giovedì 30 maggio 2019

FORMAZIONE OPERAIA - NUOVO CICLO: "SALARIO PREZZO E PROFITTO" MARX

Questo nuovo, più breve ciclo, si basa sul testo "Salario prezzo e profitto", in cui Marx spiega in maniera molto chiara "il rapporto tra salario e profitto nella società capitalistica sulla base delle leggi economiche fondamentali da lui analizzate nel Capitale" (dalla presentazione di Editori Riuniti).
Esso è frutto di un'esposizione che Marx fece nel 1865, nella sede del Consiglio generale dell'Internazionale, per rispondere alle concezioni errate che uno dei suoi membri, J. Weston, aveva sostenuto sugli effetti di un aumento dei salari.
Questo testo fu pubblicato solo anni dopo la morte di Marx, dalla figlia Eleonor che lo trovò tra le carte del padre.
E' importante sia per la comprensione scientifica del rapporto tra, appunto, salario/prezzo e profitto, sia per impossessarci degli strumenti teorici per dare gambe alla battaglia centrale oggi dell'aumento del salario, perchè essa è giusta, liberandola da tutte le pseudo teorie borghesi di economisti da strapazzo che hanno invece interesse a dimostrare che la lotta per l'aumento del salario non si debba fare.

Oggi, riportiamo, a premessa, le "Osservazioni preliminari" fatte da Marx, prima di entrare nell'argomento e alcune nostri appunti

Osservazioni preliminari

Cittadini!
Permettetemi, prima che mi addentri nell'argomento vero e proprio della mia esposizione, di fare alcune osservazioni preliminari.
Regna oggi sul Continente una vera epidemia di scioperi e una richiesta generale di aumento di salario. La questione si presenterà al nostro congresso. Voi, che siete alla testa dell'Associazione internazionale, dovete avere opinioni molto precise su questa importante questione. Considero perciò mio dovere esaminare a fondo il problema, anche a costo di porre la vostra pazienza a dura prova.
Una seconda osservazione preliminare devo fare a proposito del cittadino Weston*. Egli non solo ha sviluppato davanti a voi, ma ha anche difeso apertamente concezioni che sa essere molto malviste dagli operai, ma che egli ritiene favorevoli ai loro interessi. Una tale prova di coraggio morale deve essere apprezzata altamente da ognuno di noi. Spero che, malgrado lo stile disadorno della mia esposizione, egli riconoscerà alla fine di essa che io concordo con quella che mi sembra essere la idea giusta che sta alla base delle sue tesi, le quali però, nella loro forma attuale, non posso non considerare come teoricamente false e praticamente pericolose.
E passo senz'altro all'argomento in questione.

*Nota - L'operaio inglese Weston difendeva al Consiglio generale dell'Associazione internazionale degli operai la tesi secondo la quale un aumento del salario monetario non avrebbe come effetto un corrispondente aumento del potere d'acquisto, in quanto, se il salario in denaro (o salario nominale) aumentasse, il capitalista reagirebbe a tale aumento alzando i prezzi delle merci di prima necessità richiesta dai lavoratori di tanto quanto basta per annullare l'aumento salariale conseguito. Sicché in definitiva, secondo tale tesi (che ancor oggi è difesa da molti economisti con una più sottile argomentazione di quella usata qui da Weston), il salario reale (ossia il salario calcolato in termini delle merci che con esso potrebbero acquistarsi) non potrebbe elevarsi come risultato delle lotte rivendicative dei lavoratori. L'assurda conseguenza di tale tesi è che queste stesse lotte apparirebbero vane e persino nocive.

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Oggi, purtroppo, non regna in Italia quella che Marx chiama: "una vera epidemia di scioperi e una richiesta generale di aumento di salario". Pur se di aumento del salario c'è eccome necessità, visto che i prezzi, le tariffe, il costo dei servizi, in generale i costi per vivere, diventano sempre più cari e il salario dei lavoratori diventa sempre più basso e i rinnovi contrattuali sono fermi da anni sia nelle fabbriche che in tutti i posti di lavoro.
L'aumento del salario è scomparso anche dal dibattito, cosa scontata per padroni, governo. Ma anche tra i lavoratori c'è una sorta di impotente lamentela, messi in difesa/ricattati dal rischio di perdere il lavoro che hanno. 
Per i grandi capitalisti, come per i padroni medi e piccoli, il salario viene ad essere sempre più una sorta di concessione, un "costo ingiusto" che devono sborsare dalle "loro tasche", come se il salario non lo produca/ricostruisca lo stesso operaio con una parte del suo tempo di lavoro (l'altra parte, quella più grande, quella in cui l'operaio lavora gratis per il profitto del padrone si è ampliata sempre di più, a maggior ragione in questo lungo periodo di crisi, con il moderno allungamento della giornata lavorativa o l'aumento della produttività). Quindi i padroni per non sborsare loro soldi veri per aumentare di un poco (pochissimo) il salario fermo da anni, usano due strade: scaricarlo sullo Stato, che dovrebbe ridurre la tassazione, aumentare le detrazioni fiscali, ridurre i contributi; trasformare una parte del salario in "buoni", con una politica di welfare, che alla fine fa rientrare dalla finestra per i padroni e lo Stato quello che è uscito dalla porta. 
Per il governo il salario è diventato al massimo un "sussidio" per cui gli operai, i veri produttori della ricchezza nazionale, sono paragonati ai poveri. 

Quello che via via sia padroni sia governi, con economisti, giornalisti da strapazzo al loro servizio, hanno cercato di nascondere, di confondere - con un ruolo in questo decisivo dei sindacati collaborazionisti - è cosa è effettivamente il salario, chi lo produce, perchè gli aumenti dei profitti non vedono altrettanti aumenti salariali, ecc.  
Di questo cominceremo a parlare il prossimo giovedì.

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