I punti del documento della Direzione generale per la concorrenza della Commissione europea indirizzati al governo italiano, riportati in questo articolo della Gazzetta del Mezzogiorno, sono significativi per vari aspetti.
Tanto per cominciare, dimostrano quello da noi subito denunciato appena era uscita la notizia dello sblocco, a favore di Ilva-Gnudi, da parte del Tribunale di Milano del milione e 200mila euro sequestrati ai Riva:
Primo, le espressione di soddisfazione fatte da varie parti erano fuori luogo, non peraltro perchè l'utilizzo effettivo di questa somma aveva davanti ancora vari ostacoli legali-burocratici, ora anche economici-politici; secondo, questi soldi erano di fatto un'aiuto all'Ilva (di cui comunque i Riva sono ancora proprietari), e nulla garantiva e garantisce che non venissero utilizzati da Gnudi per dare una boccata d'ossigeno alla normale attività produttiva dell'Ilva, ai suoi debiti, e non per risanare la fabbrica.
Inoltre il documento della Commissione dimostra che tutti i decreti fatti dai vari governi per l'Ilva sono stati, fino a quello dell'agosto scorso, solo un aiuto alla proprietà dell'Ilva, alla situazione produttiva aziendale e non certo un aiuto alla difesa della salute e del lavoro - anche questo noi come altre forze lo abbiamo denunciato più volte.
Lo Stato dando e gestendo i soldi sia quelli sequestrati, sia quelli del "prestito ponte" diventa di fatto un'azionista dell'Ilva, si sostituisce a padron Riva, invece di pretendere che "chi inquina, paghi".
Questo riguarda anche le bonifiche ambientali. Queste invece che coi soldi dei Riva, come sarebbe giusto, vengono finanziate dallo Stato che da un lato così favorisce i padroni, dall'altro avendo impiegato pochi fondi, non fa ancora le bonifiche previste e, quando sarà, le farà male.
La Commissione europea, poi, scopre ora potremmo dire "l'acqua calda", ciò che da tempo viene denunciato, vale a dire che l'Ilva, i governi con i loro commissari straordinari (prima Bondi, poi Gnudi) nulla hanno fatto per il risanamento degli impianti inquinanti e del territorio.
Detto questo, attenzione! Non è che ora la Commissione europea è improvvisamente dalla parte dei lavoratori, degli abitanti dei quartieri che chiedono il principio elementare: "chi inquina, paghi"...
La commissione europea parla in nome degli altri padroni europei dell'acciaio, e attacca lo Stato italiano perchè aiutando l'Ilva scombina le regole della concorrenza del sistema del capitale, droga la situazione dell'Ilva mettendo, quindi, in difficoltà gli altri padroni.
Infine. Che può comportare questo intervento della Ue per i lavoratori e gli abitanti di Taranto? Nulla di buono, se non ancora passi indietro, ritardi, rischi sulla difesa del lavoro e dei salari e sui tempi e modi delle bonifiche.
La sorte degli operai e della popolazione come non può essere difesa dallo Stato, nuovi padroni, e governo italiano; così non può trovare giustizia dalla Commissione europea. Nessuno può e deve alimentare illusioni.
Ilva, entro 15 giorni 5 risposte alla UE
di Mimmo Mazza
TARANTO - L’ultimatum scadrà il 20 novembre... le otto pagine inviate dalla direzione generale per la concorrenza della Commissione europea al Governo italiano lasciano intravedere foschi scenari per l’Ilva di Taranto...
(La commissione) mette in serio dubbio tutta la successione di decreti e provvedimenti che i governi Monti-Letta-Renzi hanno varato negli ultimi due anni per cercare di dare una prospettiva allo stabilimento siderurgico di Taranto, ai suoi 20mila addetti, al settore manifatturiero italiano, pur al cospetto di una perizia che ha definito quell’acciaieria fonte di malattie e morte per operai e cittadini.
