venerdì 1 dicembre 2017

Necessario riprendere a Taranto la mobilitazione organizzata dei migranti - IL 14 DICEMBRE ORE 18 RIUNIONE APERTA DEI MIGRANTI PRESSO SLAI COBAS VIA RINTONE, 22

(Da un comunicato di "Campagne in lotta": "Nei campi di lavoro le lotte continuano - E noi che stiamo facendo")

Campi di lavoro, nuovi e vecchi, di diversi tipi e dimensioni, e gli immigrati che sono costretti a viverci dentro, oramai in tutta Italia, che fine hanno fatto? O meglio come sono e diventano funzionali ai discorsi e alle “prese di posizione” degli ultimi mesi – impregnati ancora di più, ahi noi, di qualunquismo, paternalismo, colonialismo e ipocrisia (non dimentichiamo che siamo in piena campagna elettorale)? Pensiamo soprattutto al Sud Italia, dove questi campi sono nati e vengono perfezionati da istituzioni e padroni, arrivando a celebrare quella che si potrebbe definire la terza (e definitiva) accoglienza per chi è costretto a restare per farsi sfruttare, ma questi contesti oramai si incontrano dovunque per tutto il bel paese.
In Puglia, nonostante le numerose violenze delle istituzioni sia verso gli immigrati, assediati, deportati, uccisi, silenziati e manipolati, che nei confronti di chi ne sostiene i percorsi di lotta e porta solidarietà e attenzione, i percorsi di autodeterminazione e autorganizzazione continuano – nonostante le rinnovate minacce di sgombero e distruzione delle baraccopoli dove vivono; le numerose retate e perquisizioni nei quartieri frequentati soprattutto da immigrati, e i continui posti diblocco lungo le strade della provincia; le durissime condizioni di vita, per cui si rischia di morire sul lavoro o per avere l’allaccio alla corrente, o di ammalarsi per le catastrofiche condizioni igenico-sanitarie, peggiorate negli ultimi mesi per il mancato prelievo dei rifiuti (soprattutto in alcune località come Borgo Mezzanone); le sporadiche e tutt’altro che appetibili possibilità lavorative, in agricoltura come in altri ambiti e la recente riapertura del CPR (ex CIE) nella vicina Bari, che renderà più facile la deportazione come conseguenza dei continui controlli dei documenti. Nonostante tutto, però, le persone che vivono nei ghetti continuano a lottare: mantengono un canale di comunicazione con la Questura di Foggia, che dopo anni di lotte concede la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno; ogni settimana, nei diversi insediamenti, si tengono meeting dove si discutono insieme i prossimi passi e dove nascono nuove possibilità di relazionarsi, anche nel rapporto tra uomini e donne, dove queste ultime hanno un ruolo sempre più attivo nell’organizzazione. In un contesto del genere, è oramai chiaro che l’unico modo possibile per uscire dalla situazione di marginalizzazione e sottomissione in cui si è costretti a vivere, è quella di organizzarsi e lottare!...

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