Una lettrice della Formazione operaia ci ha posto queste domande, aggiungendo:
"Io penso che contrariamente a quello che
si può pensare, il salario non è esattamente un compenso economico
per il lavoro effettuato dall'operaio, ma bensì l'equivalente
dell'affitto della forza lavoro deciso esclusivamente dal
capitalista.
Il capitalista per produrre
un qualsiasi prodotto impiega un dato numero di operai che vengono
pagati al prezzo che lo stesso capitalista impone, avendo anzitempo
anche deciso il prezzo del prodotto da
vendere, quindi, sostanzialmente, la differenza tra il prodotto venduto
e il lavoro per produrlo crea il plusvalore.
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Prima questione. Cos'è il salario? E' il valore della forza-lavoro. Come dice Marx ed Engels la forza-lavoro dell'operaio è una merce come tutte le altre. L'operaio "ha bisogno
di una determinata somma di mezzi di sostentamento per la propria
esistenza e per la conservazione della propria famiglia, che assicura la
continuità della forza-lavoro anche dopo la sua morte. Il tempo di
lavoro necessario alla produzione di questi mezzi di sostentamento
rappresenta perciò il valore della forza-lavoro".
Quindi, è vero che il salario non è "un compenso economico per il lavoro effettuato dall'operaio", perchè il salario non è una parte del lavoro: cosa ha prodotto, quanto vale il suo lavoro, non è cosa che deve interessare l'operaio; i valori prodotti dagli operai non appartengono agli operai ma al capitalista; l'operaio è stato pagato sulla base dei costi di produzione della sua forza lavoro, del tempo di lavoro, socialmente necessario, per produrre questa merce, forza-lavoro e non ha altro da "pretendere". Se è così, introdurre la parola "esattamente" ("non è esattamente un compenso..."), è sbagliato perchè lascia sempre spazio al concetto che comunque il salario è anche un 'compenso legato al lavoro effettuato'.
Invece non è vera la frase successiva: (il salario è) "l'equivalente dell'affitto della forza-lavoro deciso esclusivamente dal capitalista". Per due ragioni: Primo, il capitalista non "affitta" la forza-lavoro, ma l'acquista per una settimana, un mese... e l'operaio di conseguenza la vende, non la dà in affitto; a fronte di questa vendita/acquisto l'operaio per un giorno, una settimana, un mese, un anno, non è più proprietario della sua forza-lavoro, mentre lo è il capitalista. Secondo, quanto paga il padrone all'operaio non è "deciso esclusivamente dal capitalista", non dipende dalla volontà del capitalista, dal fatto se è magnanimo o avaro; altrimenti il, salario dipenderebbe dalla "moralità" dei padroni...
Come quando compra una merce qualsiasi non è chi la compra che ne decide il prezzo, anche quando il capitalista compra la merce forza-lavoro non è lui a deciderne il prezzo, dato che, come abbiamo visto prima, esso è determinato dal costo di produzione dei mezzi di sostentamento necessari all'operaio.
Certo, il capitalista cerca anche di pagare un salario inferiore a quello dovuto, e per questo usa vari mezzi che poi vedremo, ma le oscillazioni del salario, in meno e in più avvengono sempre intorno al costo della merce forza-lavoro socialmente determinato.
Questo concetto sbagliato di volontà, quasi arbitrio del capitalista ritorna nell'altra frase della lettrice: "il capitalista per produrre un qualsiasi prodotto impiega un dato numero di operai che vengono pagati al prezzo che lo stesso capitalista impone" - come ritorna l'altro concetto sbagliato, quello di legare il salario al prezzo della merce: "avendo anzitempo anche deciso il prezzo del prodotto da vendere"; su quest'ultimo aspetto aggiungiamo che neanche il prezzo del prodotto da vendere è deciso dal capitalista, ma dal suo costo di produzione.
Seconda questione. La lettrice scrive: "la differenza tra il prodotto venduto e il lavoro per produrlo crea il plusvalore".
Il capitalista realizza il plusvalore dal pluslavoro che fa l'operaio. Il plusvalore non avviene con la vendita del prodotto, esso è precedente, esso avviene nella produzione. Tant'è che, soprattutto nei periodi di crisi, la merce può rimanere invenduta, ma non per questo il pluslavoro dell'operaio non ha già aggiunto più valore al prodotto. Riportiamo, un passo di Engels:
”... che cosa avviene dopo che l’operaio ha venduto al capitalista la sua forza lavoro, cioè dopo che l’ha posta a sua disposizione, per un salario convenuto? Il capitalista conduce l’operaio nella sua officina o fabbrica, dove già si trovano tutti gli oggetti necessari per il lavoro, le materie prime, le materie ausiliarie... gli utensili, le macchine. E qui l’operaio comincia a sgobbare. Supponiamo che... con il suo lavoro di dodici ore l’operaio aggiunga alla materia prima impiegata un nuovo valore di sei marchi, un nuovo valore che il capitalista realizzerà con la vendita del pezzo finito. Di questo importo egli paga all’operaio tre marchi, e gli altri tre se li tiene per sè. Se l’operaio produce in dodici ore un valore di sei marchi, in sei ore produce un valore di tre marchi. Quindi dopo aver lavorato sei ore egli ha già restituito al capitalista l’equivalente di tre marchi, ricevuti come salario. Dopo sei ore di lavoro, tutti e due sono pari; nessuno dei due deve più un soldo all’altro.
“Un momento! - esclama ora il capitalista - io ho noleggiato l’operaio per un giorno intero, per dodici ore. Sei ore non sono che una mezza giornata. Avanti dunque, al lavoro, fino a che anche le altre sei ore siano passate. Solo allora saremo pari!” E in realtà l’operaio deve attenersi al suo contratto “liberamente” concluso, con il quale si impegna a lavorare dodici ore intere, per un prodotto di lavoro che costa sei ore...
...la forza lavoro è una merce, una merce come ogni altra, ma ciò nonostante una merce tutta affatto speciale. Essa ha cioè la proprietà specifica di essere forza produttrice di valore, di essere fonte di valore...".
(I "GIOVEDI' ROSSI" RIPRENDONO IL 16 APRILE)
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