#Bergamo La società #Italcementi
ha acquisito tutte le attività italiane della società Cementir Holding.
Pare che si stia ampliando vertiginosamente e che se ne voglia vantare,
probabilmente dimentica degli episodi che hanno accompagnato la società
e i suoi lavoratori negli ultimi anni: sono passati solo 18 mesi da
quando circa 400 lavoratori sono stati lasciati a casa per una
trattativa complessiva di 1 miliardo e 600 milioni.
La società Italcementi ha acquisito tutte le attività italiane della società Cementir Holding: altre 5 cementerie a ciclo completo oltre alle 6 che già la compongono, 2 centri di macinazione e un terminal di impianti di calcestruzzo in tutta Italia. L’acquisizione è avvenuta lo scorso 2 gennaio, per una somma pari a circa 315 milioni di euro: secondo l’amministrazione di Italcementi, l’accordo costituisce un grande evento storico, e riconferma la fiducia della società tedesca Heidelberg Cement Group nei confronti del gruppo italiano. Pare, insomma, che Italcementi si stia ampliando vertiginosamente e che se ne voglia vantare a gran voce, probabilmente dimentica degli episodi che hanno accompagnato la società e soprattutto i suoi lavoratori negli ultimi anni.
Rinfreschiamoci la memoria: già nel 2015 i dipendenti Italcementi,
attraverso picchetti e mobilitazioni, si iniziarono a opporre alla
decisione improvvisamente presa dalla società, ovvero
quella di mandare in cassa integrazione più di mille dipendenti in tutta Italia, dopo l’acquisizione dell’azienda da parte della tedesca Heidelberg Cement. Quello che veniva richiesto era un reale dialogo con la società, rea di non aver opposto alcuna clausola di salvaguardia nei loro confronti nell’accordo col colosso europeo, lasciando di fatto ai lavoratori solo incertezze sul proprio futuro.
Invano i lavoratori e i loro rappresentanti sindacali cercarono udienza presso il patron Carlo Pesenti e la società, che a quanto pareva era tutto fuorché in rosso, fatturando più di 4 miliardi di euro nel corso del 2015. Eppure non fu data nessuna spiegazione, neanche dopo la lettera scritta dagli stessi lavoratori ): l’idea della cassa integrazione per soli 20 mesi, senza altre future garanzie, diventava via via sempre più plausibile. Il 5 maggio 2016 un ulteriore accordo tra Mise, Ministero del Lavoro, Regione Lombardia, Comune e Provincia di Bergamo e Confindustria e Pesenti pose queste condizioni: ai 42mila euro lordi previsti per ognuno dei 394 dipendenti in esubero ne furono aggiunti 18mila per la formazione e l’assunzione a tempo indeterminato, per un totale di 60mila euro lordi, per permettere un futuro ai lavoratori e alle lavoratrici di Italcementi che, senza un inversione di rotta, si sarebbero trovati licenziati al termine dell’accordo con Heidelberg Group.
Questo genere di trattative in realtà non sono affatto nuove: già nel 2015 la società svizzera Holcim e quella francese Lafarge, aziende leader del mercato del cemento, si erano unite, comportando il licenziamento di circa 500 dipendenti e dando probabilmente il via alle operazioni intraprese poi da Italcementi e Heidelberg.
Le conseguenze di politiche di questo genere consistono soprattutto in piani di ristrutturazione aziendale, con conseguenti licenziamenti, che colpiscono soprattutto chi gode di contratti più stabili e assunzione di forza-lavoro con poche tutele, oltre a concorrenza insostenibile da parte di aziende minori del medesimo settore, che a loro volta si trovano ad annunciare tagli al personale sacrificabile e sacrificato.
Infine fanno pensare le tempistiche trascorse fra la vendita di Italcementi a HeidelbergCement e l’acquisizione da parte della società bergamasca di Cementir. Sono passati solo 18 mesi da quando circa 400 lavoratori sono stati lasciati a casa per una trattativa complessiva di 1 miliardo e 600 milioni. Le motivazioni e le dichiarazioni rilasciate in quel periodo furono tante. Sono bastati un anno e mezzo per liquidare 400 persone e “riacquistarne” altre.
Sembra scontato ma il profitto ha sempre la meglio per gli occhi delle aziende, e questo lo si evince senza troppa difficoltà dalle parole dell’ad. Roberto Callieri: «Il nostro obbiettivo è chiaro: accelerare il ritorno, già iniziato nel 2016, alla redditività e sostenibilità del business, con una chiara ambizione sia finanziaria, sia temporale».
quella di mandare in cassa integrazione più di mille dipendenti in tutta Italia, dopo l’acquisizione dell’azienda da parte della tedesca Heidelberg Cement. Quello che veniva richiesto era un reale dialogo con la società, rea di non aver opposto alcuna clausola di salvaguardia nei loro confronti nell’accordo col colosso europeo, lasciando di fatto ai lavoratori solo incertezze sul proprio futuro.
Invano i lavoratori e i loro rappresentanti sindacali cercarono udienza presso il patron Carlo Pesenti e la società, che a quanto pareva era tutto fuorché in rosso, fatturando più di 4 miliardi di euro nel corso del 2015. Eppure non fu data nessuna spiegazione, neanche dopo la lettera scritta dagli stessi lavoratori ): l’idea della cassa integrazione per soli 20 mesi, senza altre future garanzie, diventava via via sempre più plausibile. Il 5 maggio 2016 un ulteriore accordo tra Mise, Ministero del Lavoro, Regione Lombardia, Comune e Provincia di Bergamo e Confindustria e Pesenti pose queste condizioni: ai 42mila euro lordi previsti per ognuno dei 394 dipendenti in esubero ne furono aggiunti 18mila per la formazione e l’assunzione a tempo indeterminato, per un totale di 60mila euro lordi, per permettere un futuro ai lavoratori e alle lavoratrici di Italcementi che, senza un inversione di rotta, si sarebbero trovati licenziati al termine dell’accordo con Heidelberg Group.
Questo genere di trattative in realtà non sono affatto nuove: già nel 2015 la società svizzera Holcim e quella francese Lafarge, aziende leader del mercato del cemento, si erano unite, comportando il licenziamento di circa 500 dipendenti e dando probabilmente il via alle operazioni intraprese poi da Italcementi e Heidelberg.
Le conseguenze di politiche di questo genere consistono soprattutto in piani di ristrutturazione aziendale, con conseguenti licenziamenti, che colpiscono soprattutto chi gode di contratti più stabili e assunzione di forza-lavoro con poche tutele, oltre a concorrenza insostenibile da parte di aziende minori del medesimo settore, che a loro volta si trovano ad annunciare tagli al personale sacrificabile e sacrificato.
Infine fanno pensare le tempistiche trascorse fra la vendita di Italcementi a HeidelbergCement e l’acquisizione da parte della società bergamasca di Cementir. Sono passati solo 18 mesi da quando circa 400 lavoratori sono stati lasciati a casa per una trattativa complessiva di 1 miliardo e 600 milioni. Le motivazioni e le dichiarazioni rilasciate in quel periodo furono tante. Sono bastati un anno e mezzo per liquidare 400 persone e “riacquistarne” altre.
Sembra scontato ma il profitto ha sempre la meglio per gli occhi delle aziende, e questo lo si evince senza troppa difficoltà dalle parole dell’ad. Roberto Callieri: «Il nostro obbiettivo è chiaro: accelerare il ritorno, già iniziato nel 2016, alla redditività e sostenibilità del business, con una chiara ambizione sia finanziaria, sia temporale».
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