La società ha comunicato ai sindacati che per il sito non ci sono le condizioni per ripartire. 52 lavoratori senza prospettiva. Almeno boniica e calata IV sembrano salve
pubblicato il 16 Giugno 2021, 20:46

La notizia è di quelle che dovrebbe far riflettere l’esercito di tuttologi e pontificatori nostrani (e non solo). L’Italcementi (società italiana che dal 2016 è stata acquisita dai tedeschi HeidelbergCement Group) ha messo sul mercato il sito Cemitaly di Taranto, ovvero l’ex Cementir. La decisione, comunicata ai sindacati negli ultimi giorni, è l’anticamera di un disimpegno inevitabile che apre le porte ad un futuro di desertificazione industriale per il sito tarantino. Le cui vidende abbiamo seguito e raccontanto nel corso di tutti questi anni.

Dunque, ad appena tre anni dall’acquisizione (che avvenne il 2 gennaio 2018 dopo che l’Antitrust, ’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dette l’ok all’intera operazione il 20 novembre 2017) la società Italcementi ha deciso di gettare la spugna. Del resto le premesse non sono mai state delle migliori.

Come si ricorderà, nella primavera del lontano 2013, l’ex proprietà del gruppo Caltagirone annunciò il ritiro del progetto di ristrutturazione del cementificio (denominato ‘Nuova Taranto Cementir‘ e pari a 150 milioni di euro, grazie ad un finanziamento della BEI pari a 90 milioni di euro ed uno a fondo perduto della Regione Puglia dal Fondo Europeo per lo sviluppo regionale, finalizzato all’incremento dell’efficienza industriale ed alla mitigazione dell’impatto ambientale, sia in termini di consumi energetici che di riduzione delle emissioni in atmosfera), a fronte della crisi del mercato del cemento italiano ma soprattutto dell’incerto destino che attendeva il siderurgico dopo la tempesta giudiziaria dell’estate precedente del 2012: ci avevano visto lungo.

Il 1 gennaio 2014 ci fu la fermata definitiva dei tre forni di produzione, con il sito che si trasformò in un semplice centro di macinazione. Il 4 ottobre 2018 la Cemitaly annunciò il licenziamento di tutti i lavoratori del sito tarantino, dopo il sequestro della Procura disposto dal gip del Tribunale di Lecce l’08/09/2017 all’interno dell’inchiesta denominata ‘Araba Fenice‘, che rese inutilizzabile la loppa d’altoforno sino ad allora ricevuta dall’ex Ilva (materia prima indispensabile per la produzione dei cementi d’altoforno commercializzati presso lo stabilimento di Taranto) ed indisponibili i parchi di stoccaggio e parte degli impianti produttivi. Il sequestro determinò la sospensione a tempo indeterminato di tutte le attività di produzione e commercializzazione e per tale motivo la società – non potendo agire sul mercato, avviò la procedura di licenziamento riguardante pressoché tutto il personale occupato a Taranto.

Ma negli ultimi tre anni l’incertezza ha regnato sovrana. Con la società che ha dichiarato apertamente come non vi siano più le condizioni per ripartire. Lo stabilimento è di fatto fermo da tre anni a causa del procedimento penale ancora in corso, nonostante il sito venne dissequestrato dalla stessa Direzione distrettuale antimafia di Lecce. E nonostante l’incidente probatorio confermò il contenuto della relazione che portò al dissequestro della DDA: ovvero che le ceneri prodotte dalla centrale Enel di Brindisi e la loppa prodotta dallo stabilimento siderurgico ex Ilva, potevano essere utilizzate per la produzione del cemento perché rispettavano le indicazioni e quanto disposto dalla normativa vigente in materia. 

Così come non si è affatto risolta la vertenza ex Ilva legata al futuro produttivo del siderurgico. Il che determina una forte incertezza nell’approvvigionamento della loppa d’altoforno, materia prima ancora oggi indispensabile per la produzione del cemento: a fronte di un probabile ridiensionamento della produzione del siderurgico e di una sua eventuale riconversione con l’utilizzo dei forni elettrici, il quantitativo di loppa potrebbe non essere più sufficiente per le necessità del cementificio.

Ciliegina sulla torta, la crisi del settore del cemento sul mercato, partita nel lontano 2008 in particolare in Italia, e mai arrestatasi (negli ultimi anni le percentuali del crollo hanno toccato anche il 60%). Un mix di fattori che determinato l’inevitabile epilogo attuale.

Che investirà, ancora una volta in maniera drammatica, il futuro dei 52 lavoratori rimasti nellex Cementir (all’inizio del tracollo erano 70, ridottisi di numero attraverso alcuni prepensionamenti e procedure di mobilità interna). Lavoratori da anni aggrappati alla Cassa Integrazione Straordinaria che riprenderà dal 1 luglio dopo l’intervallo della cassa Covid, ma che scadrà il prossimo settembre. A loro l’azienda proporrà ancora una volta il trasferimento in altri siti produttivi (il più vicino è quello di Matera che però al momento non sembra aver bisogno di nuove unità), a cominciare da quello di Sarche, a Trento, dove proprio pochi giorni fa l’Italcementi ha annunciato un investimento di 5 milioni di euro e un fabbisogno di 30 nuove unità lavorative. Ma è chiaro che un trasferimento del genere impone un cambio di vita radicale che soltanto chi è solo, senza famiglia a carico e in età ancora giovane, può permettersi il lusso di accettare: di fatto pratciamente quasi nessuno dei 52 lavoratori rimasti nel sito tarantino. Di tutto ciò si discuterà in una riunione presso la Task Force regionale per l’occupazione che sarà prossimamente convocata.

