Contro il piano Mittal abbiamo proposto non le favole e la demagogia ma la lotta seria e organizzata per difendere posti di lavoro, condizioni di lavoro e migliorare la situazione in materia di sicurezza e ambientalizzazione.
Questa strada gli operai non l’hanno ancora percorsa. E quando hanno iniziato a percorrerla, come nei blocchi stradali e della port. C edei varchi nelle scorse settimane, sono stati fermati, solo per un incontro al Mise che ha prodotto poi solo Tavoli di cogestione sui numeri di cassintegrati.
Occorre comprendere che a fronte del piano dei padroni occorreva e occorre una lotta prolungata che deve prevedere diversi scioperi; così come deve prevedere il blocco della fabbrica e della città, come si fa in tutte le realtà di fabbriche e città dove sono in pericolo lavoro e salute.
Il sindacalismo che si lamenta ma poi cogestisce le miserie o quello che fa solo demagogia e l’ambientalismo antioperaio hanno fatto finora molti più danni delle buone parole e delle buone denunce che talvolta hanno fatto. Hanno disarmato i lavoratori, li hanno messi in difesa e alimentano divisioni e illusioni, che purtroppo trovano consenso in una parte dei lavoratori che su parole d’ordine demagogiche e fantasiose ogni tanto si muovono, come anche nelle scorse settimane; ma una lotta seria e di classe invece ancora non si vede e gli operai non trovano la strada per farla emergere come alternativa.
Da tempo diciamo che ci vuole una piattaforma seria, autonoma da padroni e governo e autonoma da quella sciagura che sono le Istituzioni locali, da Emiliano e compagnia.
Su una piattaforma seria si lotta per mesi e non una volta per tutte, usando tutte le forme di lotta, facendosi capire dalla città, stabilendo legami con gli altri stabilimenti e alla fine imponendo alla controparte, o direttamente, o anche con le attuali rappresentanze, risultati concreti, anche se parziali.
Non si può combattere il piano Mittal contando su un governo che prima gli dà il consenso negli accordi segreti e poi dice il contrario e annuncia roboanti promesse che non è in grado di mantenere.
Lo stabilimento di Taranto è strategico nell’acuta guerra commerciale che si svolge a livello mondiale. Senza Taranto ArcelorMittal perde terreno nel mercato mondiale. E’ vero che c’è crisi di sovrapproduzione dell’acciaio, ma dipende dal fatto che si produce per il profitto in un’economia capitalista. Non vi sarebbe sovrapproduzione se l’acciaio venisse utilizzato per le produzioni necessarie ai bisogni delle popolazioni. Ma questo richiede che la si faccia finita col sistema capitalista in Italia e nel mondo e si lotti per la produzione socializzata non più in mano ai padroni ma allo Stato proletario.
Intanto, al piano Mittal si risponde rivendicando la riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga, con il rientro dei lavoratori in cigs Ilva AS; lì dove c'è una cassintegrazione ordinaria deve essere pagata al 100% del salario; gli eventuali esuberi vanno affrontati non con continui ammortizzatori sociali ma con prepensionamenti giustificati dal lavoro siderurgico e dal risarcimento verso i lavoratori di Taranto che hanno pagato un alto prezzo alla gestione capitalista della fabbrica, per 41 anni in mano allo Stato e 19 in mano ai privati.
E infine il controllo operaio sulla produzione e la sicurezza, con postazioni ispettive e sanitarie in fabbrica.
I piani di riconversione ambientale non si devono fare chiudendo la fabbrica; anche per gli ammodernamenti tecnologici, sostenuti dall’entrata dello Stato nella proprietà, devono pesare i rapporti di forza, l’unità tra lavoratori e masse popolari.
La soluzione “diamo tutto in mano allo Stato” non cambia assolutamente la situazione. Questo Stato, al servizio dei padroni, gestito da apprendisti stregoni come negli ultimi due governi, non è in grado di farsi carico effettivamente dello stabilimento o se lo fa, dentro la crisi e il sistema capitalistico, dovrà fare anch'esso i conti col mercato dell'acciaio, per cui anche per il governo gli esuberi sono inevitabili.
E’ inutile dire, poi, che le rivendicazioni cialtrone: chiudiamo tutto e andiamo a casa con 800 euro al mese, in attesa che un fantomatico accordo di programma che ricollochi non solo gli operai dello stabilimento e dell’indotto ma l’intera economia industriale di questa città che dallo stabilimento dipende, non sono una soluzione o sarebbe una soluzione peggiore del male, perchè in questo sistema ogni produzione è interna alla legge del profitto che vuol dire: sfruttamento degli operai e dell’ambiente, taglio dei costi della salute.
Non abbiamo altra strada che lottare seriamente contro padroni e governo su una piattaforma operaia - su cui in questi giorni lo Slai cobas per il sindacato di classe sta raccogliendo centinaia di firme alle portinerie - con tutte le forme di lotta necessaria e per tutto il tempo che è necessario.
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