giovedì 19 novembre 2015

Govedì Rossi: Effetti delle macchine sull'operaio... Intensificazione del lavoro

Un altro degli effetti della grande industria sull’operaio analizzati da Marx è quello dell’intensificazione del lavoro.
Abbiamo visto come il capitalista tenti sempre di prolungare in maniera smisurata la giornata lavorativa, per estrarre più plusvalore ma, dice Marx, “Appena la ribellione della classe operaia, a mano a mano più ampia, ebbe costretto lo Stato ad abbreviare con la forza il tempo di lavoro e a imporre anzitutto una giornata lavorativa normale alla fabbrica propriamente detta, da quel momento dunque in cui un aumento della produzione di plusvalore mediante il prolungamento della giornata lavorativa fu precluso una volta per tutte, il capitale si gettò a tutta forza e con piena consapevolezza sulla produzione di plusvalore relativo mediante un accelerato sviluppo del sistema delle macchine.”
A proposito di lotte operaie è il caso di ricordare che la giornata di lavoro era di fatto illimitata prima della legge del 1832 che la limita a 12 ore, quella che la limita a 10 è del 1847, quella che la limita a 8 ore è cominciata nel 1867 sempre in Inghilterra… (solo ai primi del novecento venne progressivamente introdotta nei vari paesi, in Italia nel 1923!)
È ovvio, dice Marx “che con il progresso del sistema meccanico e con la esperienza accumulata da una classe particolare di operai meccanici aumenti spontaneamente la velocità e con essa l’intensità del lavoro. In tal modo durante mezzo secolo il prolungamento della giornata lavorativa procede in Inghilterra di pari passo con la crescente intensità del lavoro di fabbrica. Ma si capisce che in un lavoro in cui non si tratta di parossismi passeggeri, ma di una uniformità regolare, ripetuta giorno per giorno, si deve giungere a un punto cruciale in cui l’estensione della giornata lavorativa e l’intensità del lavoro si escludano a vicenda cosicché il prolungamento della giornata lavorativa resta compatibile solo con un grado più debole d’intensità del lavoro e, viceversa, un grado accresciuto di intensità resta compatibile solo con un accorciamento della giornata lavorativa”. Vedremo come il capitale gestisce questa ovvietà a modo suo.
Ma “Allo stesso tempo subentra un cambiamento nel carattere del plusvalore relativo.” Perché qual è in generale il metodo di produzione del plusvalore relativo? Esso “consiste nel mettere l’operaio in grado di produrre di più con lo stesso dispendio di lavoro e nello stesso tempo mediante l’aumento della forza produttiva del lavoro. Lo stesso tempo di lavoro aggiunge al prodotto complessivo lo stesso valore di prima, benché questo valore di scambio inalterato si rappresenti ora in più valori d’uso e benché quindi cali il valore della merce singola.” Mentre “Diversamente stanno però le cose non appena l’accorciamento forzato della giornata lavorativa, con l’enorme impulso che dà allo sviluppo della forza produttiva e all’economizzazione delle condizioni di produzione, impone all’operaio un maggiore dispendio di lavoro in un tempo invariato, una tensione più alta della forza-lavoro, un più fitto riempimento dei pori del tempo di lavoro, cioè una condensazione del lavoro a un grado che si può raggiungere solo entro i limiti della giornata lavorativa accorciata. Questo comprimere una massa maggiore di lavoro entro un dato periodo di tempo conta ora per quello che è, cioè per una maggiore quantità di lavoro.”  
Perciò “Adesso, l’ora più intensa della giornata lavorativa di dieci ore contiene tanto lavoro ossia forza-lavoro spesa quanto l’ora più porosa della giornata lavorativa di dodici ore, o anche di più. Il suo prodotto ha quindi lo stesso valore o un valore maggiore di quello dell’ora e un quinto più porosi. Astraendo dall’accrescimento del plusvalore relativo mediante l’aumento della forza produttiva del lavoro” ora, per esempio, tre ore di pluslavoro su sette di lavoro necessario “forniscono al capitalista la stessa massa di valore che fornivano prima quattro ore di pluslavoro su otto di lavoro necessario.”
“Resta a vedersi ora in che modo il lavoro venga intensificato.
“Il primo effetto della giornata lavorativa accorciata poggia sulla legge ovvia” dice Marx, che quanto più lungo è il tempo dell’azione dell’operaio, quanto più ore lavora, tanto più si stanca e meno efficace è la sua capacità di azione.  Ma, in questo caso il padrone sa come usare gli “incentivi”: “a che l’operaio renda realmente liquida una maggiore forza-lavoro, provvede il capitale mediante il metodo del pagamento (specialmente con il salario a cottimo).”
