Con questa decisione, ancora una volta, lo Stato borghese, dopo il governo Monti che adottò il decreto, dopo il parlamento che lo convertì in legge quasi all'unanimità, conferma di schierarsi apertamente a difesa di padron Riva. A dimostrazione, se ce n’era ancora bisogno, che quando sono in gioco gli interessi dei padroni si scavalcano anche gli altri poteri di questo sistema borghese, le sue leggi e norme costituzionali.
Il decreto è una autorizzazione all’Ilva a produrre come ha fatto finora, lasciando la gestione della produzione nelle mani dei Riva, vale a dire di chi è incriminato; è un decreto, quindi, fatto per l'unico scopo di difendere il profitto - e non la messa a norma della fabbrica, visto che per questa vi era già l’Aia che stabilisce prescrizione, tempi e di conseguenza interventi sanzionatori; anzi è CONTRO una messa a norma che metta in discussione la libertà di produrre.
Ciò che il decreto stabilisce è di fatto un lavoro forzato sotto
padron Riva e sotto controllo dello Stato, in una fabbrica resa franca da norme
e diritti, e non un lavoro sicuro mettendo a norma l'Ilva, come richiesto negli ultimi tempi
da operai e comitati cittadini.
Ciò che la sentenza della Crte costituzionale conferma è che non c'è alternativa all'organizzazione autonoma e a lotta in prima persona degli operai, ll'unità operai-cittadini per una rivolta operaia e popolare che imponga a Riva, allo Stato, a ogni governo dei padroni il rispetto del diritto al lavoro e alla salute.
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