Il
cielo è plumbeo la giornata promette pioggia. «Ci sarà meno gente ma è
l'unico momento in cui si può stare intorno all'ILVA senza ammalarsi, le
polveri si posano subito» ci dice un ragazzo. Oggi è il 4 maggio,
corteo nazionale contro il mostro di Taranto. Giornata che arriva in un
momento particolare. È la prima mobilitazione dopo il clamoroso
dietro-front del governo gialloverde sulla chiusura dello stabilimento
siderurgico e il teatrino organizzato dal ministro Di Maio in cui il
governo ha sostenuto che le emissioni fossero magicamente dimezzate. Ora
si chiama ArcelorMittal ma la sostanza non cambia: qui ci si ritrova
più per i funerali che per i battesimi. Lo sanno bene le mamme del
quartiere Tamburi che nelle scorse settimane si sono trovate
spontaneamente per manifestare davanti ai cancelli dopo l'ennesima
serrata delle scuole in occasione dei wind day, le giornate di forte
vento in cui le autorità raccomandano di tenere i bambini a casa.
Lo spirito del corteo di oggi raccoglie l'indicazione delle mamme: non sfilare in città ma arrivare fino sotto allo stabilimento, nominare nomi e cognomi dei responsabili. Le mediazioni sono finite in tutti i sensi, come hanno chiarito gli organizzatori solo qualche giorno fa: «ILVA non rappresenta solo una condanna a morte ma la condanna di generazioni intere che non hanno potuto fare ciò che volevano in questa città. Dietro il 4 maggio c'è un movimento che si autodetermina, autonomo, libero dalle associazioni e dai partiti che hanno svenduto questa città e che l'unica forza che hanno è la rabbia dentro di loro per quello che gli è stato sottratto». Il corteo si lancia verso l'ILVA sotto una pioggia battente. In testa i cittadini di Taranto, magliette con i sacrificati sull'altare dell'acciaio, famiglie. I giovani sono tantissimi, i veri protagonisti come ci dice un'attivista delle associazioni, cantano «Che sarà, che sarà della mia terra chi lo sa? Prima Riva, poi lo Stato e adesso c'è Mittal: ora basta andate via da sta città». Poi rappresentanze dei comitati ambientali da tutta Italia, No Tav, No Tap, Stop Biocidio...in coda pochi partiti e sindacati.
Durante
la marcia prendono parola in tanti. Negli interventi si condensa la
sofferenza e la rabbia di una città ferita: la fuga dei giovani, il
ricatto tra lavoro e salute, la consapevolezza di meritarsi di meglio di
dover pretendere un futuro diverso. Ferita ma che non vuole più morire a
fuoco lento. "Ancora vivi" è il nome del comitato promotore. Qui suona
già come una sfida. Un ex-operaio parla dal microfono « non scordiamoci
che chi si ammala di più è proprio chi lavora lì. Io sono alla
manifestazione per i miei figli, per i figli di tutte le generazioni che
verranno. Molte volte l'operaio è costretto a subire certe situazioni
perché non può tirarsi indietro. Quello che accade è sotto gli occhi di
tutti. Gli impianti sono fatiscenti. Piove dentro, non c'è niente da
risanare, la fabbrica va chiusa e basta». Al centro di tante prese di
parola c'è anche il governo. «Qui le nostre vite sono sospese. Abbiamo
dovuto subire la chiusura delle scuole, chiediamo soluzioni che tutelino
salute e lavoro - dice una mamma - La visita di Di Maio e di altri
quattro ministri del 24 aprile scorso per il Tavolo del Contratto
istituzionale di sviluppo non è stata ben voluta perché i Cinque Stelle
hanno tradito le promesse». Di Maio il traditore. «È uno schifo questi
non erano come gli altri, venivano ai cortei con noi. Poi arrivi a Roma e
non fai i fatti? Come lo definisci uno così?» ci dice una voce storica
dei comitati attivo dalla fine degli anni 90.
Le alte recinzioni che proteggono lo stabilimento sembrano non finire mai. Gli alberi sono rossi per la sedimentazione dei metalli pesanti. Arrivati finalmente davanti a una delle portinerie il corteo scoppia. Una signora comincia a inveire contro la finanza che protegge la fabbrica, le reti iniziano a tremare, qualcuno si arrampica sulle recinzioni, volano torce e petardoni nel cortile, il cancello sta quasi per venire giù. I pochi finanzieri presi malamente a ombrellate non sanno dove mettersi. Parte una carica di allegerimento, due camionette provano a mettersi nel corteo ma vengono respinte.
Quando il corteo si ricompatta una discussione sull'accaduto prende forma al microfono. Significativo l'intervento di una mamma di Tamburi: «Oggi non riusciremo a chiudere l'Ilva ma una soddisfazione l'abbiamo avuta: abbiamo insegnato ai nostri figli che Taranto non è l'acciaio. A chi dice 'verremo a mangiare a casa tua se mio marito perde il lavoro’ rispondo che quegli operai sono nostri fratelli e nostri mariti. Quando vogliamo la chiusura delle fonti inquinanti, pretendiamo che nemmeno un operaio resti senza lavoro». C'è comunque la voglia di rilanciare, non la sensazione di aver fatto troppo ma troppo poco in troppo pochi: «oggi non è neanche l'inizio di quello che vogliamo fare. Solo bloccando la produzione avremo soddisfazione. Con l'iniziativa di oggi richiamiamo l'attenzione. Dobbiamo essere in tanti. È ora che si programmi anche una settimana di manifestazioni».
I numeri certo non erano altissimi ma è un segnale importantissimo dentro una nuova fase che si lascia alle spalle il tradimento e la disillusione lasciata dal movimento 5 stelle.
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