lunedì 21 marzo 2022

La grande esperienza degli operai Gkn – verso la manifestazione del 26

Riportiamo l’intervento fatto all’assemblea di Taranto del 13 febbraio del rappresentante della Gkn, Dario Salvetti

Intanto ci scusiamo con Dario, con gli operai e compagni e compagne della Gkn, per la trascrizione sicuramente imperfetta del suo intervento, purtroppo la registrazione tecnicamente era difettosa.

Ma era importante riportarne almeno le parti principali. Pensiamo che tutta la vicenda ripresa da Dario Salvetti della lotta alla Gkn dia a tutte le altre fabbriche delle lezioni importanti (come abbiamo detto nel nostro intervento in assemblea come Slai cobas sc); tutta la esperienza di questa lotta di operai, che continua tuttora con il tour e vedrà un significativo passaggio nella manifestazione del 26 marzo, prima manifestazione nazionale dopo decenni costruita direttamente dagli operai, tocca dei nodi attuali e futuri della battaglia della classe operaia. Noi apprezziamo molto la posizione e la concezione di questi operai d’avanguardia di porre con chiarezza le questioni anche complesse e difficili. Proprio per questo anche noi, dopo la manifestazione del 26 che richiede in questi giorni un gran lavoro, affronteremo alcuni di questi nodi, soprattutto quelli su cui pensiamo occorra approfondire, distinguere il giusto dalla confusione o dallo sbagliato, per continuare anche a distanza un dibattito che serva a tutti i lavoratori e compagni, compagne. Li affronteremo con la stessa responsabilità di chiarezza, di non sfuggire a questioni controverse, proprio per il rispetto che abbiamo verso gli operai della Gkn. Pensiamo poi che alcune delle posizioni, concezioni abbiano anche a che fare con le questioni che stiamo affrontando nella Formazione operaia sul testo di Lenin: “Sui sindacati, gli scioperi, l’economismo”.

L’intervento di Dario Salvetti Gkn

Ci sono tante storie nella nostra storia, si potrebbe dire che nella nostra vicenda collettiva è contenuta la storia della Resistenza e tutta la storia degli anni 60 e 70 perchè noi siamo eredi di quella storia che non abbiano conquistato ma abbiamo ereditato; poi dentro la nostra vicenda c’è la storia del periodo 2008-2014 quando abbiamo provato a resistere con un discreto successo al modello Marchionne al suo scambio diritti/lavoro. Se non avessimo resistito allora saremmo arrivati divisi e frantumati a questa fase. C’è poi la storia degli ultimi tre anni, la lotta contro un fondo finanziario. Ci siamo chiesti: come è possibile prevedere, prevenire la chiusura, la delocalizzazione visto che quando arrivano a dichiararti il licenziamento hanno già preparato tutto? perche le aziende hanno una tecnica sopraffina nel porti di fronte al fatto compiuto e portarti a discutere a un tavolo di crisi dove l’unica cosa che ti rimane è gestire il danno.

Poi c’è un’altra storia, quella che per noi si è aperta dal 9 luglio lo sfondamento di quel cancello. Quando arriviamo di fronte a quel cancello c’è un attimo di smarrimento, pensiamo che ce l’hanno fatta, sono riusciti a prenderci alla sprovvista nonostante tutte le misure organizzative che avevamo. Ma poi c’è la pasta di cui uno è fatto. Intendo il RSU, il delegato, tutti i lavoratori Gkn, perché inizia una pressione su quel cancello e quel cancello inizia a non reggere più e noi entriamo, ci riprendiamo la fabbrica! Ma poi lo sfondamento deve reggere e una volta dentro hai creato una testa di ponte, e succede che intorno a quella testa di ponte, la fabbrica che noi riprendiamo in mano, si crea un movimento composito, fatto di altre vertenze, fatto di intuizione, fatto di guardarsi da lontano senza conoscersi. E allora noi siamo qua perché si crea quel movimento siamo stati portati qua da tutto quel movimento. Il 18 settembre ci ritroviamo a collegarci ai lavoratori e alle lavoratrici dello spettacolo che erano stati devastati durante la pandemia, ecc. Noi quel movimento l’abbiamo chiamato ce lo siamo meritato, è il risultato di tutti gli sforzi comuni perché quel movimento esistesse.

