2° parte del capitolo 7°:
"L'imperialismo, particolare stadio del capitalismo".
Lenin approfondisce l'analisi delle posizioni erronee di Kausky, in particolare la sua riduzione dell'imperialismo all'espansione del capitale industriale, all'occupazione di territori agrari, di quelli che sono le potenziali colonie; e quindi, la sua riduzione sostanzialmente ad una politica di annessione, e, ancora, a ridurre l'imperialismo alla questione nazionale dei paesi, per così dire, annessi.
Per questo Lenin è costretto a ribadire che lo stato di sviluppo del capitalismo, il dominio del capitale finanziario, è la base economica dell'imperialismo.
Così come, evidentemente, non è semplicemente di territori agrari che si “nutrono” gli imperialismi, ma, dice Lenin: “Esso ha smania di mettere mano anche su paesi fortemente industriali”. E, peraltro,
il mondo è stato già spartito e oggi ancor più.Così come, evidentemente, non è semplicemente di territori agrari che si “nutrono” gli imperialismi, ma, dice Lenin: “Esso ha smania di mettere mano anche su paesi fortemente industriali”. E, peraltro,
Nella fase dell'imperialismo quella in corso è una costante “nuova spartizione” che comprende la lotta delle grandi potenze per l'egemonia, in cui è in discussione non solo il proprio dominio ma anche minare e indebolire il dominio e l'egemonia degli imperialismi avversari.
In questo senso Lenin dice che perfino la definizione dell'imperialismo del social-liberale Hobson è più corretta e avanzata. Hobson, infatti, parla di nuovo imperialismo “che si distingue dall'antico in primo luogo per il fatto di aver sostituito alle tendenze di un solo impero in continua espansione la teoria e prassi di imperi galleggianti, ciascuno dei quali è mosso dagli stessi avidi desideri di espansione politica e di vantaggi commerciali; in secondo luogo per il dominio degli interessi finanziari, ossia degli interessi che si riferiscono al collocamento di capitale sugli interessi commerciali” (capitale eccedente). Quindi, dice Lenin, Hobson ha chiaro che siamo di fronte alla concorrenza di diversi imperialismi, di prevalenza del “finanziere sul commerciante”, Kautsky, invece, è attardato alla “annessione di territori agricoli per opera di Stati industriali”.
Ma Lenin insiste, perchè non si tratta tanto di un problema di definizioni corrette, quanto di conseguenze teoriche, politiche e pratiche di queste differenze.
I riformisti alla Kautsky coprono nella sostanza la natura effettiva dell'imperialismo, riducendola ad una politica sbagliata di annessione di territori.
“L'essenziale – dice Lenin – è che Kautsky separa la politica dell'imperialismo dalla sua economia, interpretando le annessioni come la politica preferita del capitale finanziario”.
Parlando in questi termini è evidente come Kautsky, e con lui tutti i riformisti di oggi, ritiene possibile un'altra politica borghese sulla stessa base del capitale finanziario, senza violenza e senza annessioni.
Parlando in questi termini è evidente come Kautsky, e con lui tutti i riformisti di oggi, ritiene possibile un'altra politica borghese sulla stessa base del capitale finanziario, senza violenza e senza annessioni.
Vale a dire, un imperialismo senza guerre; vale a dire che se un paese imperialista non fa annessioni non sarebbe imperialista; vale a dire, la concorrenza tra i maggiori Stati capitalisti sarebbe compatibile con una politica non imperialista.
Giustamente Lenin conclude “In tal guisa si velano e attutiscono i fondamentali contrasti che esistono in sebo al recentissimo stadio del capitalismo, in luogo di svelarne la profondità”.
Lenin per rendere ancora più chiaro quanto sia importante la critica alle teorie di Kautsky, esamina la polemica con un sostenitore aperto dell'imperialismo, Cunow, che dice, dato che “l'imperialismo è il moderno capitalismo; lo sviluppo del capitalismo è inevitabile e progressivo, dunque l'imperialismo è progressivo, e si deve strisciare servilmente davanti ad esso ed esaltarlo”.
(La distanza di un secolo da questa affermazione davvero non si sente, tutti gli attuali sostenitori dell'imperialismo, della sua economia, della sua politica, sostengono la stessa cosa. Teorie riprese, peraltro, nella versione più recente della “globalizzazione”, anch'essa ritenuta inevitabile e progressiva - ndr).
Ai Cunow di ieri e di oggi, i Kautsky di ieri e di oggi rispondono: “No, l'imperialismo non è il capitalismo moderno, ma semplicemente una forma della politica del moderno capitalismo”, e, quindi, noi possiamo e dobbiamo cambiare questa politica.
E' lo stesso discorso fatto rispetto alla globalizzazione: la globalizzazione imperialista non è la natura del mondo d'oggi ma una politica dei potenti di oggi. Politica che bisogna contrastare e cambiare.
