giovedì 12 novembre 2015

Braccianti: oltre 50 mila "schiavi" in Puglia - Ma anche la Cgil della Camusso non va oltre le denunce, lì dove occorre organizzazione nei campi e lotta

Le condizioni peggiori le vivono gli immigrati e le donne. Ribadiamo, non è una realtà antistorica che si trascina, o a cui mettere fine con appelli e convegni alle "aziende sane"; ma una situazione fino in fondo figlia del capitalismo agrario e commerciale, grandi aziende, che nella crisi punta ad ottenere "maledetti e subito" i profitti col massimo sfruttamento e il minimo salario; in questo, il caporalato, o la sua versione "legale" la Agenzie interinali, è il braccio sporco, violento, anche questo niente affatto residuo del passato ma moderno, assolutamente necessario al capitale per avere i suoi moderni "schiavi e schiave".

Senza colpire le grandi aziende agrarie e commerciali, la condizione dei braccianti non può essere difesa. Senza rovesciare il capitalismo, nelle campagne, come ovunque, non ci possono essere diritti, libertà, dignità dei lavoratori migranti e italiani.

Ma occorre "sporcarsi le mani", girare nelle campagne, nei paesi, parlare con i braccianti e le braccianti, andare nelle loro case, dove vivono e si incontrano, organizzarli, rischiando anche sulla propria pelle - come negli anni passati si è visto qualche esempio proprio tra i braccianti immigrati in Puglia - accendere le scintille della lotta, dello sciopero. Qui, sì, recuperando e modernizzando anche la storia della Cgil di Di Vittorio.

MA NON E' LA CGIL DELLA CAMUSSO CHE PUO' FARLO.

Alcuni, pochi, responsabili locali della Cgil fanno anche un lavoro generoso, si "rimboccano le maniche", rischiano pure, ma questo lavoro viene inevitabilmente fatto nella logica di consegnare poi il tutto al vertice della Cgil o alle Istituzioni, al governo, non di riprovare a fare il lavoro lungo, difficile di organizzare la lotta dei braccianti.
 
PER QUESTO ANCHE NELLE CAMPAGNE SONO I MIGRANTI, LE BRACCIANTI CHE DEVONO TROVARE LA FORZA DI RIBELLARSI.

Caporalato, la Cgil lancia l'allarme Puglia: "Qui 55 ghetti con oltre 50mila schiavi"

Il sindacato presenta il rapporto al segretario Camusso dopo i quattro morti nei campi: "Un terzo dei braccianti sono immigrati che lavorano in nero e vivono in condizioni disumane"



Ghetti e tendopoli infiltrati dalla criminalità organizzata. Un esercito sempre più grande e sfruttato di lavoratori in nero e un aumento preoccupante delle morti sotto i tendoni per i troppi carichi di lavoro. Nelle campagne pugliesi è emergenza caporalato. A denunciarlo ancora una volta è la Flai Cgil Puglia, che in un incontro a Bari a cui ha preso parte anche il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha presentato il rapporto Agricoltura e lavoro migrante in Puglia.

Il caporalato è un sistema perverso che in un settore agricolo alle prese con la crisi riesce a produrre utili milionari per le aziende grazie a condizioni lavorative da schiavitù: nel solo periodo della raccolta del pomodoro il giro d'affari in Puglia si aggira dai 21 ai 30 milioni di euro. Cifre drogate dal sistema dei 55 ghetti che si sono sviluppati in tutto il territorio regionale: qui vivono in condizioni inumane buona parte dei 50mila braccianti in nero (sui circa 160mila totali) che ogni giorno lavorano nelle campagne pugliesi. Nel ghetto di Rignano Garganico si stima una presenza di 15mila persone, per la maggior parte provenienti dall'Africa subsahariana. Ognuno di questi “schiavi” - come li chiama Giuseppe De Leonardis, segretario della Flai Cgil Puglia - “guadagna 400-500 euro in due mesi di lavoro” in cui riempiono giornalmente decine di cassoni dal peso di circa 3 quintali ciascuno.

Il rapporto stima che ogni caporale speculi da ogni schiavo da 1 a 2 euro a cassone, a seconda di quanto è produttivo il campo, e “5 euro a viaggio per accompagnarli al lavoro”. Il mercato del caporalato si estende anche alle “abitazioni” di questi schiavi. Nel ghetto le case di fortuna ricavate con tetti di lamiera hanno un prezzo d'affitto che si aggira sulle 200 euro al mese. “Ma i caporali speculano anche sul cibo che forniscono ai propri schiavi con altri 2-3 euro di rincaro medio per singolo panino, senza considerare la speculazione sulla ricarica elettrica del telefono cellulare (circa 3 euro a ricarica)”.

E le ispezioni? Quest'anno sono incrementate, in seguito a quella scia di sangue che ha macchiato le campagne pugliesi nei mesi estivi con le morti Paola Clemente e altri tre braccianti sotto i tendoni di uva e nella raccolta dei pomodori. La percentuale di maggiori irregolarità è stata rilevata a Foggia (62 per cento), poi Lecce (61 per cento), Taranto (60 per cento), Brindisi (40 per cento) e Bari (37 per cento). “Le maxi sanzioni comminate per lavoro nero sono state 1.161 e in questo caso Bari è in testa con 546 multe – dice ancora De Leonardis – E le imprese agricole pugliesi non hanno avuto nemmeno un'ispezione da quando esiste in Puglia la legge sugli indici di congruità”.

Intanto nel settore aumentano i segnali di rinnovamento: il numero totale di operai a tempo determinato è passato da 180.748 del 2013 a 181.273 del 2014, registrando un aumento di 525 unità. Ma analizzando la sola componente straniera si evince che è passata da 29.599 a 49.707, con un incremento di 1.108 unità. In sostanza in regione i braccianti stranieri stanno prendendo il sopravvento su quelli italiani. “È una vergogna che si taccia sui ghetti e sulle tendopoli e che si vada lì solo quando succede una tragedia”, ha commentato Camusso.

Nessun commento:

Posta un commento