BARI - Ci sono sostanziali differenze tra quanto accaduto a Torino al processo Eternit con la dichiarazione di prescrizione del reato di disastro ambientale da parte della Corte di Cassazione e quanto accaduto altrove. A Bari, città che di fatto è stata l'avamposto tra gli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio (anche se i media nazionali continuano a far finta di non saperlo) dei procedimenti penali riguardanti le vittime della fibra killer, il reato contestato ai dirigenti della Fibronit non è stato disastro colposo, ma omicidio colposo.
Le sentenze di Bari sono finora passate in giudicato indenni anche
all'esame della Cassazione. Questo a causa del diverso termine di
prescrizione. Ovviamente più lungo per l'omicidio.Le azioni giudiziarie
baresi, in qualche maniera processi pilota in Italia, non hanno avuto la
stessa eco di quanta ne sia invece scaturita da una sola delle udienze
andate in scena al tribunale di Torino. Questo probabilmente perché, nei
procedimenti aperti dal procuratore piemontese, Raffaele Guariniello,
ciò che ha fatto davvero clamore non è stato il mero risvolto penale
della vicenda giudiziaria, quanto il colossale risarcimento riconosciuto
alle famiglie a margine delle condanne comminate ai magnati svizzeri
dell'amianto di Eternit, società tuttora in attività lì dove l'amianto è
ancora legale.
A Bari, polemiche probabilmente ingenerose hanno accompagnato nei primi anni del Duemila la scelta del pubblico ministero barese, Ciro Angelillis, di concentrare le indagini non già sull'esposizione generalizzata alle fibre di amianto ma su un numero limitato di casi (dodici) di morte per le complicanze legate all'asbestosi, malattia tipica dei lavoratori dell'amianto, degli ex operai della Fibronit. Le sentenze passate in giudicato dimostrano che quella fu la scelta più logica: furono scelti solo dodici casi di morte perché erano quelli più recenti e quindi più difficilmente si sarebbe potuti arrivare alla prescrizione del reato senza una decisione definitiva.
Poi il giudice, Francesca Romana Pirrelli, riconobbe su richiesta dello stesso Pm l'aggravante della colpa con previsione perché, a seguito di studi mirati sulla salubrità degli ambienti di lavoro, alla Fibronit era stata sollecitata l'adozione dei dispositivi di sicurezza individuale a tutela della salute dei lavoratori. Quindi i dirigenti aziendali e i responsabili dello stabilimento non potevano non essere a conoscenza dei rischi ai quali si andava incontro. Grazie all'aggravante, i tempi di prescrizione del reato di omicidio colposo si sono, come da codice, allungati. Il principio fissato in quella sentenza barese ritorna periodicamente in tutte le pronunce successive. I dirigenti della Fibronit, disse il giudice nel 2005, non fecero tutto ciò che era in loro potere per proteggere i lavoratori dall'azione cancerogena svolta dalle polveri contenenti amianto.
Successivamente, tale responsabilità per omessa adozione di presìdi di sicurezza è stata estesa anche alle morti tra la popolazione, semplici cittadini esposti inconsciamente alle polveri della Fibronit di Bari e ammalatisi del tumore tipico dell'amianto, chiamato tumore sentinella, il mesotelioma pleurico. Anche nella recente sentenza Ilva (ancora di primo grado però) per 27 operai morti a causa dell'amianto, è lo stesso il principio alla base della condanna, guarda caso per omicidio colposo. Nonostante tutto questo, la prescrizione nel processo Eternit fa notizia, il giudicato delle sentenze pugliesi no. Sarà perché, a differenza di Eternit, nel frattempo Fibronit è stata dichiarata fallita e l'unico imputato è un ottuagenario ex dirigente sopravvissuto. C'è davvero poco da chiedere in risarcimenti, a cui pure le famiglie e intere comunità segnate dall'amianto avrebbero diritto.
A Bari, polemiche probabilmente ingenerose hanno accompagnato nei primi anni del Duemila la scelta del pubblico ministero barese, Ciro Angelillis, di concentrare le indagini non già sull'esposizione generalizzata alle fibre di amianto ma su un numero limitato di casi (dodici) di morte per le complicanze legate all'asbestosi, malattia tipica dei lavoratori dell'amianto, degli ex operai della Fibronit. Le sentenze passate in giudicato dimostrano che quella fu la scelta più logica: furono scelti solo dodici casi di morte perché erano quelli più recenti e quindi più difficilmente si sarebbe potuti arrivare alla prescrizione del reato senza una decisione definitiva.
Poi il giudice, Francesca Romana Pirrelli, riconobbe su richiesta dello stesso Pm l'aggravante della colpa con previsione perché, a seguito di studi mirati sulla salubrità degli ambienti di lavoro, alla Fibronit era stata sollecitata l'adozione dei dispositivi di sicurezza individuale a tutela della salute dei lavoratori. Quindi i dirigenti aziendali e i responsabili dello stabilimento non potevano non essere a conoscenza dei rischi ai quali si andava incontro. Grazie all'aggravante, i tempi di prescrizione del reato di omicidio colposo si sono, come da codice, allungati. Il principio fissato in quella sentenza barese ritorna periodicamente in tutte le pronunce successive. I dirigenti della Fibronit, disse il giudice nel 2005, non fecero tutto ciò che era in loro potere per proteggere i lavoratori dall'azione cancerogena svolta dalle polveri contenenti amianto.
Successivamente, tale responsabilità per omessa adozione di presìdi di sicurezza è stata estesa anche alle morti tra la popolazione, semplici cittadini esposti inconsciamente alle polveri della Fibronit di Bari e ammalatisi del tumore tipico dell'amianto, chiamato tumore sentinella, il mesotelioma pleurico. Anche nella recente sentenza Ilva (ancora di primo grado però) per 27 operai morti a causa dell'amianto, è lo stesso il principio alla base della condanna, guarda caso per omicidio colposo. Nonostante tutto questo, la prescrizione nel processo Eternit fa notizia, il giudicato delle sentenze pugliesi no. Sarà perché, a differenza di Eternit, nel frattempo Fibronit è stata dichiarata fallita e l'unico imputato è un ottuagenario ex dirigente sopravvissuto. C'è davvero poco da chiedere in risarcimenti, a cui pure le famiglie e intere comunità segnate dall'amianto avrebbero diritto.
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