E' inutile dire come queste posizioni siano state smentite dai fatti negli oltre 100 anni di esistenza dell'imperialismo, e come sia stato smentito dai fatti ogni tentativo di dare un segno diverso alla globalizzazione.
Queste posizioni alla Kautsky – dice Lenin - non sono che “una più raffinata e coperta (e perciò più pericolosa) propaganda per la conciliazione con l'imperialismo”. E' banalmente la teoria della possibilità di esistenza di un “imperialismo buono”. E i riformisti prima chiedono agli imperialisti di essere buoni e poi si riducono a propagandisti dell'”imperialismo buono”.
C'è un'altra variante di questa posizione che Lenin affronta. Quella che afferma che gli imperialisti invece di farsi la guerra, come è nella realtà, si debbano unire per lo “sfruttamento collettivo del mondo ad opera del capitale finanziario internazionalmente coalizzato”. Si tratta, in realtà, della teoria dell'”ultra-imperialismo”, che oggi vive anche nella forma dell'unicità del dominio imperialista, rappresentato dal dominio unico dell'imperialismo Usa.
Lenin qui esamina soprattutto quanto sia sciocca questa visione che è un'astrazione dal processo reale a cui si contrappone una visione pacificata di esso. L'essenza dell'imperialismo, dice Lenin, portando dentro tutta l'analisi del capitale di Marx, è fondata sulle contraddizioni, sulle sperequazioni, che lungi da attutire, acuiscono la contesa nel sistema imperialista.
A questo va aggiunto, diciamo noi, che se l'imperialismo si riduce a dominio dell'imperialismo Usa, si copre e si attutisce la natura imperialista di tutti gli altri paesi imperialisti.
Gli analisti seri, allora come adesso, invece, guardano dentro il sistema imperialista, dentro il mondo, e analizzano le sfere economiche di esso e di come queste influiscano nelle contraddizioni tra paesi imperialisti.
A questa distinzione e contesa tra paesi imperialisti appartiene la natura stessa di questa contesa e la centralità che assumono alcuni nodi dell'economia mondiale da cui dipendono i rapporti di forza tra imperialismi – vedi il ruolo che hanno le materie prime, il petrolio, la lotta sugli accessi alle varie sfere del mercato mondiale.
Questo permette a Lenin di chiarire che il sistema mondiale è caratterizzato da immense varietà di condizioni politiche ed economiche, di sproporzione dello sviluppo dei diversi paesi, ecc. e che tutto questo origina “una lotta furiosa tra gli Stati imperialisti”, altro che “la stupida favola kautskiana del “pacifico” ultra-imperialismo”.
Lenin va a fondo in questa critica, mettendo in rilievo che nell'analisi dei Kautsky, di ieri e di oggi, c'è la speranza “il tentativo reazionario di un piccolo borghese impaurito per sfuggire alla tempestosa realtà”; di pensare a una gestione pacifica, o ad una ripartizione pacifica del mondo, quando, invece, l'essenza del mondo sono i rapporti di forza che vanno modificandosi in maniera niente affatto pacifica.
Nella stessa maniera Lenin afferma che “il capitale finanziario e il trust acuiscono, non attenuano, le differenze nella rapidità di sviluppo dei diversi elementi dell'economia mondiale”.
Questo è un concetto importante che combatte ogni visione lineare e pacifica di un cammino dello sviluppo capitalistico o di un'economia imperialista, possibile senza scontro, senza la guerra diretta o indiretta di ripartizione.
Lenin non è sostenitore di un mondo immobile. La sua analisi dell'imperialismo non fotografa e cristallizza la disposizione dei paesi del mondo in un assetto statico. Anzi, guarda dentro il sistema imperialista nel suo lato dinamico e in mutamento che ne alimenta le contraddizioni e la contesa. Se l'immagine del mondo fosse quella di una situazione statica e cristallizzata, come si evidenzierebbe e produrrebbe la necessità di una nuova ripartizione, che trova le sue ragioni proprio nel determinarsi di potenze in discesa e potenze in ascesa?
Lenin, quindi, conclude “quale altro mezzo esisteva, in regime capitalista, per eliminare la sproporzione tra lo sviluppo delle forze produttive e l'accumulazione di capitale da un lato, e dall'altro la ripartizione delle colonie e “sfere” d'influenza all'infuori della guerra?”.
Alla fine, sia la teoria riformista dell'imperialismo come una politica, sia la teoria dell'ultra-imperialismo, pur nella loro diversità arrivano alla stessa conclusione: la rimozione delle contraddizioni interimperialiste, la rimozione della necessità della tendenza alla guerra, e, come viene detto in un'altra pagina, “della tendenza alla violenza e alla reazione”.
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