Sono cinque i quesiti ai quali la Commissione Europea pretende risposte. Il primo riguarda la situazione finanziaria dell’Ilva. Il Governo Renzi aveva già scritto alla commissione, sostenendo che l’Ilva non poteva essere considerata come una impresa in difficoltà, ma da Bruxelles scrivono che i dati forniti a sostegno di tale tesi sono insufficienti e per dunque si sollecita la consegna di bilanci e documenti riguardanti gli anni 2012-2013-2014. Poi c’è il capitolo della responsabilità ambientale, sul quale la Commissione addirittura chiede una lista dettagliata di tutti i provvedimenti autorizzativi in materia ambientale violati dall’Ilva dal 1996 a oggi, alla luce del principio «chi inquina paga». La commissione chiede atti, sentenze, rinvi a giudizio e tutta la documentazione giudiziaria riguardante lo stabilimento di Taranto, chiedendo inoltre di quale connessione ci sia tra l’inquinamento contestato con sentenza della Cassazione nel 2005 e l’inquinamento attuale. Viene, poi, sollecitata copia del piano industriale dell’Ilva dopo la nomina del commissario Piero Gnudi - piano industriale in realtà ancora non redatto - e una relazione su tutte le azioni prese.
Poi vengono i nodi economici, assai complicati da sciogliere. La Commissione europea, che scrive qualche giorno prima il gip di Milano disponga il trasferimento di un miliardo e 200 milioni di euro sequestrati ai fratelli Riva per frode fiscale nel capitale sociale dell’azienda, contesta la disposizione normativa che lo permette, arrivando a sostenere che «a seguito del trasferimento delle somme, lo Stato italiano diventerà azionista di Ilva»: e quel diventerà, appunto, è stato scritto a trasferimento non ancora autorizzato. A tal proposito, Bruxelles pone due domande a dir poco imbarazzanti: «per quale motivo somme depositate presso un fondo statale e amministrate da un soggetto pubblico (Equitalia giustizia, ndr) non rappresentino risorse statali? E perché il loro trasferimento ad Ilva in ottemperanza ad un atto normativo (il decreto legge Ilva-Terra dei fuochi dell’agosto 2014, ndr) non sia imputabile allo Stato?»
Quindi c’è la questione riguardante il prestito ponte, in due tranche da 125 milioni di euro l’una, contratto dal commissario Gnudi con un pool di banche per garantire il pagamento degli stipendi e dei fornitori. La Commissione europea ritiene infatti che avendo considerato quel prestito prededucibile (ovvero a pagamento prioritario in caso di insolvenza) sia da considerare aiuto di Stato per il rischio che lo Stato ha in termine di potenziale riduzione della possibilità di soddisfacimento di eventuali crediti nei confronti dell’Ilva in caso di fallimento. E a dimostrare il coinvolgimento dello Stato nella pratica del prestito ponte, la Commissione europea cita riunioni svoltesi al ministero dello Sviluppo Economico con gli enti locali per stabilire la priorietà da dare ai pagamenti dei debiti Ilva dopo l’ottenimento dei prestiti ponte.
L’ultimo quesito riguarda l’ambiente. La Commissione europea alla luce del protocollo sottoscritto nell’estate del 2012 tra Governo e enti locali per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione, contesta il fatto che tale interventi, fatti per riparare i danni provocati dall’inquinamento prodotto dall’Ilva, siano finanziati dallo Stato. «La Commissione è dell’avviso - si legge nella lettera - che gli interventi di bonifica previsti dal protocollo, sebbene non effettuati sull’area dove insiste lo stabilimento dell’Ilva, sono intesi a bonificare aree adiacenti che risultano altamente inquinate direttamente a causa di Ilva».
TARANTO - L’ultimatum scadrà il 20 novembre... le otto pagine inviate dalla direzione generale per la concorrenza della Commissione europea al Governo italiano lasciano intravedere foschi scenari per l’Ilva di Taranto...
