Ex Ilva, dallo stabilimento di Cornigliano l’attacco a Mittal: “Tiene ferme Genova e Novi per non pagare gli stipendi”
Genova. “Il futuro dell’Ilva dopo l’ingresso
dello Stato? Finché resterà la gestione Morselli con lo Stato al 38%
sarà come avere delle tossine in un corpo sano”. A parlare è Armando Palombo, coordinatore dell’rsu dello stabilimento Arcelor Mittal di Genova.
A 48 ore dall’ingresso dello Stato nella gestione degli stabilimenti ex Ilva grazie all’aumento di capitale di 400 milioni, le incertezze
sul futuro dell’acciaio in Italia restano al loro posto. Ed è lo stesso
accordo firmato da Invitalia per il suo ingresso in Am Investco a
mettere dei punti interrogativi. Nell’accordo infatti vengono indicate
le condizioni che se non si verificheranno porteranno a una sospensione
dello stesso, che dovrebbe portare tra un anno lo Stato a diventare il
socio di maggioranza di Acciaierie d’Italia holding, con il 60% a fronte ulteriori 600 milioni versati nelle casse della nuova società. Le condizioni cosiddette sospensive
sono tre: la modifica del piano ambientale, la revoca di tutti i
sequestri penali e l’assenza di misure restrittive nell’ambito dei
procedimenti penali in essere. E, ad oggi, non è affatto detto che tutte
queste pre-condizioni al via libera finale si verifichino.
Intanto, sulla nuova cogestione Stato-Mittal i sindacati, almeno
a Genova, hanno non poche perplessità rafforzate dalle voci insistenti
secondo cui Lucia Morselli, ad di Arcelor Mittal Italia, sarà nel nuovo
cda. Per la Fiom genovese, che guida l’rsu dello stabilimento, non si
tratta di un buon segnale anzi: “Il cambio di approccio che abbiamo
vissuto in quest’ultimo anno con il passaggio di Mittal dalla gestione di Matthieu Jahl a quella della Morselli è sotto gli occhi di tutti – denuncia il delegato – oltre ai mancati investimenti sugli impianti abbiamo assistito a procedimenti disciplinari e licenziamenti
che a Genova oltre agli operai hanno coinvolto tutto il quadro
dirigenziale della fabbrica, praticamente azzerato da Morselli e dal suo
uomo di fiducia Arturo Ferrucci creando un clima è di grande sfiducia
fra chi lavora qui dentro. Chi non è riuscito a trovare un altro lavoro e
si è trovano con alcuni giorni di sospensione poi è rientrato con uno
spirito diverso per gestire una situazione come quella che stiamo
vivendo. A Genova si contano 9 provvedimenti disciplinari nell’ultimo
anno, a Taranto mi pare siano 13, una situazione diventata
insostenibile, basti pensare alla cosiddetta ‘sala relax’ a Cornigliano o
al post del lavoratore di Taranto per cui anche a Genova abbiamo
scioperato”.
Un altro nodo cruciale riguarda la produzione.
Gli ultimi dati Istat elaborati dall’ufficio studi Siderweb mostrano un
vero e proprio crollo nella produzione degli impianti ex Ilva a Taranto
(-56,9%), Genova (-40,9%) e Alessandria (-40,6%).
“Taranto oggi produce 3,5 milioni di tonnellate di ferro grezzo, i cosiddetti ‘crudi’ o ‘neri’. Con
quella produzione potrebbe inviare 900 mila tonnellate a Genova e 1,4
milioni a Novi garantendo di fatto la piena occupazione nei due
stabilimenti che su quel ferro mettono lo zinco. Invece a
Genova arriva il grezzo per produrre solo 320 mila tonnellate e anche
Novi può produrre solo un terzo della sua capacità. Il resto Mittal
Italia lo vende all’esterno, ad Arvedi o Marcegaglia o lo porta nei suoi
stabilimenti all’estero. E così tiene gli operai in cassa integrazione, senza pagare gli stipendi grazie alla cassa Covid”denuncia Palombo.
Una questione a parte riguarda la latta: “Come sappiamo tutti e diciamo da anni il mercato c’è eccome ma non si è investito un euro sugli impianti”. Da cui l’appello al governo,
proprio nel giorno in cui viene annunciato il rinvio a metà maggio
dell’approvazione del bilancio 2020 e della nomina formale del Cda.
“I membri indicati dal governo sono certamente competenti – conclude Palombo – ma senza
una maggioranza vera lo Stato da qui a un anno rischia di metterci i
soldi mentre Mittal fa terra bruciata di impianti e lavoratori. L’appello quindi è a intervenire in fretta, prima che sia troppo tardi”.
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