Ma se i padroni dell'acciaio italiano sono preoccupati per i loro profitti messi a rischio dalla concorrenza, il governo Renzi sta portando ad una lenta chiusura senza alternative per lavoratori e popolazione
Gozzi, allarme d’acciaio “Burocrazia e rinvii frenano la vendita Ilva”
Il presidente di Federacciai: “Nei primi sette mesi del 2016 l’import di prodotti piani ha superato la produzione interna”
Sempre più “indiana” la corsa per la privatizzazione dell’Ilva. La discesa in campo del colosso Jindal a fianco della cordata italiana (Cdp Equity, Delfin e Arvedi) alza il livello di una competizione che vede in campo anche il gruppo Marcegaglia insieme al leader mondiale del settore siderurgico, la multinazionale francoindiana ArcelorMittal.
Ma in attesa di nuovi sviluppi, preoccupa il nuovo slittamento dei tempi previsti per la scelta del soggetto vincitore. E il presidente di Federacciai a capo del colosso europeo Duferco, Antonio Gozzi manifesta a Repubblica tutta la sua preoccupazione per questa nuova dilazione dei tempi. Non solo. Gozzi mette in guardia il sistema Italia con un dato per certi aspetti storico: per la prima volta nella storia industriale italiana, dal Dopoguerra a oggi, l’import di prodotti piani ha superato la produzione interna: 5,7 milioni di tonnellate contro poco più di 5.
«Questo allungamento dei tempi sulla cessione dell’Ilva ci preoccupa tantissimo — spiega il presidente di Federacciai — Non possiamo non augurarci che un gruppo di privati possa togliere l’Ilva da questo infausto commissariamento, ma se la dead line si allontana, tutto si complica. Penso agli impianti, alla produzione che non decolla, davvero una situazione difficile».
Gozzi invita a riflettere anche sul “sorpasso” dell’import dei prodotti piani sulla produzione interna: se il fenomeno si consolidasse sarebbe un segnale quanto mai preoccupante, perché significherebbe una progressiva marginalizzazione da un business in cui l’Italia è sempre stata ed è tuttora protagonista, costi più alti, ripercussioni sull’organizzazione del lavoro. Da ultimo, l’accusa per le difficoltà burocratiche e normative che rendono più difficile la sfida per l’Iva. «Siamo di fronte a un’operazione che per dimensione manageriale e finanziaria è enorme e non ha precedenti — chiude Gozzi — Per questo gli imprenditori dovrebbero essere messi nelle migliori condizioni possibili per affrontare questa sfida. E invece ogni giorno prevale l’incertezza delle norme».
In questo non certo semplice scenario, si innesta la competizione per l’Ilva, per cui si profila un affitto che dovrebbe poi diventare vendita.
Al suo posto, ecco arrivare la Jindal Steel & Power, che fa capo a Op Jindal Group, uno dei principali colossi industriali del Paese, con un fatturato di 18 miliardi di dollari e una forte presenza in diversi settori, dalla lavorazione dell’acciaio all’energia, dall’estrazione mineraria alle infrastrutture. All’interno di questo gruppo — fondato nel 1952 da Shri O.P. Jindal, una delle figure leggendarie del mondo imprenditoriale indiano — JSP ‘vale’ 3,3 miliardi di dollari, con investimenti per oltre 30 miliardi in patria come all’estero.
Guidata da Naveen Jindal, figlio del fondatore, Jindal — inserita da Forbes fra le 50 più promettenti aziende asiatiche — vanta 15 mila dipendenti e ha una capacità produttiva di 4 milioni di tonnellate di acciaio, e vendite nell’anno fiscale chiuso lo scorso 31 marzo per 3,3 milioni (+15% annuo).
Nessun commento:
Posta un commento