(La commissione) mette in serio dubbio tutta la successione di decreti e provvedimenti che i governi Monti-Letta-Renzi hanno varato negli ultimi due anni per cercare di dare una prospettiva allo stabilimento siderurgico di Taranto, ai suoi 20mila addetti, al settore manifatturiero italiano, pur al cospetto di una perizia che ha definito quell’acciaieria fonte di malattie e morte per operai e cittadini.
Sono cinque i quesiti ai quali la Commissione Europea pretende risposte. Il primo riguarda la situazione finanziaria dell’Ilva. Il Governo Renzi aveva già scritto alla commissione, sostenendo che l’Ilva non poteva essere considerata come una impresa in difficoltà, ma da Bruxelles scrivono che i dati forniti a sostegno di tale tesi sono insufficienti e per dunque si sollecita la consegna di bilanci e documenti riguardanti gli anni 2012-2013-2014. Poi c’è il capitolo della responsabilità ambientale, sul quale la Commissione addirittura chiede una lista dettagliata di tutti i provvedimenti autorizzativi in materia ambientale violati dall’Ilva dal 1996 a oggi, alla luce del principio «chi inquina paga». La commissione chiede atti, sentenze, rinvi a giudizio e tutta la documentazione giudiziaria riguardante lo stabilimento di Taranto, chiedendo inoltre di quale connessione ci sia tra l’inquinamento contestato con sentenza della Cassazione nel 2005 e l’inquinamento attuale. Viene, poi, sollecitata copia del piano industriale dell’Ilva dopo la nomina del commissario Piero Gnudi - piano industriale in realtà ancora non redatto - e una relazione su tutte le azioni prese.
Poi vengono i nodi economici, assai complicati da sciogliere. La Commissione europea, che scrive qualche giorno prima il gip di Milano disponga il trasferimento di un miliardo e 200 milioni di euro sequestrati ai fratelli Riva per frode fiscale nel capitale sociale dell’azienda, contesta la disposizione normativa che lo permette, arrivando a sostenere che «a seguito del trasferimento delle somme, lo Stato italiano diventerà azionista di Ilva»: e quel diventerà, appunto, è stato scritto a trasferimento non ancora autorizzato. A tal proposito, Bruxelles pone due domande a dir poco imbarazzanti: «per quale motivo somme depositate presso un fondo statale e amministrate da un soggetto pubblico (Equitalia giustizia, ndr) non rappresentino risorse statali? E perché il loro trasferimento ad Ilva in ottemperanza ad un atto normativo (il decreto legge Ilva-Terra dei fuochi dell’agosto 2014, ndr) non sia imputabile allo Stato?»
Quindi c’è la questione riguardante il prestito ponte, in due tranche da 125 milioni di euro l’una, contratto dal commissario Gnudi con un pool di banche per garantire il pagamento degli stipendi e dei fornitori. La Commissione europea ritiene infatti che avendo considerato quel prestito prededucibile (ovvero a pagamento prioritario in caso di insolvenza) sia da considerare aiuto di Stato per il rischio che lo Stato ha in termine di potenziale riduzione della possibilità di soddisfacimento di eventuali crediti nei confronti dell’Ilva in caso di fallimento. E a dimostrare il coinvolgimento dello Stato nella pratica del prestito ponte, la Commissione europea cita riunioni svoltesi al ministero dello Sviluppo Economico con gli enti locali per stabilire la priorietà da dare ai pagamenti dei debiti Ilva dopo l’ottenimento dei prestiti ponte.
L’ultimo quesito riguarda l’ambiente. La Commissione europea alla luce del protocollo sottoscritto nell’estate del 2012 tra Governo e enti locali per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione, contesta il fatto che tale interventi, fatti per riparare i danni provocati dall’inquinamento prodotto dall’Ilva, siano finanziati dallo Stato. «La Commissione è dell’avviso - si legge nella lettera - che gli interventi di bonifica previsti dal protocollo, sebbene non effettuati sull’area dove insiste lo stabilimento dell’Ilva, sono intesi a bonificare aree adiacenti che risultano altamente inquinate direttamente a causa di Ilva».
Nessun commento:
Posta un commento