Una volta che sfondiamo ci troviamo in una posizione di forza ma anche in una posizione di debolezza. Ci chiediamo: perché un paese con 3 milioni di precari e un milione di posti di lavoro persi durante la pandemia, a cui si aggiunge il lavoro nero, partite IVA finte o vere che siano, dovrebbe solidarizzare con 400 lavoratori metalmeccanici della Piana Fiorentina? Si sono mobilitati perché noi hanno fatto tanti scioperi di solidarietà. Adesso si tratta del nostro posto di lavoro. Con quale arroganza tu pretendi che gli altri si mobilitano per il tuo posto di lavoro se il tuo posto di lavoro non è un elemento di riscatto sociale per tutti. Quindi diciamo: insorgiamo! Insorgiamo vuol dire che la nostra vicenda deve essere sociale. E diciamo anche un’altra cosa: guardate non ci prendiamo in giro, i rapporti di forza sono sfavorevoli, sono devastanti e la controparte ha costruito leggi contro di noi, ha costruito tecniche di rassegnazione, la controparte ha sbaragliato tante altre aziende. Noi siamo figli della sconfitta della Fiat dell’ottanta e ora in 400 vogliamo invertire quella sconfitta, ci rendiamo conto quant’è difficoltoso questo compito? Sarebbe necessario non uno sciopero, non un presidio, non un corteo, ma un’insurrezione di fatto, un ribaltamento completo del paese, dei rapporti di forza, dell’ideologia dominante, per come noi ci approcciamo a salvaguardia di una fabbrica e come noi ci approcciamo alla questione ambientale. E poi c’è un’altra storia, quella di tutti coloro che stanno portando solidarietà con una convergenza attiva fatta di venire al corteo, ai turni, al presidio, portarci da mangiare, darci i soldi per la cassa di resistenza. Una convergenza di intelligenza direi eccezionale. Il nostro licenziamento è il disimpegno di Stellantis, è il ricatto tra lavoro e ambiente; vengono a dire che noi stiamo perdendo il posto di lavoro per via della transizione auto elettrica, quando questo è tutt’altro che una transizione ambientale.

Poi nella lotta siamo anche costretti a essere persone differenti. Si difendono le nostre famiglie ma non in senso familistico, non come cellule singole dove spesso si annidano violenza e sopruso. ma come un unica famiglia allargata. E abbiamo bisogno anche di una cultura diversa, del rapporto nuovo tra noi, le compagne, il territorio, abbiamo bisogno di un mondo nuovo. E ovviamente noi come operai possiamo immaginare, possiamo portare la nostra parte sull’organizzazione del lavoro, su come dirigeremo la fabbrica, ne siamo capaci e l’abbiamo dimostrato di fatto per sei mesi, e tutt’oggi autogestiamo la fabbrica; avessimo avuto il lavoro avremmo autogestito anche il lavoro avendo le commesse, abbiamo gestito senza le guardie i turni, la manutenzione e anche la parte covid.

Abbiamo bisogno che si sviluppi contemporaneamente la radicalità classista di tanti altre intelligenze, dei movimenti ambientalista più radicali che nel legame lavoro/ambiente hanno assunto la parola d’ordine della riduzione dell’orario di lavoro, delle organizzazioni politiche che hanno dato una mano a stendere la legge, dei lavoratori e lavoratrici e dello spettacolo, un settore ad altissimo sfruttamento, che con i loro disegni belli che ridisegnano completamente il paese, del movimento studentesco – il 20 novembre si è tenuta a Firenze la prima manifestazione unitario a studenti e lavoratori da noi fortemente ricercata, il 30 ottobre alla manifestazione contro il G20 andiamo con 12 pullman a prendere contatto con le compagne e i compagni ribelli, con altre reti ambientaliste e le lotte per la casa, ecc.