I capitalisti erano, e sono, naturalmente contrari ad ulteriori accorciamenti della giornata lavorativa e portarono argomentazioni sulla scia della lunga esperienza e addirittura fecero degli esperimenti. “Nelle manifatture” continua infatti Marx, “nella ceramica ad esempio, in cui il macchinario non ha alcuna funzione o ha una funzione solo minima, l’introduzione della legge sulle fabbriche ha dimostrato in maniera lampante che il semplice accorciamento della giornata lavorativa aumenta in modo mirabile la regolarità, l’uniformità, l’ordine, la continuità e l’energia del lavoro.” Ma, appunto “Questo effetto sembrava dubbio nella fabbrica vera e propria perché quivi la dipendenza dell’operaio dal movimento continuato e uniforme della macchina aveva creato da lungo tempo una disciplina rigorosissima. Perciò, quando nel 1844 si discusse la riduzione della giornata lavorativa al di sotto delle 12 ore, i fabbricanti dichiararono quasi all’unanimità che «i loro sorveglianti controllavano nei diversi locali da lavoro a che le braccia non perdessero tempo», che «il grado di vigilanza e di attenzione degli operai era difficilmente suscettibile di aumento», e che invariate presupponendo tutte le altre circostanze come la velocità del macchinario, ecc., «era quindi un’assurdità nelle fabbriche condotte a dovere aspettarsi da un aumento dell’attenzione ecc. degli operai un qualsiasi risultato degno di nota».”
“Questa affermazione - dice Marx – oltre che dalla pratica fu confutata da esperimenti” che diedero ragione agli operai. Per esempio “Il signor R. Gardner fece lavorare dal 20 aprile 1844 in poi nelle sue due grandi fabbriche invece di dodici ore solo 11 al giorno. Dopo un anno circa si ebbe il risultato che «la stessa quantità di prodotti era ottenuta agli stessi costi, e che tutti gli operai guadagnavano in 11 ore lo stesso salario guadagnato prima in 12».
Altri esperimenti simili furono fatti col medesimo successo in altre fabbriche. E, quindi, che cosa bisognava fare dal punto di vista del capitalista? “Appena l’accorciamento della giornata lavorativa … diventa obbligatorio per legge, la macchina diventa nelle mani del capitale il mezzo obiettivo e sistematicamente applicato per estorcere una quantità maggiore di lavoro nel medesimo tempo. E questo avviene in duplice maniera: mediante l’aumento della velocità delle macchine e mediante l’ampliamento del volume di macchinario da sorvegliare da uno stesso operaio, ossia mediante l’ampliamento del suo campo di lavoro. Il perfezionamento nella costruzione del macchinario in parte è necessario per esercitare una pressione maggiore sugli operai, in parte accompagna spontaneamente l’intensificazione del lavoro, perché il limite della giornata lavorativa costringe il capitalista all’economia più rigorosa nei costi di produzione.”
Nel sistema capitalistico l’aumento della velocità delle macchine è un processo che non finisce mai; ne sanno qualcosa in genere tutti gli operai, in particolare quelli che lavorano in fabbriche dove si applicano i metodi “scientifici”, come prima alla Fiat il TMC, versione 1 e 2, (Tempi dei Movimenti Collegati) e ora la sua evoluzione, il WCM. E serve proprio come dice Marx anche alla riduzione più rigorosa dei costi di produzione!
“La riduzione della giornata lavorativa a dodici ore risale in Inghilterra al 1832. Fin dal 1836 un fabbricante inglese dichiarava: «A paragone di prima il lavoro da compiersi nelle fabbriche è cresciuto molto a causa della maggiore attenzione ed attività richieste all’operaio dal notevole aumento della velocità del macchinario».”
“Nell’anno 1844 Lord Ashley, ora Conte Shaftesbury, fece alla Camera dei Comuni la seguente esposizione documentata: «Il lavoro che le persone impiegate nei processi di fabbricazione devono compiere ora è tre volte maggiore di quello che era al momento dell’introduzione di tali operazioni. Il macchinario ha compiuto indubbiamente un’opera che sostituisce i tendini e i muscoli di milioni di uomini, ma esso ha anche aumentato in maniera stupefacente (prodigiously) il lavoro degli uomini dominati dal suo terribile movimento...”