(rileggi uno dei nostri articoli sulla vicenda ex Cementir https://www.corriereditaranto.it/2018/10/03/2cemitaly-sul-futuro-tutto-tace-cosa-accadra/)

La bonifica della falda: risultati positivi in attesa di certificazione definitiva

Ma legata al discorso dell’ex Cementir ci sono altre due questioni che abbiamo seguito molto da vicino. La prima di natura ambientale, che riguarda il “Progetto di Bonifica della falda” proposto dall’azienda a maggio 2012 ed approvato dal ministero dell’Ambiente il 7 settembre 2012. Ricordiamo infatti che il sito ricade per tutta la sua estensione all’interno delle aree del Sito di Interesse Nazionale (SIN) di Taranto perimetrato con Decreto Ministeriale del 10 gennaio 2000, ed è oggetto di procedimento di bonifica ai sensi dell’art.242 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i. di competenza dell’ex ministero dell’ambiente e della tutela del territorio (“MATTM”) oggi della Transizione Ecologica. 

La pianificazione delle attività di monitoraggio ambientale venne presentata nel documento “Progetto di Bonifica acque di falda presso lo stabilimento Cementir di Taranto. Proposta di Piano di Monitoraggio impianto TAF” (“Piano di Monitoraggio”), trasmesso da Cementir Italia il 9 aprile 2013, approvato da ARPA Puglia in data 4 luglio 2013 e da ultimo integrato in data 12 luglio 2013 in riscontro alle prescrizioni della stessa ARPA Puglia. Dopo le ben sei fasi di collaudo della barriera terminate nel febbraio del 2016, è partito il monitoraggio ambientale dopo gli interventi svolti.

Il sistema di bonifica presente in sito è costituito da un impianto di emungimento e trattamento delle acque sotterranee (impianto di Pump & Treat – “P&T”). Nelle conclusioni della relazioneTrasmissione risultati del monitoraggio ambientale presso lo stabilimento Cementir Italia di Taranto (ottobre-dicembre 2020)” redatta dalla società Golder Associates S.r.l. di Roma (che si è occupata di tutte le fasi di monitoraggio dal 2016 in poi), si legge che “in relazione agli esiti del monitoraggio ambientale condotto da Cementir Italia nel periodo da ottobre 2020 a dicembre 2020, per il monitoraggio delle acque sotterranee si evidenzia la conformità alle CSC del DLgs 152/06 in tutti i pozzi oggetto di monitoraggio per tutti i parametri analizzati; per il monitoraggio dell’impianto di bonifica la conformità alle CSC del D. Lgs. 152/06 per tutti i campioni prelevati in uscita dell’impianto di emungimento delle acque di falda per tutti i parametri analizzati. Gli esiti dei risultati del monitoraggio ambientale svolto nel trimestre in esame confermano ulteriormente la conformità alle CSC nei pozzi oggetto di monitoraggio, oltreché il raggiungimento degli obiettivi di bonifica, già registrata nei monitoraggi dei trimestri precedenti (luglio – settembre 2019, ottobre – dicembre 2019, gennaio – marzo 2020, aprile – giugno 2020 e luglio – settembre 2020). In linea con quanto indicato nei report precedenti, proseguirà a cadenza trimestrale il monitoraggio delle acque di falda per almeno tutto l’anno in corso“.

Il TAF resterà in attività fino a certificazione di bonifica avvenuta.

In corso i lavori alla banchina della calata IV: probabilmente diventerà tutta pubblica

La seconda questione riguarda invece la banchina della Calata IV. Che l’ex Cementir del gruppo Caltagirone ottenne nuovamente in concessione il  28.04.2017, per la durata di vent’anni, per l’occupazione e l’uso della zona demaniale marittima di complessivi mq 21.120 circa, situata nel Porto Mercantile di Taranto (Radice lato levante del IV Sporgente ed area retrostante la banchina di riva tra il IV ed il III Sporgente con esclusione della banchina medesima), il tutto a condizione che venissero eseguiti le opere/investimenti previsti nel progetto e gli ulteriori interventi – oltre quelli manutentori – migliorativi consistenti in interventi di riqualificazione ed ammodernamento della banchina, da sottoporre all’autorizzazione dell’AdSP, atti a consentire un utilizzo polifunzionale/multiuso della Calata IV con particolare riferimento al traffico pesante assimilabile a quello destinato al servizio Ro-Ro. L’AdSP, con provvedimento n. 14304 del 03.10.2017, comunicò la conclusione del procedimento, ai sensi dell’art. 2 della L. 241/90, con l’accoglimento dell’istanza di concessione e la richiesta degli adempimenti per il rilascio del titolo concessorio. 

Lavori che, è bene ribadirlo, l’ex Cementir non ha mai realizzato.

Dopo il passaggio di proprietà nel gennaio 2018, la Cemitaly nel dicembre dello stesso anno si rese disponibile alla sottoscrizione del titolo concessorio manifestando l’esigenza di modificare i cronoprogrammi a suo tempo presentati oltre che di sospendere, durante il corso dei lavori, ogni attività. Dopo un lungo iter, il 24 gennaio 2019 arrivò l’ok da parte del Comitato di Gestione alla regolarizzazione dell’occupazione demaniale marittima, alla rideterminazione del canone ed alla modifica dei cronoprogrammi.

A tutt’oggi ci risulta che i lavori da parte dell’Italcementi stanno procedendo (per una realizzazione all’incirca del 70%) e dovrebbero terminare entro la primavera del 2022. A fronte del disimpegno della Italcementi e dell’eventuale futura chiusura del sito, la restante parte della banchina interessata dai lavori sarà restituita all’Autorità di Sistema del Mar Ionio e diventerà tutta pubblica a meno che non arriverà una nuova richiesta concessione.

(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/02/04/2porto-la-cemitaly-recupera-la-calata-iv/)