Il 5 dicembre facciamo assemblea in fabbrica in cui diciamo che a questo punto rompiamo gli indugi. Facciamo un accordo sindacale, ma lo socializziamo, diciamo diteci se stiamo sbagliando, ci fate un favore se ci criticate in termini costruttivi, perché non ci possiamo salvare da soli. Per esempio. quell’accordo ha uno svantaggio: leva Gkn dal settore Automotive. Il punto non è che noi siamo affezionati al settore Automotive, è che leva una punta di lotta avanzata da un settore dove lavorano al massacro sociale, paradossalmente l’accordo avanzato potrebbe essere la croce sulla Bosch potrebbe essere la croce su altre cose perché un altro tipo di movimento avrebbe dovuto dire no! teniamo la produzione dei semiassi di Gkn e la colleghiamo all’industria dell’auto allo stabilimento più bistrattato al sud. Avete i fondi del pnnr, discutiamo come si ricostruisce un polo pubblico sostenibile che rivoluziona la mobilità in senso veramente ambientale. Ovviamente per fare questo ci vuole lo Stato, e qui piccolo problema: se noi avessimo detto “nazionalizzazione” che cosa avrebbe evocato la nazionalizzazione? Saremmo stati di fronte ad un’ulteriore difficoltà di dire che quando parliamo di nazionalizzazione non intendiamo quello che e’ avvenuto al Monte dei Paschi di Siena, perchè questo Stato burocratico non risolve mai i problemi. Il tipo di nazionalizzazione che vogliamo deriva dalla crescita della mobilitazione sul territorio…

La classe operaia per essere classe dirigente deve fare blocco sociale, rivendicare una situazione che deve essere per sé e per gli altri. Se arrivasse il “genio della lampada” e mi dicesse che io perdendo il mio posto di lavoro darei a mio figlio un ambiente sostenibile, senza guerre per l’acqua, senza pandemie che sono il risultato della distruzione ambientale, ma io rinuncerei subito al mio posto di lavoro! Ma io sono sicuro che io lavoro non per un avanzamento ambientale, vogliono distruggere la mia capacità di lotta sociale. Questo Stato quando parla di ambiente in realtà vuole portare in un altro paese le produzioni inquinanti e lì inquinare più e peggio di prima. Questa è purtroppo la partita che si sta giocando sulla questione ambientale.

Il 26 marzo è una data difficile, complessa una data in cui proviamo a porre fine a un peccato originale, che ci siamo mobilitati solo quando è toccato a noi. Il 26 marzo noi siamo a rischio perché siamo sotto logoramento, stiamo perdendo colleghi di lavoro che se ne stanno andando. Ma siamo a rischio come tutti quanti, non c’è un emergenza particolare in Gkn. Il 26 marzo non è come il 18settembre, il 26 marzo è una mobilitazione di fuori del lavoro e per questo più difficile e complessa. Non ci sarà la popolazione di Firenze che come quel 18 settembre ci sventolava i foulard rossi e si metteva alla finestra perché è più difficile da spiegare la fase attuale, ma l’affrontiamo con serenità.

Non è una manifestazione dove chiediamo di togliere le bandiere; ogni storia diversa. Noi abbiamo abbiamo trovato un collettivo di fabbrica e capisco che i compagni e le compagne che hanno scelto altro e portano avanti la loro mobilitazione con tutte le bandiere. Esistono divisioni tra di noi che sono nobili che sono da discutere e che hanno bisogno per non essere grottesche di ricostruirsi e il 26 marzo ricostruisce uno spazio.

