giovedì 2 novembre 2017

GIOVEDI' ROSSI - LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE SPAZZO' VIA IL POTERE DEI PADRONI - IL DECRETO SUL CONTROLLO OPERAIO

Pubblichiamo stralci dell'introduzione di Vladimiro Giacché al volume "Lenin, Economia della rivoluzione", in cui si parla dei provvedimenti che il nuovo potere degli operai e dei contadini nato con la Rivoluzione d'Ottobre in Russia prese nei confronti delle industrie e delle banche. 
Il decreto sul controllo operaio sulla produzione fu forse il più difficile, perchè, come spiega Lenin, non si poteva, a differenza della situazione dei contadini, semplicemente distribuire la produzione o affidare da un giorno all'altro la gestione di tutta la complessa "macchina" dell'industria, finchè gli operai non avessero imparato a dirigere e "rafforzato la loro autorità".
Questi problemi sono di grande attualità per i comunisti e la classe operaia di oggi. Rispetto alla situazione delle industrie e delle banche dei tempi di Lenin, lo sviluppo dell'imperialismo da un lato ha realizzato grandi processi di centralizzazione/concentrazione che oggettivamente facilitano il fatto che lo Stato socialista, il potere proletario le prenda nella sue mani; dall'altro ha reso immediatamente internazionale gli effetti sulle industrie e le banche di decreti del potere proletario. Ma queste contraddizioni solo il governo e lo Stato socialista potrà maneggiarle al servizio non dei capitalisti e dei banchieri ma degli interessi dei lavoratori e della maggioranza del popolo.
Ma ciò che è sicuro e dimostrato che la Rivoluzione d'ottobre ha spazzato via per tanti anni gli sfruttatori e i succhiatori di sangue delle masse. E che, quindi, anche oggi questo è possibile.   


"Già prima della Rivoluzione, nello scritto I bolscevichi conserveranno il potere statale?, Lenin aveva osservato: «La principale difficoltà della rivoluzione proletaria è l’applicazione più minuziosa e scrupolosa, su scala nazionale, dell’inventario e del controllo, del controllo operaio della produzione e della distribuzione dei prodotti... Il “nocciolo” del problema non è già nella confisca dei beni dei capitalisti, ma nel controllo operaio generale e minuzioso sui capitalisti […]. Con la sola confisca non si fa nulla, perché in essa non v’è nessun elemento di organizzazione, di calcolo della giusta ripartizione»...
Negli stessi giorni in cui venivano emanati i primi decreti del governo sovietico Lenin stese anche il
Progetto di regolamento del controllo operaio, sulla cui base fu approntato il Regolamento approvato il 27 novembre dal Comitato esecutivo centrale panrusso. Nell’elaborazione del decreto si confrontarono concezioni diverse, l’una propensa a limitare il controllo a compiti di vigilanza e di informazione, l’altra mirante a dare agli organismi operai maggiori poteri di intervento e di deliberazione. La soluzione adottata stabilì che gli operai potessero accedere a qualsiasi documento riguardante la vita dell’impresa e loro (o i loro rappresentanti) potessero prendere decisioni vincolanti per l’amministrazione.
Nel gennaio 1918, pronunciando il suo Rapporto sull’attività del Consiglio dei commissari del popolo davanti al III Congresso dei soviet dei deputati operai, soldati e contadini di tutta la Russia, Lenin motivò in questo modo il provvedimento: «Introducendo il controllo operaio noi […] volevamo mostrare che riconoscevamo una sola via, quella delle trasformazioni dal basso, per fare in modo che gli operai stessi elaborassero dal basso le nuove basi del sistema economico». In altri termini, gli operai dovevano, attraverso il controllo operaio, cominciare a fare esperienza diretta della gestione delle imprese. 
Un’altra motivazione, più immediata, era rappresentata dalla necessità di evitare serrate, fenomeni di distrazione di fondi e sabotaggio da parte dei proprietari delle imprese.
Entrambe le motivazioni sono presenti nelle parole con cui Lenin nel novembre 1918 sarebbe tornato sull’argomento: «all’inizio, la nostra parola d’ordine è stata quella del controllo operaio. Noi dicevamo: […] il capitale continua a sabotare la produzione del paese, mandandola sempre più in rovina. È oggi evidente che ci si avviava verso la catastrofe, e quindi il primo atto fondamentale, obbligatorio per ogni governo operaio e socialista, deve essere quello del controllo operaio. Noi non abbiamo decretato di colpo il socialismo in tutta la nostra industria, perché il socialismo può organizzarsi e consolidarsi solo quando la classe operaia abbia imparato a dirigere, solo quando le masse operaie abbiano rafforzato la loro autorità. Senza di questo il socialismo è soltanto un pio desiderio. Pertanto abbiamo introdotto il controllo operaio, ben sapendo che si trattava di una misura contraddittoria e incompleta»...
Lenin era ben consapevole del fatto che «è necessario un lungo periodo di tempo perché gli operai imparino a gestire l’industria». 
«La cosa importante non è la nazionalizzazione; potremmo nazionalizzare a un ritmo dieci volte superiore all’attuale. La cosa importante è organizzare e dirigere noi stessi l’industria». In coerenza con questa impostazione, per diversi mesi si nazionalizzarono soltanto singole imprese, in genere a seguito della fuga o del boicottaggio da parte dei precedenti proprietari, e fino al maggio 1918 non fu emanato alcun provvedimento di nazionalizzazione di un intero settore industriale: ancora nel giugno 1918 le imprese nazionalizzate erano appena 487. Fu anzi scoraggiata la nazionalizzazione affrettata delle imprese a livello locale, e furono anche condotte trattative per creare un grande trust misto, privato e statale, nel settore metallurgico e meccanico; ma l’iniziativa si chiuse con un nulla di fatto a causa delle richieste esorbitanti dei gruppi capitalistici coinvolti.