“... Ho qui in mano un altro documento del 1842 in cui si dimostra che il lavoro aumenta progressivamente non soltanto perché si deve percorrere una distanza maggiore, ma perché aumenta la quantità delle merci prodotte, mentre il numero delle braccia diminuisce in proporzione…”
“Dinanzi a questa notevole intensità raggiunta dal lavoro sotto il dominio della legge delle dodici ore fin dal 1844, sembrava in quel momento giustificata la dichiarazione dei fabbricanti inglesi che ogni ulteriore progresso in quella direzione era impossibile e che quindi ogni ulteriore diminuzione del tempo di lavoro era sinonimo di diminuzione della produzione. L’apparente esattezza del loro ragionamento viene comprovata nel modo migliore” dalle dichiarazioni “del loro infaticabile censore, l’ispettore di fabbrica Leonard Horner” che però anni dopo dovette ricredersi. Infatti esaminando “il periodo successivo al 1847, cioè all’introduzione della legge delle dieci ore, nelle fabbriche inglesi del cotone, della lana, della seta e del lino” si ha che “«I grandi perfezionamenti apportati a macchine di ogni specie hanno aumentato molto la forza produttiva delle macchine stesse. Indubbiamente l’incitamento a tali perfezionamenti... è venuto dall’accorciamento della giornata lavorativa. Tali perfezionamenti e lo sforzo più intenso dell’operaio hanno fatto sì che nella giornata lavorativa accorciata» (accorciata di due ore, ossia di un sesto) «viene fornito prodotto per lo meno nella medesima quantità fornita prima, durante la giornata lavorativa più lunga».”
“L’arricchimento dei fabbricanti in virtù dello sfruttamento più intensivo della forza-lavoro è dimostrato già dal fatto che l’aumento medio delle fabbriche inglesi di cotone, ecc, ammontava nel periodo 1838-1850 al trentadue, nel periodo 1850-1856 invece all’ottantasei per cento all’anno.” E, dunque: “Per quanto fosse grande il progresso compiuto dall’industria inglese negli otto anni dal 1848 fino al 1856 sotto il dominio della giornata lavorativa di dieci ore, esso fu a sua volta superato di gran lunga nel periodo dei sei anni successivi, 1856-1862.”
“Il giorno 27 aprile 1863 il deputato Ferrand ebbe a dichiarare alla Camera dei Comuni: «Delegati operai di sedici distretti del Lancashire e del Cheshire per incarico dei quali io parlo, mi hanno comunicato che a causa dei perfezionamenti del macchinario il lavoro è in continuo aumento nelle fabbriche. Prima una persona aiutata da altri serviva due telai, ora, invece, una persona senza aiuto di altri ne serve tre, e non è affatto cosa straordinaria che ne serva quattro, ecc. In meno di dieci ore lavorative si comprimono ora dodici ore di lavoro. È ovvio quindi che le fatiche degli operai di fabbrica siano aumentate in questi ultimi anni in una misura enorme».”
“Quindi, benché gli ispettori di fabbrica elogino instancabilmente e a buon diritto i risultati favorevoli delle leggi sulle fabbriche del 1844 e 1850, ammettono tuttavia che l’accorciamento della giornata lavorativa ha già provocato un’intensità del lavoro che distrugge la salute degli operai, ossia la forza-lavoro stessa. «Nella maggior parte delle fabbriche di cotone, di worsted e di seta, quello stato di eccitamento spossante, necessario per il lavoro alle macchine il cui moto è stato tanto straordinariamente accelerato in questi ultimi anni, è una delle cause dell’eccedenza della mortalità per malattie polmonari, comprovata dal dott. Greenhow nel suo ultimo ammirevole rapporto».”
“Non v’è il minimo dubbio” afferma Marx “che la tendenza del capitale, appena la legge gli preclude una volta per tutte il prolungamento della giornata lavorativa, a ripagarsi con un aumento sistematico del grado di intensità del lavoro e a stravolgere ogni perfezionamento del macchinario in un mezzo di succhiar più forza-lavoro, dovrà presto portare di nuovo a una svolta in cui si renderà inevitabile una nuova diminuzione delle ore lavorative (è cominciata ora – 1867 – fra gli operai di fabbrica del Lancashire l’agitazione per le otto ore).
“D’altra parte la grande corsa compiuta dall’industria inglese dal 1848 sino ai giorni nostri, ossia durante il periodo della giornata lavorativa di dieci ore, supera di gran lunga l’epoca dal 1833 al 1847, ossia il periodo della giornata lavorativa di dodici ore, più di quanto quest’ultima non superi il mezzo secolo trascorso dopo l’introduzione del sistema di fabbrica ossia il periodo della giornata lavorativa illimitata.”

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