dell’impianto tarantino, denominato ‘Nuova Taranto Cementir’, per un importo pari a 145.030.000 euro, la maggior parte dei quali (oltre 100 milioni di euro, pari al 69% del budget totale) sarebbero stati destinati all’acquisto di “attrezzatura, macchine, e impianti”, per il quale la società ottenne anche un finanziamento dalla Banca europea d’investimenti (BEI), per 90 milioni di euro. Progetto congelato (e che crediamo tale resterà per sempre) nella primavera del 2013 dopo la tempesta giudiziaria e produttiva che colpì l’Ilva nella seconda parte del 2012, primo rifornitore della Cementir di loppa d’altoforno, materiale con il quale si produceva il cemento nel sito tarantino.
Quale finale?
Dal 1 gennaio 2014 il forno della Cementir di Taranto è spento. E secondo fonti ben informate non sarà più riacceso. In Italia il mercato del cemento è in crisi nera da anni: la domanda di cemento non supera i 19 milioni di tonnellate l’anno. Basti pensare che attualmente l’attività in Italia per la Cementir pesa solo per il 12% dei ricavi del gruppo. Il problema qui è che ci sono in ballo decine di lavoratori che al momento non sanno di che morte morire tra appena 6 mesi. Bisognerà si formarli per un nuovo impiego: ma quale? E con quali garanzie occupazionali per il futuro? Il caso dei 47 lavoratori della Cementir, così come saggiamente suggerito dalla FILLEA Cgil di Taranto, potrebbe essere un osservatorio privilegiato per capire se e quanto sia realmente realizzabile la riqualificazione dei lavoratori della grande industria tarantina. Un’ambizione, un’utopia e un progetto di cui in tanti negli anni si sono riempiti la bocca, spesso propinando soluzioni da fantascienza. Facendo i conti senza l’oste. E i fenomeni con il portafoglio e la vita degli altri. Ma i conti con la realtà bisogna sempre farli. E farli bene. Se il progetto di riqualificazione per i lavoratori Cementir andrà a buon fine, allora potremo guardare al futuro con occhi più speranzosi. Altrimenti saremo inevitabilmente costretti a pensare ad altro. Sia per i lavoratori che il futuro dell’economia tarantina.
(leggi tutte le notizie sulla Cementir http://www.corriereditaranto.it/?s=cementir)
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