Ieri una lettera su Il manifesto diceva di "chiudere l'Ilva". Questa tesi chiaramente non è nuova. E ognuno si sente in diritto di dire la sua, di sparare spesso stupidaggini. Ma non si possono dire cazzate reazionarie e falsità sulla realtà!
Ad un certo punto questo emerito scrivano, per contrastare chi dice che la chiusura è "una catastrofe peggiore di quella attuale...", scrive nella lettera: "Anni addietro hanno chiuso decine e decine di fabbriche, come la Breda, la Marelli, La Falck, l'Innocenti, la Fiat e tante altre... Risulta a voi che quesgli operai rimasti senza lavoro siano morti assieme alle loro famiglie di fame?", poi circa le "soluzioni" aggiunge: "Bonificare Taranto e dare impulso alla fabbrica del turismo...".
Effettivamente gli operai e le loro famiglie non sono morte di fame alla chiusura delle fabbriche.
Ma... Lo sa questa persona che più di 200 operai Fiat si suicidarono quando furono cacciati dalla fabbrica? Queste che morti sono?
Sa che altre centinaia di operai di altre fabbriche si sono ammalati, esauriti, sono andati "fuori di testa", con famiglie distrutte? - e questo è successo anche all'Ilva di Taranto con il mobbing e la successiva cigs dei lavoratori della famigerata palazzina Laf.
Sa qualcosa delle sofferenze di vivere senza salario, senza lavoro, senza dignità, con la morte dentro; con la difficoltà a curarsi, a mandare i figli a scuola, ecc. ecc?
Poi, le fabbriche. Le città delle fabbriche, Milano, Torino, negli anni in cui queste fabbriche erano aperte, con centinaia, migliaia di operai, erano bellissime, vive; ogni settimana, spesso ogni giorno erano attraversate da scioperi operai, cortei, lotte, assemblee; scioperi che univano fabbriche, scuole, quartieri. Gli operai non solo non si suicidavano, ma ogni giorno diventavano esperti grazie a quelle lotte su tutto, su come siano possibili fabbriche non nocive, anche quelle siderurgiche, in mano agli operai, sotto il controllo degli operai, su come si possono trasformare impianti perchè non siano inquinananti, sistemi di produzione, garantire sicurezza, salute, ambiente, se al primo e unico posto non c'è il profitto dei padroni.
Ma la piccola borghesia si è dimenticata degli operai, li ha cancellati, ora ha quasi in orrore gli operai, li considera complici dell'inquinamento.
Chi ha potuto vedere quelle fabbriche, vivere in quelle città negli anni 70/80 e le vive oggi non può mentire sulla loro abissale differenza.
Le fabbriche sono state chiuse, gli operai cacciati, dispersi, ma anche le città si sono trasformate. Le hanno fatte diventare città senza anima, spente, trasformate a misura della piccola e media borghesia consumatrice. I quartieri proletari, dove vi erano i caffè, le trattorie, i centri dove gli operai si riunivano, discutevano, si divertivano anche, sono stati dalla chiusura di quelle fabbriche svuotati, ingrigiti, anche se alcuni esteticamente abbelliti.
E insieme a questa trasformazione via via è andata avanti anche un'altra trasformazione ancora più brutta; per dirla in sintesi: al rosso delle bandiere delle continue lotte, cortei operai, si è sostituito il nero dei fasci, o il grigio del piccola borghesia "perbenista".
Infine, queste stesse città sono la risposta a chi, senza avere la minima idea di cosa è il capitalismo e che esso è nocivo qualsiasi cosa produca, proclama: chiudiamo le fabbriche, facciamo turismo...
Andasse a Torino, parlasse con la gente normale e si sentirà dire che la Torino operaia, ora è diventata in ampie zone la Torino del turismo, ma ora c'è un livello di inquinamento che non c'era prima.
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