Concludo sul tema che abbiamo affrontato poco in altre lotte ma che non affrontare qua saprebbe di deficienza. Noi non siamo opportunisti di fronte alle difficoltà. Allora voglio raccontare come noi abbiamo vissuto il tema del green pass. In precedenza non ci siamo espressi sul tema, perché non abbiamo avuto bisogno di farlo perché ci licenziano quel 9 luglio. C’era la questione vaccinazione, non ne abbiamo discusso per rispetto verso i colleghi. Avevamo paura di un focolaio perchè stavamo appiccicati da 6 mesi, ma ci siamo presi il nostro tempo per discutere. Quando è iniziata la questione green pass, per entrare in fabbrica al presidio all’interno non abbiamo mai chiesto il green pass. Se fossimo stati aperti avremmo scioperato al momento dell’ introduzione del green pass perché avremmo trovato barbarico, non è nostra costume, che sulla sicurezza sul lavoro la sorveglianza sanitaria sia fatta dal governo. Si può discutere sull’ingresso nei ristoranti ma l’entrata sul lavoro, la sorveglianza sanitaria, testo unico sulla sicurezza alla mano, deve essere a carico del datore di lavoro e nel rispetto della privacy del lavoratore. Quindi avremmo difeso quel principio come hanno fatto quei compagni antifascisti di Genova del collettivo autonomi portuali che hanno scioperato. Abbiamo guardato con rispetto al dibattito che si è sviluppato con i compagni e le compagne ma ancora dobbiamo discutere. Punto primo dobbiamo uscire dalla logica divisiva dei movimenti no green pass come si sono delineati all’interno del Paese. Qualsiasi movimento faccia di questo un tema che si contrappone alla piattaforma sociale fa un danno a se stesso prima di tutto , non aiuta a ricondurre a una discussione più complessiva. Abbiamo un 10% di non vaccinati tra noi, c’è una totale comunanza di vedute che abbiamo costruito prendendoci cura uno dell’altro; abbiamo realizzato un sistema autogestito di tamponi e abbiamo evitato in questi mesi la quarta ondata. Noi abbiamo bisogno di fare questa discussione sulla vaccinazione, sulla cura, sulla salute, ma al nostro interno. Non vogliamo che in nessun modo subentri in questa discussione chi, come la Confindustria che a Bergamo ha mandato al macello migliaia di persone nel 2020, non ha diritto di parlare, è squalificata. Uno Stato che copre la Terra dei Fuochi o ti mette nella condizione di aspettare mesi e mesi per una ecografia non ha diritto e credibilità per fare questa discussione sulla salute pubblica che invece deve essere fatta all’interno del movimento. Chi oggi muove questa tematica crea diffidenza e rifiuto in un settore della popolazione che può avere torto o ragione; ma se vogliamo veramente distruggere la pandemia dobbiamo chiedere la distribuzione gratuita dei vaccini, dobbiamo chiedere una riforma della sanità pubblica, solo così si avanza sul tema dei vaccini e si impedisce che un settore della popolazione giustamente nutra una diffidenza che non può essere fugata da uno Stato di questo tipo, e cercare metodi coercitivi ci porterà soltanto a creare elementi di irrazionalità crescente verso ciò che è la salute. e noi non ce lo possiamo permettere.

Tornando al 26 marzo e alla sua piattaforma, abbiamo un metodo poco ortodosso, crediamo che la piattaforma la scriverete voi, in un circolo virtuoso di partecipazione. Noi sappiamo quale è la nostra piattaforma: la nazionalizzazione, il polo unico della mobilità sostenibile, ecc; quale la piattaforma dei lavoratori dello spettacolo devono scriverla loro, il movimento studentesco ha la piattaforma… La piattaforma si scrive con la partecipazione, punto dopo punto.

Il 26 non è una data alternativa ad altre; per cui ben venga il 18 febbraio, fondamentale l’otto marzo, ecc. Il 26 marzo sublima i rapporti di forza e fa sì che non siano a se stanti in una legittima resistenza che rischia di essere testimoniale. Ci hanno chiesto se sarà contro il governo, a questa domanda noi rispondiamo si e no; siamo contro questo o quello governo, voltiamo letteralmente le spalle a questo sistema. Faremo un minuto di silenzio per i compagni persi, un nostro lavoratore è venuto a mancare in un incidente giorni fa. Un minuto di silenzio per espellere tutto il chiacchiericcio nocivo che ci hanno messo nella testa, quel bla bla che ha travolto anche le nostre reti classiste sindacali, che spesso ci ha diviso sul nulla.

Noi siamo soli una fabbrica non possiamo garantire un organico che sia fatto bene, perfetto. Non possiamo garantire nulla, ve la venite a prendere voi se volete quella manifestazione, se avete le forze. Non possiamo scrivere ordinatamente quello che sarà il futuro, possiamo regalarci insieme quello che sarà il 26 marzo uniti. E non è poca cosa.

 

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