La nazionalizzazione delle banche
Il primo settore economico a essere nazionalizzato fu quello bancario. Si trattava di un punto essenziale del programma dei bolscevichi. Esso non compare nel breve appello del 7 novembre, ma già il giorno successivo figura, a fianco della proposta di pace, dell’abolizione della grande proprietà fondiaria e dell’istituzione del controllo operaio, nella Risoluzione scritta da Lenin e approvata dal Soviet dei deputati operai e soldati di Pietrogrado: «Il nuovo governo operaio e contadino […] stabilirà un controllo di tutto il popolo sulle banche, insieme con la loro trasformazione in un’unica azienda di Stato»....
«Fusione di tutte le banche in una sola banca e controllo delle sue operazioni da parte dello Stato, oppure nazionalizzazione delle banche». La spiegazione del provvedimento era così introdotta: «Le banche, come è noto, sono i centri della vita economica moderna, i principali gangli nervosi di tutto il sistema capitalistico dell’economia nazionale. Parlare della “regolamentazione della vita economica” ed eludere il problema della nazionalizzazione delle banche significa o dar prova della più crassa ignoranza, o ingannare “il popolino” con parole pompose e promesse magniloquenti che si è deciso in anticipo di non mantenere». Il testo proseguiva evidenziando come la nazionalizzazione delle banche non presentasse «assolutamente nessuna difficoltà di carattere tecnico e culturale»... Essa era infatti concepita da Lenin in questa fase quale «fusione di tutte le banche in una sola, fusione che di per sé non porta nessun cambiamento nelle relazioni di proprietà», ma che avrebbe permesso di ottenere «che lo Stato sappia dove e come, da che parte e in che momento, scorrono i milioni e i miliardi. E solo il controllo esercitato sulle banche – questo centro, questo fulcro e meccanismo essenziale della circolazione capitalistica – permetterebbe di organizzare sul serio, e non a parole, il controllo su tutta la vita economica, sulla produzione e distribuzione dei principali prodotti, di organizzare quella “regolamentazione della vita economica” che altrimenti sarebbe inevitabilmente condannata a rimanere una frase ministeriale, destinata ad ingannare il popolino»...
Il 20 novembre la Banca di Stato fu occupata militarmente a seguito del rifiuto di disporre un pagamento a favore del Consiglio dei commissari del popolo... il 27 dicembre 1917 tutte le banche private vennero nazionalizzate e fuse con la Banca di Stato nella Banca popolare della Repubblica russa.
Nel suo Rapporto al III Congresso dei soviet del gennaio 1918 Lenin riassume gli sviluppi della situazione senza sottacere le difficoltà del processo di nazionalizzazione:
“Una delle prime misure dirette non solo a far sparire dalla faccia della terra i grandi proprietari fondiari russi, ma a sradicare altresì il dominio della borghesia e la possibilità per il capitale di opprimere milioni e decine di milioni di lavoratori è stata la nazionalizzazione delle banche. Le banche sono centri importanti dell’economia capitalistica contemporanea. [...] Sono organi sottili e complicati, cresciuti attraverso i secoli, e contro di essi sono stati rivolti i primi colpi del potere dei soviet, che ha incontrato fin dall’inizio una resistenza disperata nella Banca di Stato. Ma questa resistenza non ha fermato il potere dei soviet. Siamo riusciti a realizzare l’essenziale nell’organizzazione della Banca di Stato, questa cosa essenziale è nelle mani degli operai e dei contadini, e da queste misure essenziali, che dovremo ancora sviluppare per un lungo periodo di tempo, siamo passati a mettere le mani anche sulle banche private. […] Non un sol uomo del nostro ambiente avrebbe potuto immaginarsi che l’apparato bancario, così ingegnoso e sottile, sviluppatosi nei secoli dal sistema capitalistico dell’economia potesse essere spezzato o trasformato in pochi giorni... […] Noi non minimizziamo affatto le difficoltà del nostro cammino, ma l’essenziale lo abbiamo già fatto. La fonte delle ricchezze capitalistiche, per quanto riguarda la loro distribuzione, è stata eliminata. L’annullamento dei debiti statali, il rovesciamento del giogo finanziario è stato dopo di ciò un passo assai facile”.
Nel febbraio 1918 tutti gli azionisti delle banche furono espropriati e, dopo i debiti nei confronti delle banche locali, fu ripudiato anche il debito estero contratto dagli zar e dal governo provvisorio..."

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